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Le deliranti rughe di Bob

Da Thefreak @TheFreak_ITA

Questa è la storia di Bob.

Un uomo, come altri, con il volto segnato dalle rughe dell’esperienza. La gente che si imbatteva in lui non trovava mai facile definire cosa si celasse dietro i suoi immensi occhi color ghiaccio.

Era una di quelle creature inquiete per natura, in eterna contraddizione fra il noioso quieto vivere e la smania di andare oltre. Oltre tutto. Le convenzioni, gli stati d’animo, i giudizi e tutti quei pregiudizi che oscurano la vista.

Bob faceva gli stessi gesti di un uomo sposato con la propria solitudine pur di mantenersi libero da ogni vincolo.  Questo però non l’aveva mai indurito nei confronti della vita, anzi aveva trovato la soluzione per rendere la propria esistenza affascinante.

Varcare l’uscio di casa per Bob aveva un significato preciso. Poteva scegliere di  mantenersi sotto le mentite spoglie di un lucido pensionato che trascinava la sua ombra senza meta e poi disegnare a proprio piacimento i contorni di quello che i più avrebbero definito un comunissimo matto di strada.

A volte prendeva un autobus, altre volte decideva di trascorrere quel tempo infinito e prezioso  accoccolandosi su una sedia del bar a pochi metri dalla sua abitazione.

Gli scenari del teatro sarebbero stati riproposti in periodi successivi. Per Bob non aveva importanza, sapeva che ogni giorno avrebbe ascoltato voci di nuovi attori.

Sceglieva con cura chi sarebbe stato oggetto del suo sprezzante gioco, assaporando  gli sguardi e la gestualità delle sue vittime, presagendo  ciò  in cui si sarebbe potuto imbattere. Menù à la carte: paura, disprezzo,disinteresse,  curiosità, ilarità.

Bob parlava poco. O meglio: Bob non si soffermava mai a parlare del vero Bob.

Si era cucito addosso le vesti di un personaggio fittizio e la gente, convinta di aver troppo da dire a proposito di se stessa, ogni volta restava sorpresa nello scoprire che la propria vita fosse davvero banale.

Così aveva deciso di regalare per poche ore ai distratti passanti della sua città la possibilità di fermarsi a osservare o ad ascoltare.

Non lo faceva a titolo gratuito.

Dopo aver preso coscienza della vittoria anche lui voleva il proprio premio. Aveva sconfitto il terrore che pervade gli uomini che superano l’età soglia. Quando inizia quella fase di vita dove la curva dell’esistenza cambia segno improvvisamente nonostante ciò fosse stato preannunciato con largo anticipo da dottori, spot pubblicitari e dall’intensificarsi dei malesseri fisici.

Difficile accettare una fase calante senza margine di miglioramento; un nuovo capello bianco fra tanti altri comporta il diminuire della voglia di mostrarsi al mondo, mentre gli uffici postali, le banche, le farmacie, la sala di attesa del medico di fiducia diventano un alibi di ferro per la propria rassegnazione alla vita.

Bob tutto questo lo aveva lasciato alle spalle. Si divertiva un mondo a curiosare nelle vite altrui e smascherare le anime errabonde della mattina.

In quei parchi, su quei bus riscopriva il piacere di improvvisare e mettere in discussione le deboli certezze di quei volti che profumavano di umanità.

“Uno, sette, quarantuno, Mattia, cinquanta, settemila, trentotto, Genoveffa”. Esordiva spesso così, ululando e rompendo la quiete del gregge di pecore ignaro dell’agguato.  Ma non era mai ripetitivo.

C’era chi rideva macchiandosi di un’insolente presunzione di superiorità. Qualche ragazza toglieva le cuffiette dalle orecchie per capire meglio, mentre qualche  ominicchio occhialuto ritornava composto in seguito ad un vergognoso sussulto del cuore.

Cercava un posto dove potersi sedere in compagnia e disturbare con frasi apparentemente sconnesse qualcuno terribilmente assorto in qualcosa di assolutamente normale.

“Perché non leggi il libro al contrario?” “ Non vuoi sposarti con il tuo cane?” “Voglio assomigliare in tutto e per tutto a te..vorrei camminare come te, parlare come te..e vorrei avere persino  lo stesso odore delle tue ascelle!”

Fastidioso e scomodo a volte, altre volte ridicolo e puerile, decideva arbitrariamente se proseguire o abbandonare il dialogo intrapreso.

Il suo gesto preferito, quello che spiazzava tutti più di ogni altra cosa, era quello di uscire due pennelli dal giaccone verde torbido.  Poi schiudeva i cristalli di ghiaccio che brillavano sul suo viso e chiedeva all’altro di aiutarlo a dipingere.

Espressioni sconvolte. “Ma con quale pittura?” “ Cosa dovrei dipingere?” “Dove se non esiste una tavolozza?”

Ed ogni volta con quel sorriso beffardo si accingeva a dare la risposta che nessuno avrebbe immaginato.

“Non hai tu paura di scomparire? Di diventare invisibile per gli altri? È la più grande paura di tutti e ognuno fa quello che può per ricordare agli altri che esiste. Io risolvo il problema così. Se mi coloro, forse gli altri riusciranno a vedermi anche domani. Quattro, centodiciotto, Martino, tre, novantamila.”

Anche se ogni volta si trovava un volto con una storia diversa alle spalle era incredibile per Bob notare che sulla fronte avrebbe fatto capolino quella ruga decisa che calcava le sopracciglia sugli occhi di fronte.

In brevissimi istanti si consolidava il dubbio di aver sottovalutato Bob, un essere malato di solitudine e senilità che merita solo compassione. Non solo di averlo sottovalutato, ma di aver sopravvalutato se stessi, le proprie azioni e l’importanza di pomposi discorsi. Di quelle frasi giuste e misurate, pronunciate nei tempi giusti e con le persone giuste.

Sennonché, come ogni evento di breve durata,  anche l’atto di dubitare trova una fine.

Triste. Tutte le volte la ruga trovava il modo per distendersi e scomparire.

Poi immancabile quella frase, che in molte conversazioni nasconde codardia e imbarazzo allo stesso tempo. “Si è fatto tardi ed ho un impegno importante, sarà per un’altra volta.”  Cala il sipario.


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