Meno danni del previsto. Pare
di Mattia Luca Mazzucchelli
Ci sono argomenti che forse si preferirebbe non affrontare, nemmeno attraverso l’occhio quantitativo e distaccato della fisica. Pensare a che cosa succederebbe se un grosso meteorite colpisse la Terra è spiacevole. Non ti senti molto rassicurato neanche da uno studio che ti spiega che i modelli finora usati erano troppo pessimisti sui postumi di una tale evenienza per il nostro pianeta.
Ora da un impatto del genere ci aspettiamo meno eruzioni vulcaniche, tsunami, e movimenti del terreno... eppure stranamente non sembra una grande rassicurazione. (Cortesia: D. Davis/NASA)
Sì, perché alcuni ricercatori delle Università di Monaco e di Princeton si sono messi a rifare i calcoli sulle conseguenze sismiche che avrebbe un impatto di grandi dimensioni. Non si parla di sassolini, ma di corpi con un diametro intorno ai 10 chilometri, come quello che produsse il cratere di Chicxulub, precipitato nella penisola dello Yucatan circa 65 milioni di anni fa. Secondo le teorie più accreditate, le onde sismiche di quell’impatto provocarono ai suoi antipodi, in una zona geologica chiamata Deccan Traps, una serie di eruzioni e fratturazioni della crosta terrestre. Le polveri emesse in atmosfera oscurarono il cielo fino ad abbassare le temperature e ridurre la capacità di fotosintesi delle piante. Conseguenza: la celebre estinzione dei dinosauri.
Una collisione induce forti movimenti nel terreno che si propagano sia in profondità sia in superficie tramite delle onde, come nei comuni terremoti ma con energia molto più elevata (l’energia rilasciata dal meteorite di Chicxulub è stata valutata in 96 Teratoni, contro i 2,7 Gigatoni del più forte terremoto mai registrato). Le onde superficiali si propagano circolarmente, mentre quelle di profondità viaggiano per riflessione e rifrazione attraverso i vari strati della Terra, che, per via della sua (quasi) sfericità, si comporta come una sorta di lente e tende a farle convergere tutte nel punto opposto all’origine: l’antipodo. Cioè lì si ha un’interferenza costruttiva delle onde, in particolare di quelle a bassa frequenza, con importanti movimenti del terreno e l’innalzamento delle pressioni locali nei corpi rocciosi.
Finora le simulazioni prendevano come modello una Terra sferica e simmetrica, e i risultati davano all’antipodo oscillazioni del suolo fino a 15 metri e pressioni tali da fratturare le rocce, fino a rimuovere parti della crosta e innescare risalite di magma. Insomma le conseguenze che si pensa siano avvenute nei Deccan Traps, con annessa estinzione dei dinosauri. Ma il nostro pianeta non è né sferico né tantomeno omogeneo e simmetrico internamente. Perciò gli autori del nuovo studio, pubblicato sul “Geophysical Journal International”, hanno sviluppato un modello della Terra che includesse l’ellitticità, le variazioni di spessore della crosta, la topografia, la batimetria, la presenza del nucleo interno solido e di quello esterno liquido e, infine, la rotazione. Al meteorite di Chicxulub hanno attribuito un raggio di 10 chilometri e una velocità all’impatto di 20 chilometri al secondo.
La loro simulazione ha mostrato spostamenti del terreno di soli 4 metri e pressioni minori nelle rocce rispetto a quanto era stato calcolato in precedenza. In un comunicato stampa affermano che “a proposito dell’estinzione di massa, dalle misurazioni abbiamo visto che un impatto del tipo di Chicxulub da solo sarebbe troppo piccolo per provocare un’eruzione vulcanica così estesa come quella avvenuta nei Deccan Traps”. Al di là della polemica con i sostenitori di questa teoria (polemica che non finirà certo qui), la cosa importante è aver trovato che l’ellitticità della Terra e le anisotropie in superficie riducono la possibilità che le onde interferiscano in un unico punto. Insomma, l’area di interferenza è più ampia e all’antipodo è concentrata meno energia, con minori effetti distruttivi. Con il modello in mano poi basta variare i parametri del corpo per sapere quanto deve essere grande per creare delle catastrofi. Basterebbe, ad esempio, aumentare di 5 volte il diametro di quello di Chicxulub, lasciando invariate densità e velocità, per fratturare le rocce all’antipodo.
Ma non è finita qui, perché il modello è adattabile anche ad altri pianeti, ed è invertibile. Nel senso che, se si conoscono le dimensioni di un cratere e le conseguenze subite all’antipodo, allora si possono ricavare informazioni sulla struttura interna e superficiale del pianeta. In linea di principio basterebbero quindi due fotografie. Quest’applicazione non è cosa da poco: altrimenti avremmo dovuto aspettare un altro impatto gigantesco sulla Terra per sapere se il modello funziona davvero.
Meschede, M., Myhrvold, C., & Tromp, J. (2011). Antipodal focusing of seismic waves due to large meteorite impacts on Earth Geophysical Journal International, 187 (1), 529-537 DOI: 10.1111/j.1365-246X.2011.05170.x