Le cose fondamentali

Creato il 03 giugno 2010 da Fabry2010

di Roberto Carnero

Con il suo libro precedente, ”Stabat Mater” (vincitore l’anno scorso del premio Strega), Tiziano Scarpa aveva svolto un’intensa, serrata riflessione sul tema della maternità. Ora il nuovo romanzo ”Le cose fondamentali” (pagg. 168, euro 18,00) , che esce oggi pubblicato dalla Einaudi , affronta l’esperienza della genitorialità dal punto di vista maschile, cioè da quello del padre. Il protagonista è un certo Leonardo Scarpa (ma – ci assicura l’autore – non si tratta di un personaggio autobiografico, anche perché lo scrittore non ha figli), il quale, quando sua moglie partorisce un bambino, Mario, decide di scrivere una sorta di diario che il ragazzo dovrà leggere quando compirà 14 anni. Si mette cioè a parlare non al neonato, bensì al figlio adolescente, immaginandosi come sarà in quell’età difficile e sperando che le sue parole possano aiutarlo ad affrontarla. Ciò impedisce a Leonardo di vivere nel presente le gioie della paternità, ossessivamente proiettato com’è sull’incerto futuro di suo figlio. Glielo rinfaccia con franchezza, e anche con una certa dose di cinismo, un amico, Tiziano (e qui capiamo che l’autore ha voluto, per così dire, sdoppiarsi in questi due personaggi). Tiziano non ha figli, non ne ha mai voluti e anzi prova una certa insofferenza nei confronti degli entusiasmi dei neo-genitori. Ma Leonardo continua imperterrito a scrivere al figlio: «Forse scriverti è una reazione alla novità inaudita del tuo arrivo su questo mondo, una conseguenza necessaria della tua nascita, non posso interrompermi, non posso farne a meno». Poco più avanti riflette: «È come quando sei innamorato: vuoi vedere la persona che ami, ma le vuoi anche telefonare, e scrivere messaggini, e mandare mail, e spedire lettere, tutto quanto, il più possibile, contemporaneamente». A un certo punto, però, la vicenda vira bruscamente: il piccolo Mario ha una febbre che non passa, il pediatra consiglia la solita Tachipirina, ma la mamma non si fida e decide di portarlo al pronto soccorso. Lì la diagnosi inaspettata: leucemia. Il bimbo viene seguito da un medico donna molto bravo e scrupoloso. Una soluzione sarebbe il trapianto di midollo. Quello della madre però non si rivela compatibile. Ma la sorpresa più grande sarà determinata dagli esami su Leonardo: il padre biologico del bambino non è lui. Per l’uomo si tratta a questo punto di un doppio trauma: la grave malattia del bambino che credeva suo figlio e la scoperta che Mario non gli appartiene. Che cosa farà Leonardo? Forse abbiamo già raccontato troppo della trama, e per non far torto all’autore e ai suoi lettori non andiamo oltre. Anche perché, tra l’altro, il finale è aperto. La storia, avvincente e ben congegnata (oltre che scritta con quell’originalità stilistica, sempre sorprendente, alla quale Scarpa ci ha abituati fin dai suoi esordi), fornisce tutta una serie di spunti riflessivi che l’autore ha saputo cogliere. Sempre in maniera non convenzionale, attraverso immagini potenti (come quella della prima scena del libro, in cui il padre vorrebbe allattare il figlio che piange, cercando di sfidare l’incapacità del corpo maschile a nutrire il bambino) e sprazzi riflessivi che sono forse la cifra più nuova dell’ultimo Scarpa (l’autore di questo e del precedente romanzo). L’incapacità degli adulti di dialogare veramente con i figli, l’insensibilità di questi ultimi nei confronti dei discorsi dei primi, il mistero di un passaggio di consegne tra generazioni che non è mai un mero dato biologico. Sullo sfondo scorre il romanzo di formazione del protagonista, attraverso la voce narrante di Leonardo, il quale ripercorre il proprio essere stato figlio negli anni dell’adolescenza, in cui aveva cercato, per differenza, di trovare la propria identità nella contrapposizione con i genitori. Attraverso scelte – sentimentali e professionali – a questi incomprensibili, magari anche derise perché non capite. Ma per lui quello era l’unico modo per costruire il proprio sé. All’incrocio tra i diversi motivi del libro è centrale la riflessione sulla paternità. «Sono padre, ho pensato. È una cosa che mi fa effetto. Una di quelle parole che avevo sempre considerato da fuori, senza mettere in conto che un giorno sarebbe potuto arrivare qualcuno (tu) in grado di entrarci dentro riempiendola di significato», riflette a un certo punto il protagonista. Ma che cosa significa essere padri? C’è una differenza sostanziale tra il genitore biologico e quello adottivo? «Fare un figlio è considerato un atto di fiducia nell’umanità. Secondo me è il contrario. Proprio perché non sei soddisfatto dell’umanità che c’è già, ne metti al mondo di nuova. Non affronti un problema esistente, ma ne crei un altro, un figlio, un problema nuovo, dando il meglio di te (e non soltanto il meglio) per risolverlo. Non migliori la vita a chi è già vivo: fai nascere qualcuno a cui vivere potrebbe risultare assai sgradito. I veri genitori, quelli che amano l’umanità, sono i genitori adottivi». Il vero padre, in altre parole, è quello che sceglie di esserlo. Al di là del fatto che ci abbia messo lo spermatozoo. Essere padre ha a che fare con la responsabilità di una scelta, con l’assunzione di un ruolo nei confronti di una persona che si è disponibili ad aiutare a crescere. La società però non sembra riconoscere la delicatezza di questo compito: «Per adottare un figlio si fa una quantità di test ai candidati genitori, mentre chiunque voglia mettere al mondo un bambino suo può farlo senza passare nessun esame». Oltre a quello della paternità, l’altro motivo che, seppure in maniera meno immediata, emerge con forza nel libro, soprattutto nelle ultime pagine, ha a che fare con l’arte e il suo ruolo di conoscenza. Per far capire a Leonardo che, in un certo senso, poco importa aver saputo che Mario non è suo figlio e al limite anche sapere, in futuro, chi sia il vero padre del bambino, Tiziano lo porta con sé a Basilea, convincendolo a visitare un museo in cui sono custoditi alcuni dipinti del pittore tedesco della prima metà del XVI secolo Hans Holbein il Giovane. In particolare ce n’è uno in cui sono ritratti la moglie e i due figli dell’autore. Tiziano a Leonardo: «Non gli è bastato sposarsi e concepire due bambini. Li ha fatti entrare nelle sue opere. Devi farlo anche tu». Essere padre ha a che fare con la creatività, presuppone una certa dose di invenzione, immaginazione, fantasia. E l’arte – compresa la scrittura – ha la capacità di promuovere questa intuizione. Il libro di Tiziano Scarpa ha il merito di interrogarsi in profondità sulle grandi questioni dell’esistenza (“le cose fondamentali” del titolo) attraverso le immagini emblematiche della storia che racconta.



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