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LE CONVENIENZE TEATRALI #opera #cantanti #primadonna

Creato il 14 maggio 2014 da Albertomax @albertomassazza

convenienze teatraliNel 1827, Gaetano Donizetti presentò al Teatro Nuovo di Napoli la farsa in un atto Le convenienze teatrali, su libretto di Domenico Gilardoni, tratto da due commedie di Antonio Simone Sografi, l’omonima del 1794 e Le inconvenienze teatrali del 1800. Il compositore bergamasco riprese la farsa nel 1831 per il Teatro della Cannobiana di Milano e la trasformò in un dramma giocoso in due atti dal titolo Le convenienze e le inconvenienze teatrali, considerata seconda solo a L’elisir d’amore e il Don Pasquale, tra i lavori comici donizettiani. In tempi moderni, l’Opera è stata riproposta anche col titolo Viva la mamma. La trama affronta, in toni parodistici, la prassi ancora invalsa all’epoca di seguire una gerarchia ferrea nello stabilire la divisione e l’importanza delle parti, con i cantanti principali che erano in grado di piegare la scrittura drammaturgica delle opere alle loro smanie di protagonismo e di strappare ingaggi ben più alti di quelli degli stessi compositori. Nell’ Opera di Donizetti, la tirannia esercitata dalla prima donna, coadiuvata dal marito, viene contrastata dalla seconda donna, spalleggiata dalla madre, parte interpretata da una voce di basso buffo, geniale rovesciamento del classico en travesti settecentesco. Il cortocircuito non può che coinvolgere tutti,  tra litigi, richieste strampalate, fughe di cantanti e scaricabarili, in un delirio di egocentrismi che fatalmente porta all’annullamento della rappresentazione.  In un teatro che si andava articolando nei caratteri e nelle sfumature delle partiture e delle drammaturgie, con la crescente richiesta di popolarizzazione e di realismo da parte del pubblico, le convenienze teatrali, ovvero il codice non scritto che sanciva la supremazia dei cantanti principali nell’Opera italiana, non potevano che portare a una deflagrazione, generando, appunto le inconvenienze, i disastri.

Librettisti e compositori dovevano plasmare il loro lavoro sulle compagnie scritturate per le stagioni dei teatri. Un sistema che favoriva gli eccessi di rivalità tra i cantanti, rendendo sempre più complicata la messa in scena. Una prassi che affondava le sue radici già dalle prime rappresentazioni nei teatri pubblici, oggetto della satira del compositore e letterato Benedetto Marcello nel suo Il teatro alla moda del 1720. Il melodramma metastasiano aveva fatto delle importanti concessioni ai castrati e alle prime donne, con il ricorso abbondante ad arie con “da capo”. Lo stesso Donizetti, due anni dopo Le convenienze e inconvenienze teatrali, dovette assecondare il soprano francese Henriette Méric-Lalande, la quale, non paga di avere un cachet nove volte superiore a quello del compositore, montò su tutte le furie per l’esiguità della cavatina del prologo e per dover entrare in scena col volto coperto da una maschera che ne impediva l’immediato riconoscimento, nella Lucrezia Borgia andata in scena alla Scala nel dicembre del 1833. Due anni dopo, lo stesso maestro bergamasco, dopo aver fatto i salti mortali per trovare l’equilibrio tra le due regine e prime donne della Maria Stuarda, si vide cancellare l’Opera dal cartellone scaligero dopo sei recite, a causa dell’ostinazione della Malibran di voler proporre il celebre duetto con Elisabetta nella formula originaria, censurata per la sconveniente sequela di epiteti che le due protagoniste regali si dispensavano. Ma quando, nel marzo del 1944, per il debutto veneziano dell’Ernani, il soprano tedesco Sophia Lowe tentò di imporre a Giuseppe Verdi un finale in forma di rondò che facesse risaltare la parte da lei interpretata sul resto dell’Opera, il bussetano si oppose fieramente, salvaguardando lo sviluppo drammatico da lui voluto. In questo modo, si compiva la detronizzazione dei cantanti principali, in luogo dell’affermazione della sensibilità del compositore nelle scelte per la messa in scena dell’Opera. Non solo, con l’accentramento delle responsabilità sceniche nella figura del compositore, si iniziava a delineare un’altra figura destinata ad avere grande importanza nelle messe in scena moderne del Teatro d’Opera: quella del regista.



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