Le Correzioni, di Jonathan Franzen è un romanzo che, in modo sostanzialmente sobrio, moderno e contemporaneo, narra la vita, comune ma allo stesso tempo unica, di una average Midwest family. I Lambert (Enid, Alfred, e i tre figli Gary, Chip e Denise) rappresentano a tutti gli effetti un microcosmo di esperienze, pensieri ed emozioni che riflettono il macrocosmo in cui sono inseriti (a livello temporale e spaziale) e, a loro volta, fanno riflettere sul significato di un utopistica definizione di felicità, verso la quale a volte ci si accanisce stolidamente, nonostante la palese considerazione che ciò che accade nella vita, in tutti i sensi, non sempre si può modificare, plasmare, dirigere, correggere.
Lungi dal prodursi in un approccio finalistico e votato alla bovina accettazione destino e alla “provvidenza”, Franzen interiorizza più che altro la considerazione che, in virtù dell’entropia che governa l’universo, col passare del tempo tutto tende a complicarsi, o meglio, ad evolversi per accrezione, pezzo su pezzo, rendendo sempre più complesso muoversi e comprendere la realtà nella quale ci si trova immersi.
Una valutazione questa, che l’autore sviluppa sviscerando la storia dei suoi personaggi, mettendoli in rapporto dialettico fra loro, nel passare del tempo e dei loro ruoli sociali all’interno del gruppo/famiglia, e soprattutto con se stessi. Non ci sono ne vincitori ne vinti, nelle Correzioni di Franzen, ma solo una ritmica alternanza di momenti nei quali la vita, o parte di essa, è più semplice e immediata da gestire, e altri in cui può risultare davvero difficile venire a capo delle proprie giornate.
Senza tirare inutilmente in ballo i soliti Carver, DeLillo o Altman, l’autore riesce a offrire una prospettiva fresca e originale (godibilissima ad esempio la parte relativa al soggiorno del buon Chip a Vilnius, in compagnia di Gitanas Misevičius) su molte dinamiche comuni a questo nostro mondo consumista, che ci consuma, mentre consumiamo. E da questo forse originano gran parte delle ansie, paure, frustrazioni e nevrosi che poi ci accompagnano, fin troppo fedelmente, nella vita di tutti i giorni.
“Ho messo a fuoco le cose che mi procuravano ansia per poi guardare sempre più da vicino al loro riflesso sociale. Ho fatto dei problemi della mia vita lo specchio di una crisi generale.” (Jonathan Franzen sul suo romanzo)