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Le due Italie del lavoro in crisi

Da Brunougolini

 

Le due Italie del lavoro in crisi

foto:flickr

E’ forse la prima indagine che si occupa dei danni arrecati dalla crisi.  E’ apparsa sotto il titolo “Come cambia il lavoro” (a cura di Mimmo Carrieri e Cesare Damiano, Ediesse) ed è stata costruita, sulla base delle risposte (settembre-novembre 2009) provenienti da 5.500 interpellati. E’ il seguito di un'altra inchiesta risalente al 2003.  Che cosa è cambiato in questi sette anni?  Un deterioramento della condizione materiale dei lavoratori – spiega Emilio Gabaglio, presidente Forum lavoro del Pd – e un diffuso senso di insicurezza sociale. Mentre al sindacato si chiede più che unità (forse per una sorta di avvilimento) “contrattazione, competenza”. Due parole chiave, come per dire: datevi da fare subito, magari senza perder tempo su “trattativa si, trattativa no”.  

 

C’è la dinamica negativa dei salari ma anche dell’organizzazione del lavoro (i saggi di Marcello Pedaci). Il 44,9% dei lavoratori indica un’alterazione della condizione economica della propria famiglia negli ultimi anni. E’ progressiva l’intensificazione del lavoro, attraverso la saturazione dei tempi,  l’accorciamento delle pause, l’aumento dei ritmi. Con più ampia diffusione di stress e disturbi psicofisici. Mentre la scarsa valorizzazione del lavoratore genera demotivazione, disinteresse, noia, monotonia e quindi bassa produttività.

 

Interessante la parte riguardante i lavori atipici e precari a cura di  Elena Persano. E’ il popolo dei flessibili sottoposti alla “flex-Insecurity”. E ai quali spesso piace il lavoro che fanno ma vorrebbero diritti, arricchimento professionale e cambiamento, non marginalizzazione. 

 

Come si traduce questo stato di cose rispetto alla politica, rispetto alle opzioni del centrosinistra? Anche qui c’è stato un peggioramento, annota Mimmo Carrieri.  I protagonisti dell’indagine rifiutano le posizioni estreme, ma lamentano un “riformismo fragile”.   E sembrano scaturire due “Italie del lavoro”. Una che condivide, appunto, una “ragionevolezza riformista” ma con connotati di incertezza e indecisione, composta da lavoratori non sempre giovani, con titoli di studio più elevati, meno sensibili a chiusure corporative e arroccamento. Un'altra parte con caratteristiche più difensive, spesso occupati in attività più manuali e che vivono il lavoro più come problema che certezza. La prima Italia del lavoro è maggiormente attirata dal centrosinistra. La seconda dal centrodestra. E’ il segnale di “uno smottamento culturale ulteriore”.  Emerge, osserva Carrieri, l’incapacità del centrosinistra  di fare del lavoro e dei lavoratori “un asse fondamentale”. Più di un terzo degli intervistati dichiara di non essere politicamente tutelato.

 

Un libro che i dirigenti del Pd dovrebbero tenere sul comodino.  Una sferzata che si spera abbia effetto. Emilio Gabaglio sostiene che si è cominciato a fare. Ovverosia si è cominciato a “raccogliere la sfida” per avanzare “un progetto complessivo”.


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