Magazine Cultura

Le donne che vorremmo incontrare: Mary Arnaldi - 1

Creato il 10 settembre 2012 da Sulromanzo

Rinaldo ArnaldiMary Arnaldi, staffetta della resistenza vicentina, racconta a Benito Gramola quei giorni leggendari e così umani.

***

Il rastrellamento di Granezza cominciò il 6 settembre 1944 e Rinaldo era lassù.

Di giorno in giorno noi si attendeva il suo ritorno specialmente quando cominciarono a spargersi le notizie dello sganciamento della “Mazzini”.

Nell’attesa, però, era sempre viva la speranza che pure lui si fosse spostato in qualcuno dei rifugi della montagna e arrivammo, così, alla domenica.

Ora mi è difficile descriverti le ore dalle 14 all’una di notte di quel 10 di settembre.

Quando arrivai a Fara in casa Boschiero trovai soltanto Maria, la sorella di Lia e Giovanni, perché tutti al mio giungere erano scappati.

Maria incominciò a intrattenermi con qualche frase d’occasione: i momenti che stavamo attraversando, le privazioni che tutti dovevano affrontare, cercando di capire cosa io sapessi, che cosa sospettassi.

Alla mia richiesta di “Loris”, essendo lei già sposata fuori casa e ora in visita dai fratelli, rispose che non aveva particolari notizie ed anche Giustino e Leo Boschiero, venuti a salutarmi, erano vaghi nel rispondere. Uscivano, raggiungevano gli altri amici, seppi dopo, parlottavano con loro dicendo: «Non sospetta di nulla, ci chiede in quale zona possa trovarsi “Loris”» e se ne stavano in attesa.

Ad un tratto Maria, che non sapeva come farmi comprendere quanto era accaduto, riportò il discorso sul rastrellamento e disse: «Nella vita bisogna essere, sempre, pronti a tutto!». Udire queste parole ed esclamare: «Ma, allora è morto!» è stato tutt’uno. Non ebbero più nulla da dire, avevo capito e, purtroppo, era la verità.

Sentivo un gran dolore: pensavo ai miei genitori, alle sorelle, a Tom prigioniero lontano.

Come potevo dir loro che Rinaldo non sarebbe più tornato; Rinaldo che aveva affrontato e superato tanti e tanti pericoli e sempre ripeteva: «Assicura mamma e papà che ritorneremo, tutti torneremo, ma, prima, c’è ancora tanto lavoro, tanto bene da fare!»

Così pensavo, chiusa in me stessa, e quando alzai gli occhi li vidi tutti lì: Leda e gli altri, avvertiti da Maria, mi si erano stretti intorno per farmi sentire, in silenzio, il loro dolore e l’affetto che portavano a Rinaldo.

Lia e Cesare, mi dissero, erano scesi a Dueville per avvertire la famiglia che “Loris” era a Fara, portato giù da Granezza, dove già al venerdì erano saliti a cercarlo perché volevano che il loro amico riposasse nel cimitero tra i loro cari.

Leda, intanto, mi accompagnò a casa sua in attesa che giungesse qualcuno da Dueville. Vennero, infatti, Mimma e mio cognato De Antoni. Ci raggiunsero in casa Scalabrin. Lì aspettammo la notte fonda per giungere al cimitero attraverso la campagna e portare al nostro caro l’ultimo saluto alla luce di una torcia.

Rinaldo era avvolto nel tricolore, la bandiera delle scuole di Farneda, portata dalla mamma di Flavio.

Il mattino seguente ritornammo a casa; papà era già partito per Albettone dove era stato ancora una volta trasferito, o confinato. Era partito per tempo nel timore di non avere più la forza di mettersi in viaggio, se mi avesse vista quel giorno.

Io salutai la mamma. Rimasi con lei e le sorelle attorno al suo letto per un paio d’ore, sempre parlando di lui e del suo lavoro; poi presi la bicicletta e partii per la Ganna dove dovevo incontrarmi con quelli di Rovereto percorrendo quella strada che, in quel giorno, ha conosciuto tutte le mie lacrime.

[tratto da Le donne e la resistenza di Benito Gramola, La Serenissima 1994]

Media: Scegli un punteggio12345 Il tuo voto: Nessuno Media: 4 (1 vote)

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :