Decidere di cambiare vita non è qualcosa che si fa da un giorno all’altro, se non tanto logisticamente ma soprattutto non interiormente.
Bisogna sicuramente essere predisposti al cambiamento in generale – perché si può cambiar paese ma non vita- e sentire da dentro quella spinta che ci da il coraggio di buttarci verso l’ignoto, perché per quanto programmato possa essere non sai mai cosa puoi trovare quando ti spingi oltre i tuoi confini.
A me la normalità, diciamocelo, mi ha sempre tremendamente annoiato: pensare di fare la stessa strada tutti i giorni per andare a lavoro, vivere nella stessa casa tutta una vita – fare lo stesso lavoro per anni -essere abitudinaria.. Beh non fa per me.
E così anni fa mentre mi trovavo a svolgere il servizio civile a Legambiente Marche (dove, per altro, ho conosciuto delle amiche stupende), presa dai progetti che seguivo, ho deciso di partire per un campo di volontariato.
In India.
E così in pochissimo tempo ho scelto il progetto e la location: un campo di volontariato sulla salvaguardia delle tartarughe marine nel Karnataka.
Nel frattempo mio cugino, allora diciottenne, scelse di unirsi a me in questa pazza avventura – e devo dire che ci siamo divertiti come matti-
E così nel Novembre 2007 partimmo alla volta di Mangalore, località sperduta nella costa del Karnataka dove avevano indubbiamente visto ben pochi turisti passare di li.
L’India è entrata nel mio cuore profondamente non appena scesa dall’aereo, con quella vegetazione lussureggiante, colori forti, persone gentilissime e anche un tantino strane.
Mangalore dista circa 100 Km dalla località dove avevamo il nostro campo, ovvero Kundapur: se a Mangalore non passano molti turisti, ancora meno ne arrivano qui!
Durante le due settimane del progetto ho conosciuto diverse persone provenienti da ogni angolo del pianeta, una delle quali ho ritrovato ora in Olanda ed è una mia carissima amica.
Al di la del progetto, la vita semplice al villaggio, la stretta convivenza con insetti e animali di ogni genere a cui l’India ti obbliga, l’accettazione di situazioni di vita al limite dell’immaginabili e la moltezza di tutto ciò che ti circonda portato all’estremo ti costringono a dimenticare a forza tutto ciò che esiste al di la dell’India.
Dopo i primi tre giorni di adattamento, non senza difficoltà, ho iniziato a sentire una strana sensazione impossessarsi di me. Si chiama libertà.
Ero libera di non dovermi cambiare vestiti ancora puliti ogni giorno, perché non ce n’era bisogno,
Libera di essere me stessa, senza dovermi conformare alle aspettative della società.
Ero libera di guardare l’orizzonte e ascoltare i miei sogni senza dover dare motivazioni.
Ero libera di correre lungo spiagge immense e deserte, sdraiarmi nella sabbia fine ed ammirare il tramonto.
In queste due settimane forse non ho capito quello che volevo dalla vita, ma ho realizzato ciò che NON volevo
Non volevo una vita normale, casa – ufficio – macchina e sabato a cena fuori.
Non volevo sentirmi obbligata dalle costrizioni sociali a fare ciò che ci si aspetta, che sia giusto perché è così che va la vita.
Non volevo dover dare spiegazioni di perché a me del posto fisso e della casa non poteva fregar di meno.
In queste due settimane ho capito che la vita che stavo vivendo non me l’ero scelta ma ci ero cascata dentro, in fondo ci stavo comoda ma come in una buca, non riuscivo a vedere il panorama.. Mi ci è voluto quasi un anno ma alla fine ho deciso di mollare tutto e partire per il Kenya.
Il resto della storia, credo, la conoscete già.
Ora voglio solo continuare a lavorare nella direzione della libertà, e anche se ora con la famiglia sono dovuta scendere un po’ a compromessi, ingabbiandomi in situazioni che non mi piacciono, prometto che farò di tutto per tornare completamente fuori dalla buca e rimettermi a galla, con il vento in poppa e guidata dalla luce della libertà.