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Le colonne di Marco e Todaro

Da Lelephotographer @lelephtographer

La Serenissima non limitava la propria attività marittima ai traffici commerciali. Forniva anche, di quando in quando, noli armatoriali di navi da guerra a Stati stranieri, in cambio di parte dei bottini e della libertà di commercio esentasse nei territori conquistati.
In occasione della vittoria riportata da Costantinopoli sul re di Tiro grazie anche alle galee veneziane, i capitani da mar si trovarono a riportare a Venezia, come parte del bottino, tre enormi colonne monolitiche in granito, del peso di varie centinaia di tonnellate ciascuna. La leggenda narra che fossero imbarcate su tre distinte navi e che una di queste si rovesciasse durante i preparativi di sbarco del carico. La colonna naufragata dovette affondare profondamente nella fanghiglia dei fondali, tanto che “cercandola a distanza di vent’anni dall’affondamento un mastro appositamente incaricato, col tastare il fondo a mezzo di una lunga pertica, non la si poté in alcun modo ritrovare”.
In qualche modo si riuscí a sbarcare il carico delle altre due navi, e le colonne furono adagiate sulla riva di Piazza San Marco, dove rimasero in orizzontale per oltre un secolo, non trovandosi la forza necessaria a rizzarle in verticale come si addice alle colonne.
Fu solo grazie all’ingegno di Nicoló Barattieri, costruttore bergamasco, che le colonne megalitiche poterono trovare piú dignitosa sistemazione. Il protoingegnere (lo stesso che inventò il montacarichi a contrappeso che permise l’edificazione del campanile di San Marco, la torre piú alta del tempo) fece bloccare una estremità della colonna, legando all’altra fasci di corde che, passando lungo il fusto della colonna stessa, andavano a fissarsi saldamente al suolo sull’altro lato della Piazza. Queste corde venivano poi bagnate. Com’è noto, una corda bagnata aumenta il suo diametro, diminuendo in lunghezza. La trazione esercitata dall’accorciamento dei fasci di funi era sufficiente ad alzare la testa della colonna di alcuni centimetri. Si ponevano allora delle zeppe di legno sotto la colonna e si cambiavano le funi con altre asciutte proporzionalmente piú corte e si ripeteva l’operazione di “acqua alle corde”. In breve tempo le due colonne superstiti facevano bella mostra di sé specchiandosi con la loro altezza nel Bacino di San Marco.
L’ammirazione per l’espediente fu tale che il Serenissimo Governo decise di premiare il Barattieri concedendogli l’unica licenza a gestire una bisca per il gioco dei dadi, fino ad allora severamente proibito in tutta la cittá.
Per esercitare questo poco nobile ma assai redditizio mestiere fu assegnato al Barattieri proprio il suolo di Piazza San Marco compreso fra le due colonne.



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