Le cose della vita
Creato il 25 settembre 2014 da Cronachedallalibreria
@MarinoBuzzi
Io sono fatto così.Per chiudere i conti col passato ho bisogno di scrivere, ho bisogno di tempo per analizzare, sezionare, studiare, capire, accettare. Faccio così anche con il dolore. Di solito quando mi succede qualcosa di molto brutto mi chiudo in me stesso, cerco un angolo di mondo in cui rannicchiarmi, mi lecco le ferite e poi, dopo che il cuore è scoppiato e che i brividi hanno lasciato il mio corpo, la parte razionale di me si fa avanti e analizza la cosa. La passa al microscopio, cerca le cause, elabora una possibile spiegazione e poi archivia e dimentica.È un post molto difficile, lo ammettoLa prima cosa che mi sento di dire è che non sono una brava persona.Sono un essere umano con i suoi pregi e i suoi difetti, non voglio passare per il “giusto” o il “santo”, ho fatto degli errori, ho provato sensazioni molto brutte, ho fatto pensieri terribili. E la consapevolezza finale è che le cose sono andate come sono andate. Punto. Che non si torna indietro e non si piange sul latte versato, che ho fatto delle scelte, giuste o sbagliate che fossero, le ho fatte. Mi assumo tutta la responsabilità di queste scelte. Parliamo di Sedici anni, il libro che ormai dal 2012 mi fa dannare e che ho deciso, almeno per il momento, di rimettere nel cassetto. È un libro a cui tengo moltissimo ma che non ha trovato, per ora, mercato. Per mia scelta, principalmente, ma anche per scelte che non dipendono da me.Innanzitutto devo dire che avevo l'opportunità di pubblicarlo con la casa editrice con cui ho pubblicato il mio precedente libro. Sembrava andare tutto bene, avevo un ottimo rapporto con lo staff, Un altro best seller, tutto sommato, era andato abbastanza bene. Chi è nel mondo dell'editoria sa che tutto questo è molto difficile da trovare. Io, dopo aver insistito per avere conferme sulla pubblicazione o meno del libro, ho cominciato a guardarmi intorno. Per farla breve la risposta (positiva) alla pubblicazione è arrivata e io ho deciso di rischiare, di fare un salto nel vuoto, di provare altre strade. Ho scritto una lettera di scuse, sentendomi una vera merda perché sapevo che c'era gente che si era spesa in prima persona per me, rifiutando, dopo che avevo insistito per mesi per avere una risposta positiva, la pubblicazione. Non l'hanno presa bene, la persona con cui mi relazionavo ha chiuso i rapporti, improvvisamente il cordiale rapporto è diventato di ghiaccio. Forse se qualcuno mi avesse aiutato a fare chiarezza, se mi avessero mostrato una strada alternativa, non avrei fatto questa scelta ma l'ho fatta. È stata una MIA scelta e ne ho pagato le conseguenze. Punto. I rapporti si sono deteriorati in fretta e su questa vicenda, che trovo triste nonostante tutto e di cui mi dispiace più di quel che posso dire, non aggiungo altro. Sedici anni ha proseguito poi il suo percorso finendo fra le mani di un editore piuttosto grosso che ha definito il finale “inadatto” perché “senza speranze”. Il protagonista del mio romanzo è un ragazzo di sedici anni obeso, che porta spessi occhiali, che viene preso per il culo dalla mattina alla sera, che ha problemi a casa. È un libro sul bullismo. Cavolo. L'unica possibilità per la pubblicazione era quella di cambiare il finale. Ho detto di no, per la seconda volta. Un errore gravissimo in campo editoriale perché certe occasioni andrebbero prese al volo. Ma non io, ehi, non Marino (perché sono un coglione che vive nel mondo dell'utopia e buonanotte al secchio). Il problema è che in questo libro ci credo così tanto da aver sperato in altre opportunità. E infatti una terza opportunità è arrivata. Quando mi hanno telefonato per dirmi che il libro sarebbe uscito con una casa editrice importante del panorama letterario italiano, una casa editrice che continuo a stimare molto, ho riso come un bambino. Era gioia pura quella che provavo? Sì, era gioia. Ho chiamato mamma, e mia sorella, il mio compagno, le mie amiche e i miei amici più cari, ho abbracciato ogni singolo collega. Era il mio momento, eccolo qua, aspettato per anni, cercato disperatamente, il mio momento. La mia occasione, mi sono detto, per dimostrare qualcosa.Per due settimane ho vissuto il sogno, gustato ogni attimo, mi sono scoperto persino ottimista.Poi è arrivata l'altra telefonata, stavo andando con il mio compagno a fare l'aperitivo. “Gira la macchina e portami a casa” gli ho detto.Avevano cambiato idea. Alla fine si sono tutti arresi. Un buon libro, uno dei tanti, che però non ha mercato. Può sembrare esagerato ma questo sogno è dall'età di tredici anni che lo inseguo. E mi sono sempre sentito inadeguato alla scrittura, mi sono sempre sentito troppo “piccolo” per l'editoria. Io che sogno di scrivere come McCarthy o McEwan mi trovo improvvisamente in un mercato editoriale molto strano, che non si fida dei suoi lettori e nemmeno dei suoi scrittori mi viene da pensare.Dentro di me è crollato un castello di carte ma la mia reazione non è stata quella che mi aspettavo. Sono tornato, paradossalmente a credere nella scrittura, ho abbandonato l'idea di “successo”, mi sono liberato da un'ossessione.Ho ricominciato a scrivere.
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