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La sinistra ha vinto le elezioni amministrative senza nemmeno aspettarselo: è questa la prima impressione che si ricava, ascoltando i leader di un PD incredulo sul successo. Ma si tratta di un successo? I numeri lo dicono. Tuttavia, per riferirsi alla vicenda di Milano, penso che il PD, quando c’erano state le primarie in autunno, aveva puntato su un uomo senza dubbio capace, un ottimo professionista, ma, come dire, un po’ troppo organico al partito. Per fortuna, il “popolo” delle primarie ha fatto saltare il banco e ha premiato Pisapia. Perciò, mi domando: se il candidato sindaco del centrosinistra a Milano fosse stato Stefano Boeri, Letizia Moratti sarebbe stata riconfermata sindaco? Forse.
Il caso di Milano (ma anche di Cagliari, credo, e di Napoli, dove il PD ha dato vita a uno spettacolo penoso con le primarie), insegna alcune cose. Primo, non è vero che la sinistra è destinata a essere minoranza in questo Paese. O meglio, è vero che in Italia esiste un blocco sociale conservatore, se non reazionario, che ha una grande influenza, che guarda ai propri interessi e si nutre di slogan politici semplici ed immediati perché diffida della politica e preferisce delegarne la gestione a un solo uomo. Si tratta di quell’impasto di qualunquismo, meschinità culturale ed egoismo di classe che è stato alla base del fascismo, e che il berlusconismo, nonostante si definisca “liberale”, incarna in modo mirabile. Questo blocco sociale era presente, sebbene in modo più defilato, anche negli anni ’70, gli anni dell’impegno politico; a partire dagli anni ’80, tale blocco sociale ha ripreso vigore, sfruttando la stanchezza del paese, dopo quasi due decenni di lotta politica spesso inconcludente e violenta. Dopo aver cercato in Craxi il proprio referente politico, dopo aver occhieggiato alla Lega Nord, tale blocco si è innamorato, nel 1994, di Berlusconi e non ha più avuto paura di mostrarsi per quello che è: illiberale, qualunquista, antipolitico e anti-culturale (non nel senso di “privo di cultura”, bensì nel senso di diffidente verso una cultura che giudica egemonizzata dalla sinistra). Chiedo perdono se generalizzo, ma è per farmi capire.
Eppure, nonostante le presenza di questo blocco sociale, nonostante la sua forza, queste elezioni mostrano che anche la sinistra può dire la sua in Italia e che non deve stupirsi se vince le elezioni. La sinistra italiana, traumatizzata dalla disfatta del 2008, sgomenta di fronte al successo culturale del berlusconismo e alla povertà di idee di un’intera generazione di uomini di partito ormai in declino (da D’Alema a Veltroni), forse ha vinto proprio perché, sicura di perdere, ha deciso di essere se stessa. Si è resa conto che fare la brutta copia della destra, proporre politiche di destra rivedute e corrette in senso buonista, è deleterio, perché chi è di destra ovviamente preferisce l’originale alla copia, mentre chi è di sinistra spesso si astiene. Per questo si può ipotizzare, che la sinistra abbia vinto perché convinta di perdere. Per esempio, mi domando: il PD milanese avrebbe sostenuto con tanta convinzione Pisapia se fosse stato convinto di poter vincere le elezioni?
Un’altra riflessione che mi sorge spontanea è legata alle primarie. E si tratta di una riflessione lapalissiana: quando le primarie sono un’autentica competizione, spesso fanno vincere il candidato più adatto, quello che ha già conquistato un pezzo di elettorato. Per cui, basta aver paura delle primarie, basta temere il pronunciamento degli elettori, basta snobismo verso la “ggente”, basta con l’idea che il popolo vada comunque guidato, anche in modo velato, perché da solo cade nello spontaneismo e sceglie con emotività. Per cui, sì alle primarie vere, aspre, con tanti candidati che competono, e basta con le primarie in cui è già tutto deciso (tipo quelle del 2005 e del 2007).
Un altro insegnamento potrebbe essere questo: una grossa fetta dell’elettorato italiano ha fame di vera democrazia, ed è stanco della telecrazia berlusconiana, di vedere l’etica ridotta a burla, di vedere la giustizia presa in giro, di vedere che viviamo in una società dove tutto appare in vendita e dove trionfa il cinismo sempre e comunque. Invece, c’è ancora qualcuno che sostiene l’etica, senza essere moralista; che non ha paura di difendere la scuola pubblica, per esempio, o di battersi per i diritti dei migranti senza per questo ignorare la giusta esigenza di sicurezza dei cittadini. Perché vergognarsi di essere di sinistra? Perché aver paura a dire quel che si pensa, pur facendo la figura dei sognatori e degli idealisti? È un peccato? No. Anche se, per vincere le elezioni è necessario pure un tocco di pragmatismo.
Infine, il futuro. Mistero. C’è ha la sensazione che possa verificarsi un cambio politico epocale in Italia, ma si sa anche che l’Italia è un paese politicamente assai refrattario alle svolte, ed è impregnato di gattopardismo. Di certo Berlusconi non mollerà la presa da solo. Sarà dura scalzarlo. E il centro sinistra che deve fare? Domanda delle cento pistole. Forse dovrebbe, da subito, smetterla di stropicciarsi gli occhi, incredulo, di fronte alla vittoria alle amministrative. Dovrebbe diventare un po’ meno politicamente e un po’ più autentico. Dovrebbe lasciar perdere il “terzo polo”, che ha preso pochi voti, e allearsi con chi gli è più vicino.
Il centro-sinistra si trova nella situazione di quella squadra di serie B che, andando a giocare contro una squadra di serie A, alla fine del primo tempo, contro tutti i pronostici, vince inaspettatamente 2-0. Riuscirà nel secondo tempo a non cedere all’emozione e a portare a casa la vittoria? Chissà…
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