Qualcos’altro alimenta i buchi neri supermassicci
di Silvia Fracchia
Ormai lo sanno anche i paracarri: molte galassie ospitano nel proprio nucleo un buco nero supermassiccio. Così come tutti sanno che questi buchi neri sono coinvolti nell’attività di alcuni peculiari nuclei galattici, gli Active Galactic Nuclei (AGN). Ciò che ancora resta un mistero è, semmai, la causa di quest’attività: che cosa alimenta il cuore di certe galassie, provocando l’emissione di enormi quantità di energia sotto le più svariate forme?
Un gruppo di studiosi del Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg, in Germania, capitanati da Knud Jahnke e Mauricio Cisternas, si è posto quest’interrogativo ed è giunto a un’importante conclusione. Se ancora non conosciamo nei dettagli la causa (o le cause) dell’attività degli AGN, quantomeno possiamo escludere una possibilità tra le più accreditate finora: le poderose emissioni di radiazione da parte di quasar, blazar e galassie di Seyfert non sono dovute in primo luogo a collisioni galattiche. Questo è quanto ha dimostrato il gruppo di Heidelberg, i cui risultati sono descritti in un articolo in pubblicazione su “The Astrophysical Journal”.
Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire il meccanismo di emissione di energia da parte degli AGN. In soldoni, si può dire che la materia interstellare nei pressi del buco nero centrale viene catturata da quest’ultimo, andando a formare un disco di accrescimento. Il materiale del disco si riscalda progressivamente, fino a raggiungere lo stato di plasma: da qui l’emissione continua, prevalentemente nella banda del visibile e dell’ultravioletto ma anche nei raggi X, accompagnata da uno spettro a righe dovuto all’eccitazione di materiale atomico nei pressi del buco nero e, talvolta, da getti relativistici. La domanda iniziale può allora essere riformulata così: da dove proviene il materiale in caduta nel buco nero, che costituisce quindi il “carburante” degli AGN?
L’universo, come è risaputo, non è un’entità eterna e immutabile. Allo stesso modo le galassie non sono oggetti statici, ma si muovono e interagiscono tra loro. E’ allora possibile che due di esse entrino in collisione compenetrandosi e poi separandosi o addirittura fondendosi in un’unica galassia. Durante queste interazioni il buco nero centrale può inglobare nuvole di gas interstellare (e talvolta intere stelle) provenienti dalla galassia interagente. Ecco allora che segue in modo logico la deduzione degli scienziati: i buchi neri degli AGN si alimentano durante le collisioni galattiche.
Ma è proprio ora che entrano in gioco Jahnke, Cisternas e i loro colleghi di Heidelberg, che si sono inventati un astuto stratagemma per verificare quest’ipotesi. Sfruttando i dati dell’Osservatorio orbitante XMM-Newton dell’ESA, i ricercatori hanno preso in considerazione 1.404 galassie, di cui 140 con nucleo galattico attivo e le rimanenti 1.264 non attive, tutte poste a distanze comprese fra 3,5 e 7,5 miliardi di anni-luce dalla Terra. Dopodiché una sorta di giuria composta da dieci esperti ha catalogato le galassie, per mezzo delle immagini fornite dall’Hubble Space Telescope, in tre gruppi, a seconda del loro grado di distorsione. Il primo gruppo, quello delle galassie non distorte, comprende la frazione di esse che non ha avuto interazioni recenti. Ci sono poi i gruppi delle galassie fortemente e di quelle mediamente distorte, ossia con interazioni più o meno importanti nel proprio passato.
La classificazione delle galassie in base alla loro distorsione. (Cortesia: NASA/ESA/M. Cisternas/MPIA)
Ci si aspetterebbe allora che, se è vera l’ipotesi delle collisioni, le galassie con AGN si ritrovino quasi tutte nel gruppo di quelle fortemente distorte. Invece non è così: solo il 15 per cento delle galassie attive non va a deludere le aspettative, mentre tutte le altre risultano essere perlopiù poco distorte. Non solo: la distribuzione delle galassie nei tre gruppi è sostanzialmente la stessa sia per le galassie con AGN sia per quelle non attive. In altre parole, le interazioni galattiche non sono più frequenti nel caso degli AGN.
Ecco quindi smontata quella che sembrava un’autorevolissima teoria. In realtà l’ipotesi delle collisioni non è proprio del tutto da buttare: possiamo giustificare l’eccezionale luminosità di alcune galassie attive, di gran lunga superiore alla media, come dovuta proprio a un maggior numero di interazioni. E’ però evidente che gli astronomi dovranno darsi da fare per trovare spiegazioni alternative. Le idee di certo non mancano. Ora aspettiamo solo le eventuali conferme.