"Le due dottrine eterodosse: il Jainismo"
Da Risveglioedizioni
Il giainismo (o Jainismo) è un'antica filosofia indiana che non implica l'adorazione delle divinità personificate ed è basata sugli insegnamenti di Mahavira (559-527 a.C.), un asceta contemporareo a Buddha, soprannominato il «grande eroe» e di nobili origini, che indicava la via alla perfezione umana sulla base della nonviolenza. Egli è stato l'ultimo di ventiquattro maestri, chiamati tradizionalmente Tīrthakara, e lavorò al fine di creare un modo di vivere, comprendere e codificare le verità eterne, le stesse riscontrabili negli insegnamenti degli uomini che hanno raggiunto l'illuminazione, condizione dell'essere identificabile con il Nirvana buddhista. Si racconta che lo stesso Mahavira, dopo dodici anni di vita ascetica, raggiunse la realizzazione e da quel momento sviluppò la sua dottrina, nel tentativo di aiutare i discepoli a fare la stessa esperienza meravigliosa di cui aveva goduto. Secondo questa filosofia il mondo consiste in due cose contrapposte: le numerosissime anime e la materia, in costante trasformazione a seconda dell'anima che la rende viva. L'anima, invece, è qui percepita come prigioniera della materia, costretta a percorrere un ciclo di esistenze che terminerà solo con la liberazione suprema, ossia l'illuminazione. I fedeli, inoltre, ritengono che la filosofia sia stata comunicata all'umanità terrestre da Rishabha, un maestro dai connotati leggendari, anche se pare che la sua esistenza sia attestata da alcuni sigilli ed artefatti risalenti alla civiltà della valle dell'Indo (ca. 3000-1500 a.C.), dissepolti nel 1921. Il Jainismo insegna che la vera identità di ogni essere vivente, sia esso un insetto, un mammifero o un uomo, è quella di anima sempiterna e responsabile delle proprie azioni, nonché degli effetti che ne deriveranno, è perciò importante condurre la propria vita in modo rispettoso nei confronti della natura spirituale di ogni essere vivente, senza arrecare danno ad alcuna creatura, ma onorandole al meglio delle proprie capacità. In questo contesto Dio viene identificato con i tratti immutabili dell'anima pura, ossia conoscenza, percezione, coscienza e felicità; non è contemplata l'idea di creatore, perché l'universo viene considerato eterno, senza inizio né fine, semplicemente in costante mutamento, poiché passa attraverso una serie infinita di cicli o oscillazioni. Ognuna di queste oscillazioni, verso il basso o verso l'alto, ha una durata fissa di migliaia di anni e viene divisa in sei epoche del mondo (yugas). Attualmente stiamo vivendo nella quinta epoca verso il basso e dal momento che verrà raggiunto il punto inferiore anche il giainismo stesso verrà dimenticato, per poi essere riscoperto nella prossima oscillazione verso l'alto e così via. In ognuna di queste alternanze temporali incredibilmente lunghe, ci sono sempre ventiquattro Tirthankara, importanti personalità che riformano e riportano alla popolazione credenze e pratiche in linea con la filosofia universale, sulla quale si dice sia basata la dottrina. Il concetto di non-violenza trova in questa dottrina un estremizzazione, che si ripercuote anche nella dieta del fedele portato ad escludere non solo la carne, ma anche ogni vegetale che la ricorda vagamente; persino l'acqua viene filtrata al fine di non ingerire involontariamente piccoli organismi. È inoltre vietato mangiare, bere e viaggiare dopo il tramonto, questo perché all'epoca in cui Mahavira pose questi divieti non esisteva la lampadina e, privati del senso visivo,è impossibile assicurarsi di non ingerire alcun organismo vivente durante le azioni di mangiare e bere, come è impossibile evitare di calpestare qualche insetto viaggiando. Parimenti è comandato di alzarsi prima dell'alba, poiché la luce del sole (e quindi del mondo) deve cogliere l'uomo sveglio e vigile. Tutte queste regole, a mio avviso, hanno perso attinenza nel mondo odierno, fino a risultare impraticabili in alcune parti del mondo come l'occidente, in cui si trae maggior beneficio da un percorso lontano dagli estremismi, più in equilibrio ed in armonia con la naturalità dell'uomo, come il buddhismo. Il Jainismo è una delle più piccole fra le maggiori religioni mondiali, conta dagli otto ai dieci milioni di fedeli che, malgrado il numero esiguo rispetto al totale della popolazione, in India occupano posizioni importanti, soprattutto nel campo della finanza ed della scienza. La regione in cui questa filosofia è maggiormente praticata porta il nome di Punjab, traducibile letteralmente come “La terra dei cinque fiumi”, situata sul confine tra India e Pakistan. I Jainisti sono ampiamente riconosciuti come uomini degni d' importanza nella cultura del paese, anche grazie ai loro ingenti contributi volti allo sviluppo della filosofia, dell'arte, dell'architettura, della scienza e della politica indiana. Si dice che addirittura Gandhi fu influenzato da questa corrente di pensiero, tant'è vero che è possibile riscontrare molte similitudini tra questa dottrina ed i suoi insegnamenti. Come accennato prima, questa dottrina prevede che la realtà sia composta da due principi eterni, uno esplicabile come un numero infinito di unità spirituali intrappolate nell'altro, quest'ultimo rappresentato dalla materia in tutte le sue forme e condizioni, inclusi tempo, spazio e movimento. I Giainisti credono che gni contatto tra le Anime e la materia causi dolore alla prima, di conseguenza vedono la vita in questo mondo e la sofferenza come due cose inscindibili. In questo contesto si pensa che non esista un modo per impedire la sofferenza, perché essa è frutto del contatto tra l' essere eterno che dimora nell'uomo e l'incarcerante dimensione materiale; per cui l'unico modo per emanciparsi dalla sofferenza è smettere di incarnarsi. Le cause della prigionia dell'essenza umana nella materia sono principalmente il Karma e la reincarnazione da un corpo all'altro ed ottenere la liberazione da questa condizione non è semplice. In questa corrente vige la credenza che ogni azione compiuta dalla persona, sia essa buona o cattiva, spalanchi i canali dei sensi (vista, udito, tatto, gusto e olfatto) al passaggio del karma, inteso qui come una sostanza invisibile che si attacca allo Spirito e vi rimane, determinando le caratteristiche e le esperienze da fare nella prossima reincarnazione. Commettere azioni negative, che causano dolore ad un essere, comportano come conseguenza un karma pesante, che schiaccia la parte eterna dell'uomo, costringendola ad entrare in un nuovo corpo dove si vivrà in condizioni meno agiate. Per contro, attraverso le buone azioni alleggeriamo il karma, permettendo all'Anima di trasmigrare in un contesto più elevato, dove il patimento da sopportare diminuisce, ma ciò non è sufficiente al fine di raggiungere la libertà suprema. Il karma è il meccanismo di causa/effetto per virtù del quale tutte le azioni hanno delle conseguenze inevitabili, ed opera per perpetuare la reincarnazione dello spirito e la sofferenza da essa derivante. Per questo motivo il mokṣa (liberazione dalla reincarnazione) implica necessariamente la distruzione del karma che, secondo i giainisti, può avvenire soltanto attraverso il ritiro dal mondo e da tutti i suoi coinvolgimenti, perseguendo la via ascetica al fine di chiudere i canali dei sensi, trovare l'immobilità in modo da bruciare il vecchio karma ed impedire l'accumulo del nuovo. In questo modo alla morte, senza essere appesantiti dal karma e quindi ancorati al pianeta, l'essenza dell'uomo s'innalzerà, finalmente libera dal vincolo con la dimensione materiale e le incarnazioni. A questo punto essa raggiungerà la vetta dell'universo, approdando in un luogo o stato chiamato Siddhashila, dove risiedono i Siddha, ossia i maestri illuminati che hanno abbandonato il proprio corpo, le Anime pure, che qui vivono immerse nella loro natura eterna, nonché condizione di beatitudine ed immobilità. La spiritualità, all'interno di questa corrente tradizionale, non è affrontata da tutti allo stesso modo: da un lato ci sono i monaci, che hanno scelto di dedicare l'intera vita allo scopo di liberare la propria Anima dalla morsa della materia, mentre dall'altro ci sono giainisti del popolo, persone comuni che si dedicano a pratiche meno rigorose, sforzandosi di comportarsi seguendo i concetti cardine della filosofia e di compiere buone azioni. A causa della forte impronta etica di questa disciplina, chi vi aderisce ha il dovere di fondare la propria professione, nonché stile di vita, su tali norme morali, le quali condannano la violenza in tutte le sue forme. Per questo motivo, anche la carriera dei fedeli, sarà improntata in ambiti dove è possibile evitare l'uso della forza su qualsiasi essere vivente. Nel loro sforzo di raggiungere la totale beatitudine, che coincide con la liberazione permanente dello Spirito dalla vita mondana e tutto ciò che comporta, i giainisti credono che nessuno possa sostituirsi a loro stessi per semplificargli il percorso, ma piuttosto ognuno deve ricercare da solo le condizioni che conducono all'illuminazione. Ne consegue che, secondo questo pensiero, nemmeno gli dei hanno il potere di aiutare la parte immateriale dell'uomo ad evadere dalla sua densa prigione, ed è proprio per questo che non viene attribuita importanza all'aspetto devozionale. È solo attraverso i loro stessi sforzi che gli individui possono raggiungere la vetta dell'universo, quel luogo dove non esiste materia ed ogni Anima vive consapevole della sua vera natura. Infatti, neppure le entità più elevate possono raggiungere la loro liberazione finché non siano reincarnati come umani e intraprendano le difficili azioni di rimuovere il karma. Il codice etico del giainismo pone le sue basi nei Cinque Giuramenti, riconosciuti ed accettati da tutte le religioni nate in India, ma in questo contesto osservate con un rigore del tutto eccezionale. Il primo giuramento è la Nonviolenza (ahinsa, o ahimsa), il non recare danno alla vita e non riguarda soltanto quella umana, ma anche animale, vegetale e di qualsiasi altro essere, poiché ognuno di essi è in realtà un Anima potenzialmente uguale a tutte le altre. Tale principio viene applicato non solo alle azioni, pensieri e parole, ma implica anche il rigoroso vegetarianismo. Poi si incontra il giuramento della Verità (satya), comprendente due aspetti: dire sempre la verità e condannare la falsità. Dal momento che verità può essere sgradita, è consentito tacere ciò che ha delle probabilità di portare discordia, creare odio o dolore, ma ciò non giustifica l'uso della menzogna, a cui si preferisce il silenzio. Un'altra importante regola etica è il Non-furto (asteya) e prevede di evitare l'appropriazione di ciò che non ci appartiene debitamente. Le proprietà e ricchezze contribuiscono al benessere dell'individuo, perciò in questa cultura si pensa che derubare un uomo della sua ricchezza equivalga a privarlo della propria dignità e, nei casi più estremi, della stessa vita. La quarta norma etica è la Castità (brahmacharya), ma in questo contesto assume un significato essenzialmente diverso da quello che gli attribuiamo in occidente, poiché solo i monaci sono obbligati al celibato, mentre i comuni giainisti non devono astenersi dal sesso, piuttosto praticarlo esclusivamente all'interno del matrimonio. In tal senso, la castità, viene interpretata come auto-indulgenza in ogni sua forma, compresa quella della vanità. L'ultimo giuramento consiste nel Non-possesso (aparigrah), o meglio il Distacco da ciò che abbiamo, ovvero liberarsi dalla schiavitù dei piaceri mondani. Suddetto precetto è l'equivalente del non attaccamento buddhista, in quanto non sono i piaceri ad essere vietati, ma la bramosia e la dipendenza da essi. Secondo i fedeli di questa religione, osservare i cinque giuramenti conduce allo stato dell'essere in cui si ottengono infinita sapienza, potere e beatitudine. Uno dei concetti fondamentali di questa religione è la teoria della schivitù, e si tratta, in realtà, di una riaffermazione della Legge del Karma, che accomuna tutte le religioni indiane e le filosofie orientali, diversificandosi ad ogni corrente per dettagli e interpretazione. Per il giainismo tutto ciò che esiste è costituito da essenze diverse, tra cui si riconoscono anche il tempo e lo spazio spazio. Ogni organismo vivente contiene un'Anima individuale, diversa dal quella universale, l'atma, che ha invece una perfezione intrinseca ed infinite potenzialità. La schiavitù umana simboleggia, nelle correnti di pensiero indiane, il vincolo al ciclo nascita/morte/nascita, dove Il Karma - le azioni passate - determina il suo status contemporaneo. Quest'idea è accettata da tutte le filosofie indiane, ma nel giainismo anche le passioni (rabbia, avidità, orgoglio e infatuazione) vengono considerate una forza karmica, ovvero un'invisibile e pesante sostanza che contamina l'anima appesantendola e costringendola a rinascere. Individuato il problema si cerca la soluzione e questa è diversa per ogni corrente di pensiero indiana, sia essa ortodossa o eterodossa. Le passioni, malgrado in questa realtà siano molto forti e coinvolgenti, non sono proprie dell'Anima, nascono piuttosto dall'ignoranza della nostra vera natura e della realtà più elevata. Queste lacune possono essere colmate, secondo la tradizione giainista, solo attraverso lo studio degli insegnamenti tramandati dai maestri che hanno conosciuto in prima persona la libertà, come i 24 Tirthankars, ispiratori di questa filosofia, ovviamente riconosciuti come anime liberate. I tre grandi insegnamenti da osservare per la libertà sono la giusta fede, la giusta conoscenza e la giusta condotta, dove i primi due coincidono con qualsiasi cosa l'individuo ritenga migliore per il bene comune e sono indissolubilmente legati poiché ogni campo che si può scegliere implica una diversa formazione, ossia una specifica conoscenza. La buona condotta, invece, può essere riassunta come il fare soltanto ciò che è bene per noi stessi e per gli altri, senza danneggiare alcun essere, ma questo implica tutta una serie di aspetti, come rispettare i Cinque Grandi Giuramenti, impegnarsi ad essere consapevoli di ogni azione, pensiero o parola al fine di evitare che questi rechino danno a qualcuno, oppure che vadano in conflitto con la propria personale etica. L'aspetto della coscienza di sé ha un ruolo di fondamentale importanza in ognuna delle filosofie indiane, questo perché non è possibile crescere e migliorarsi se non si rompono gli automatismi che attualmente ci governano e poiché questi giacciono nell'inconscio, l'unico modo per dissolverli è diventarne coscienti. Inoltre, l'attenzione alle proprie azioni, è di fondamentale importanza per rendere queste coerenti con il nostro sentire e ciò che riteniamo giusto, oltre a permetterci di comprendere la legge di causa ed effetto, constatando in prima persona il legame tra le nostre azioni e le reazioni a cui conducono. Secondo il giainismo le leggi cosmiche non ammettono ignoranza, esattamente come lanciando una pietra in aria questa ricade a terra, a prescindere dalla conoscenza o ignoranza della legge di gravità da parte di chi ha commesso il gesto. Nell'interpretazione della giusta condotta vengono inclusi anche i dieci comportamenti virtuosi (Dharma), anche questi comuni a molte dottrine indiane, tra i quali si riconoscono, oltre ai precetti insiti nei Cinque Grandi Giuramenti, perdono, umiltà, chiarezza, sincerità, pulizia. Ulteriori dimensioni della perfetta condotta sono la meditazione sulla verità, la trascendenza del dolore e dei disagi del corpo fisico, nonché l'impegno e la volontà di raggiungere la visione obbiettiva, neutrale, che conduce alla purezza ed alla grazia assoluta. La non violenza, in sanscrito Ahimsa (composto da “a”, non, ed “himsa”, violenza), è un importante precetto condiviso dai vari filoni dell'Induismo, dal Buddhismo, ed è nel Giainismo che assume ancora maggior importanza; in tale contesto non rappresenta solo la base della moralità giainista, ma incarna il fondamento da cui derivano tutti i precetti precetti di questa scuola di pensiero. Qui si concepisce l'assolutismo (in particolare quello morale) come primo passo verso il fanatismo, un preludio di violenza, di conseguenza viene inclusa la tolleranza come valore imprescindibile, sulla base della consapevolezza che nessuna singola prospettiva rispecchia la verità oggettiva. La verità può essere sperimentata solo a livello profondo, oltre la mente e le parole, nel silenzio dell'illuminazione, mentre ogni affermazione di verità è basata su osservazioni strettamente personali, soggettive e quindi naturalmente limitate dalla prospettiva egoica e distorte dalle convinzioni ed i condizionamenti ricevuti fin dall'infanzia. Nell'arco di alcune migliaia di anni, l'influenza giainista sulle altre filosofie, in particolare quella hindu, è stata considerevole. Anche tra le discipline indiane eterodosse ci sono diversi aspetti in comune, infatti, molti studiosi, dopo aver affrontato varie ricerche in materia, sostengono che fu la cultura giainista a dare origine al Buddhismo ed anche i buddhisti stessi asseriscono che, quando Buddha e Mahavira erano in vita, il giainismo era già una religione, considerata anche allora antica e profondamente radicata nella cultura popolare. Ad un attenta analisi il Buddhismo sembra quasi essere un evoluzione del Giainismo, che vede con quest'ultimo un punto di rottura forte sull'aspetto dell'ascetismo, strada che Gautama ha sperimentato senza risultato prima di trovare l'illuminazione seguendo la Via di Mezzo. Autori: Ambra Guerrucci e Federico BelliniTitolo: "La Via delle Filosofie Indiane"Editore: Risveglio EdizioniData pubblicazione: 2015Formato: Libro 14,80x21Pagine: 300Prezzo: n/pInfo: [email protected]
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