Le divisioni interne rallentano il percorso politico dell’Egitto

Creato il 27 aprile 2015 da Conflittiestrategie

[Traduzione di Francesco d’Eugenio da: https://www.stratfor.com/analysis/internal-rifts-slow-egypts-political-progress]

In breve

Nell’Egitto del dopo-golpe, le divisioni interne stanno ostacolando il processo politico. Il ritardo delle elezioni parlamentari impedirà al Presidente Abdel Fattah al-Sisi <https://www.stratfor.com/analysis/egypts-future-hinges-al-sisi-presidency> di fare progressi verso la stabilizzazione politica del paese, e di concentrare gli sforzi sui problemi amministrativi e sul miglioramento dell’economia. Allo stesso tempo, la lotta dello stato egiziano contro le proprie divisioni interne e contro la Fratellanza Musulmana complicheranno sia i rapporti con l’Arabia Saudita che le politiche nei confronti di Gaza.

Analisi

Il 15 marzo, nel resort egiziano sul Mar Rosso di Sharm el-Sheik, si è conclusa un’importante conferenza finanziaria internazionale. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale dell’Egitto, Middle East News, la conferenza ha portato alla firma di 40 accordi e protocolli d’intesa per un valore di 38,2 miliardi di dollari. La conferenza si è tenuta a pochi giorni di distanza da alcune decisioni cruciali della magistratura egiziana. La prima è una sentenza della Corte Suprema che dichiara incostituzionale un articolo della legge che definisce le circoscrizioni elettorali. A seguito di tale sentenza, la Corte Amministrativa ha sospeso le elezioni parlamentari programmate per il 22 marzo. La seconda sentenza viene dal Tribunale per gli Affari Urgenti, e ha designato il movimento islamista palestinese Hamas un’organizzazione terroristica.

Questi tre avvenimenti giungono mentre al-Sisi sta cercando di districarsi in un difficile clima interno e internazionale. In Egitto ha bisogno di completare il nuovo ordinamento politico seguito al colpo di stato da lui perpetrato nel 2013 ai danni del leader della Fratellanza Musulmana Mohammed Morsi. Le elezioni parlamentari sono un elemento critico di tale processo di stabilizzazione. Ci si aspettava che avrebbero eletto una legislatura compiacente, dato che sia il campo laico che quello islamista sono divisi al loro interno <https://www.stratfor.com/analysis/egypts-fragmenting-islamist-and-secular-camps>.

Al-Sisi ha bisogno delle elezioni per mantenere l’appoggio politico interno, ma un clima disteso è necessario anche ai suoi piani per ottenere i finanziamenti promessi alla conferenza di Sharm el-Sheikh. Le elezioni posticipate impediscono all’Egitto di ricevere aiuti militari dagli USA, sebbene l’Egitto stia cercando di compensare firmando accordi con la Russia.

Per fare progressi nella sua agenda politica sia interna che estera, ha bisogno che ciascuna componente del governo si muova in sincronia con le altre. Invece alla preoccupazione per la cattiva situazione economica si aggiunge la mano pesante delle forze di sicurezza interna che garantiscono la sicurezza giornaliera del paese. Queste sentenze aumentano l’incertezza del panorama politico interno.

Fratture interne

La decisione della Corte Suprema posticipa la formazione del parlamento – un organo che non esiste dal 2012, quando la stessa Corte Suprema ha sciolto il parlamento dominato dalla Fratellanza Musulmana e dal suo avversario principale, il partito salafita al-Nour. La sentenza è indice della profonda frammentazione nel governo egiziano, che vede differenze di vedute sia tra le istituzioni governative che tra i gruppi civili che appoggiano il governo.

Diverse istituzioni sentono la necessità di riaffermarsi dopo il collasso dell’esperimento democratico. In particolare il Ministero dell’Interno e la magistratura sono felici di avere i militari di nuovo al potere, ma sono preoccupati perché il grado d’ordine esistente al tempo di Hosni Mubarak non è ristabilito. Inoltre, al-Sisi è stretto tra la sua vecchia istituzione, le forze armate (che sta cercando il più possibile di conservare il controllo sull’economia), e il bisogno di coltivare la classe imprenditoriale civile.

La macchina burocratica dell’Egitto non vuole che un nuovo parlamento alteri lo status quo. I burocrati sanno di non poter impedire l’instaurarsi di una legislatura, e proprio per questo motivo vorrebbero limitare fortemente l’efficacia del parlamento. Al contrario di al-Sisi, queste forze non pensano che le divisioni nel paesaggio politico e ideologico produrranno necessariamente una legislatura impotente. Imporre delle modifiche alla legge elettorale è il mezzo che i burocrati useranno per assicurarsi che il futuro parlamento non possa minacciare i suoi interessi. Ciò permetterà inoltre a questi elementi di costringere al-Sisi a fare delle concessioni che proteggano le loro istituzioni.

Gli apparati giudiziari e di sicurezza sanno che il Presidente è un ufficiale eletto che sottostà agli umori del pubblico, rendendolo suscettibile ad agire a favore di politiche popolari che non avvantaggino necessariamente l’establishment politico egiziano. Infatti, nel suo discorso in chiusura della conferenza finanziaria, al-Sisi ha dichiarato che si sarebbe fatto da parte, qualora gli Egiziani lo avessero richiesto. Il presidente sa anche di non avere molto tempo prima che l’opinione pubblica gli si rivolga contro. Nello stesso discorso, ha dichiarato che i progetti proposti devono essere completati al più presto possibile, esortando i suoi connazionali a lavorare “mille volte di più” l’uno con l’altro e sui progetti approvati alla conferenza.

Chiaramente al-Sisi è preoccupato di un ritorno dell’incertezza diffusa ed ha bisogno di poter mostrare qualche progresso. Sa anche che capovolgere la situazione economica richiederà del tempo. Per questa ragione, ha bisogno di far vedere che il pubblico approva lo stato, e un parlamento è la chiave per raggiungere questo obiettivo.

Ritardando la formazione di una legislatura e facendo pressioni per una riforma elettorale, l’establishment dell’Egitto vuole assicurarsi di non perdere terreno mentre il Presidente cerca di rimanere al potere. Per raggiungere questo obbiettivo, deve fare in modo che il parlamento non possa agire in modo coerente, e non sia abbastanza forte da minare la sua autorità. Le forze di sicurezza non vogliono sottostare al volere popolare mediante la legislatura, e l’apparato giudiziario non vuole che il parlamento legiferi in modo da limitare il potere dei tribunali. Lopposizione della Corte Suprema alla legge elettorale ha ritardato la formazione della legislatura, e anche se il presidente risolvesse il problema, potrebbero sorgerne altri.

Tensione tra al-Sisi e la magistratura

La legge che ha determinato la bocciatura da parte della Corte Suprema avrebbe creato 567 seggi parlamentari, di cui 420 da dividere tra i singoli candidati, 120 secondo le liste di partito e 27 assegnati dal presidente. Al-Sisi ha risposto velocemente alla sentenza, ordinando che la legge venga modificata non appena le motivazioni del giudizio di incostituzionalità saranno chiare. Nella stessa dichiarazione ha anche stabilito che la nuova legge debba essere scritta entro un mese ed ha sottolineato l’importanza di procedere alla tappa successiva nel cammino politico del dopo-golpe – le elezioni parlamentari.

Sebbene il governo di al-Sisi vorrebbe superare rapidamente questo ostacolo, una nuova bozza di legge potrebbe richiedere diversi mesi, mentre la presidenza e la magistratura cercano di raggiungere un accordo su come definire le circoscrizioni elettorali. C’è poi la possibilità che anche la nuova legge elettorale vada soggetta a problemi di costituzionalità. Trovare un accordo potrebbe richiedere tempo. Inoltre, la creazione di nuove circoscrizioni comporta un ritardo addizionale per consentire ai cittadini di candidarsi.

Naturalmente al-Sisi esercita una certa influenza sulla magistratura. Ciononostante l’apparato giudiziario ha sempre goduto di una certa autonomia, persino durante l’era Mubarak. La sentenza che a novembre 2014 ha assolto Mubarak, i suoi figli e i suoi collaboratori dalle accuse di omicidio e corruzione non ha certo contribuito ai piani di al-Sisi per dimostrare che la sua ascesa al potere non rappresenta un ritorno alla situazione precedente. La fine dell’era Mubarak non ha fatto altro che costringere la magistratura a riaffermarsi, mossa dal timore di quale potrebbe essere il suo stato col nuovo governo. I giudici sanno anche che al-Sisi e i militari hanno bisogno di loro e che dovranno scendere a patti. Al-Sisi vorrebbe portare a termine il processo di normalizzazione, visto che è asceso al potere mediante un colpo di stato (anche se appoggiato dal popolo) che ha rovesciato il primo presidente democraticamente eletto dell’Egitto. Quest’intervento da parte della più alta corte del paese rappresenta una sconfitta.

Al-Sisi ha bisogno di muoversi velocemente anche per potersi concentrare rapidamente sul miglioramento della situazione economica – cosa che non può fare se la legittimità del governo è in discussione. Sebbene per ora la Fratellanza Musulmana sia stata contenuta, se al-Sisi non dovesse riuscire a normalizzare l’economia politica, il movimento islamista potrebbe sfruttare il possibile malcontento della gente comune. Al-Sisi sa di non poter operare una riconciliazione senza indebolire la propria posizione. Per di più, alla Fratellanza Musulmana non interessa affatto trattare con il Presidente, né gli apparati di sicurezza e altri settori della burocrazia civile approverebbero tali negoziati. L’unica possibile soluzione è fare in modo che venga formato il parlamento.

Finché la sentenza della Corte Suprema non ha messo in discussione il processo, al-Sisi era sul punto di ottenere il parlamento che voleva. In effetti, ci si aspettava che il prossimo parlamento avrebbe rappresentato sia i laici che gli islamisti, cosa che gli avrebbe garantito un’aura di legittimità. Non è chiaro quando al-Sisi potrà portare a termine il processo politico ed avere la legislatura, la sua è una corsa contro il tempo.

Politica estera

L’economia politica interna non è la sola fonte di preoccupazione per lui. Al-Sisi deve affrontare anche le sfide della politica estera. Il 28 febbraio una sentenza ha dichiarato Hamas un’organizzazione terroristica, mentre qualche settimana prima anche il braccio armato del movimento di resistenza palestinese, le Brigate Izz ad-Din al-Qassam, sono state dichiarate un gruppo terroristico. L’11 marzo l’Autorità Legale Statale dell’Egitto ha esposto un ricorso contro questa sentenza presso il Tribunale per gli Affari Urgenti, un altro segnale di divergenza all’interno del governo egiziano.

In un momento in cui il Cairo deve affrontare la guerriglia jihadista nella Penisola del Sinai <https://www.stratfor.com/analysis/egyptian-military-fighting-enemies-domestic-not-foreign>,

potenziali attacchi sul suo territorio, nonché il pericolo dello Stato Islamico in Libia <https://www.stratfor.com/analysis/egypt-launches-airstrikes-against-islamic-state-libya>, non ha certo bisogno di aprire un altro fronte a Gaza contro Hamas. Tuttavia, sembra che degli elementi estremisti all’interno dello stato egiziano, desiderosi di estirpare la Fratellanza Musulmana, abbiano rovesciato la politica di collaborazione con Hamas da un lato e di opposizione alla Fratellanza Musulmana dall’altro che durava da decenni. Questi duri e puri, che alcuni opinionisti chiamano “gli sradicatori”, desiderano neutralizzare tutti gli islamisti, e cercano di equiparare i partiti islamisti e le fazioni armate, specialmente lo Stato Islamico. Tali forze vorrebbero che anche il partito al-Nour venisse bandito, sebbene sia molto vicino allo stesso presidente.

I realisti invece non condividono la nuova politica contro Hamas, perché ritengono che i problemi nel Sinai si aggraveranno se il principale movimento islamista palestinese si indebolisse. I jihadisti otterrebbero più spazio sul fianco sinistro dell’Egitto, proprio nel momento in cui il Cairo si sforza perché le analoghe condizioni lungo la frontiera occidentale non si aggravino. Per molti all’interno del governo, il problema non è Hamas; essi vedono il movimento come il mezzo che la Turchia e il Qatar usano per esercitare la propria influenza sull’Egitto, ed è per questo che vogliono vedere l’organizzazione etichettata come terrorista, perché ciò renderebbe difficile per Ankara e Doha lavorare con tale gruppo.

La designazione di Hamas quale organizzazione terroristica arriva poco dopo l’ascesa al trono del nuovo monarca saudita. Il re saudita Salman bin Hamad al-Khalifa non ha alcun interesse a scontrarsi con la Fratellanza Musulmana, ed ha anzi incoraggiato al-Sisi a riconciliarsi con il gruppo (assieme agli altri paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che forniscono aiuti finanziari all’Egitto). Per ora nulla lascia intendere che Riyadh decida di spingere seriamente su questo punto, in particolare perché l’Arabia Saudita sta cercando di barcamenarsi tra il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti sul problema della Fratellanza Musulmana <https://www.stratfor.com/analysis/saudi-arabia-can-adversary-become-partner>.

Non è altresì chiaro quanto il leader Egiziano possa realmente fare in questo senso. Date le divergenze all’interno del governo egiziano, è improbabile che possa andare lontano su questa strada. Tale mancanza di progressi potrebbe creare problemi tra il Cairo e Riyadh e acuire le divisioni interne sia nel governo egiziano che in quello saudita.

Le sentenze su Hamas e sulle elezioni parlamentari dimostrano che prima di poter affrontare le sfide chiave interne ed esterne, al-Sisi deve mantenere la coesione delle istituzioni governative. Altrimenti, diverse forze con interessi e prospettive divergenti vanificheranno i suoi sforzi per stabilizzare l’Egitto.


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