La fortuna editoriale dell'angolano José Eduardo Agualusa nel nostro Paese non è recente, ma va a fasi alterne. Pubblicata più di dieci anni fa da un piccolo editore napoletano, è ormai introvabile la sua opera prima, “La congiura”, romanzo storico ambientato in Angola a cavallo fra XIX e XX secolo, nei circoli politico-intellettuali che sono alle radici del nazionalismo africano; quel nazionalismo che più tardi porterà ai processi di decolonizzazione che nell'Africa lusofona, senza contare gli strascichi sanguinosi, si completeranno solo negli anni '70. Di libri ne son poi venuti altri, tradotti in una ventina di lingue, e nel 2007 il premio del quotidiano inglese Independent per la narrativa straniera a “Il venditore di passati”, oThe Book of Chameleons;romanzo di gente che vuol rifarsi un passato, lignaggio, nazionalità, fedina penale... Il tutto deliziosamente raccontato da un geco che se ne sta attaccato al muro, osserva e qualche volta sogna. A riprendere in mano le sorti di Agualusa in Italia, negli ultimi anni, ci hanno pensato altre due piccole case editrici. La Nuova Frontiera sembra puntare sui romanzi lunghi di questo autore che non disdegna la miniatura, ossia il narrar breve e brevissimo (nel frattempo accolto presso le Edizioni dell'Urogallo, con i titoli “Borges all'inferno” e “Un estraneo a Goa”). Oltre al citato “Venditore di passati” e “Quando Zumbi prese Rio” (incentrato sulle turbolenze in una favela brasiliana), l'ultima uscita da noi è “Le donne di mio padre” (La Nuova Frontiera, 2010, trad.: G. De Marchis).
A ben vedere, Agualusa rappresenta a suo modo quella narrativa a “struttura accumulativa, modulare, combinatoria” di cui parla Calvino in una delle sue lezioni americane. Dunque “scrive breve” anche quando “scrive lungo”. Libri “maggiori” e “minori” risultano sempre dal montaggio di diverso respiro di piccole gemme eterogenee in cui reale e fantastico, erudizione ed esotismo, Borges e Chatwin si riflettono in un personale minimalismo magico. Il suo ultimo e forse più decomposto romanzo (Milagrário pessoal, edito in Portogallo qualche mese fa) nella struttura ricorda proprio Se una notte d'inverno un viaggiatore, con la sua coppia di protagonisti e la loro ricerca (puntualmente frustrata) non del romanzo perfetto, ma di vestigi lessicali di una mitica lingua degli uccelli. D'altronde Calvino è stato tradotto regolarmente in portoghese solo negli ultimi quindici anni e aspetta ancora, che io sappia, un bilancio ragionato della sua influenza nelle letterature lusofone.

D'altronde le ferite vecchie e nuove dell'Africa, le luci e le ombre degli imperi defunti, i paradossi del colonialismo sono in Agualusa costanti tematiche quasi ossessive, ma trattate con la leggerezza curiosa e discretamente barocca di un intellettuale che forse non ha smesso di sperare nel passato, come se dagli indizi eventualmente estrapolati da esso potessero ancora emergere utili istruzioni per l'uso del futuro. E a metà strada fra il segno di speranza a venire e l'inesorabile ripetersi della storia privata come di quella collettiva, “Le donne di mio padre” si chiude con altre gravidanze inattese e di dubbia paternità. Mentre i papà perduti li ritroviamo dove li avevamo lasciati.






