Magazine Diario personale

Le cose che mi hanno resa una (ex) malata serena – Seconda parte

Da Romina @CodicediHodgkin

Seconda parte del post di qualche giorno fa sulla condivisione di quelli che, per me, sono stati pensieri e commenti che mi hanno fatto piacere ai tempi della malattia o che comunque mi hanno offerto spunti molto interessanti e positivi.

6) Vizi e regalini a tema: in casa mia, la severità regnava sovrana. Sono cresciuta in un clima austero. In quei sei mesi sono stata incredibilmente viziata. Piccole cose, ma che ricordo e conservo ancora. Ricordo che all’epoca, con non so quale quotidiano, una volta a settimana usciva un libro di una collana che trattava argomenti molto affascinanti, tipo i manoscritti antichi, i diversi processi di mummificazione nelle diverse culture, ecc. Tutti i lunedì, papà rientrava da lavoro e mi lanciava il nuovo volume della collana sul letto. “Tiè, così hai qualcosa da fare tra una vomitata e l’altra”. Oppure, ricordo che il giorno prima dell’ultima chemio mamma mi regalò un pupazzetto di Road Runner. Disse che io ero come lui. Avevo Willie il linfoma alle calcagna ma io correvo più veloce.
7) “Ora vedi tutto nero, ma poi ti renderai conto questa può diventare un’opportunità”: di nuovo mia sorella. Dopo le cure, ho sofferto di depressione post-chemio. Poi vi parlerò anche di questo. La mia famiglia aveva deciso che dell’accaduto non si poteva più parlare. Io mi sentivo persa. Dovevo ricominciare a vivere dopo la malattia, e dovevo farlo convivendo con una nuova versione di me stessa che dovevo imparare a conoscere. Vi garantisco che non è stato facile. Un giorno, ne parlai con mia sorella, che fu disposta ad ascoltare. Non stavo affatto bene. Ero parecchio avvilita. Mi disse che, sì, il guaio era stato serio, ma che potevo usarlo come nuovo punto di partenza. Un nuovo inizio. Una persona migliore. Una chance. Col senno di poi, aveva perfettamente ragione.

8) Domande mirate: non mi ha mai dato fastidio che mi si ponessero domande “tecniche” sulla malattia. Anzi. Parlare del cancro per quel che è, ossia non come un’entità mefistofelica ma come una malattia, qualcosa di reale, di concreto, di “materiale”, ha fatto molto bene sia a me che a coloro che mi hanno chiesto qualcosa, questo perché ci ha aiutato a portare la questione su un piano più “terreno”. Il cancro è sempre visto come un demonio, più che come una malattia. Chiedere come agisce e rispondere ha aiutato me e gli altri a portare la questione su un piano più reale e meno spaventoso. Quando le domande sono poste con candore e non c’è morbosità, sono sempre ben accette. Le domande in questione, il più delle volte provenivano da conoscenti, da amiche di mia mamma, per esempio. Persone che con me avevano confidenza molto relativa. Eppure, se chiedevano con naturalezza e intelligenza, per me non era assolutamente un problema. Che senso aveva fare finta di niente?


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