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Le elezioni europee e l’anomalia italiana

Creato il 26 maggio 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

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di Alessandro Corneli

Prima di commentare i risultati, mi piacerebbe conoscere le ragioni dell’ennesima multiforme anomalia italiana:

- Perché, alle ore 18 di ieri, in Italia si conosceva ancora solo l’affluenza alle ore 12 mentre in Francia si dava già l’affluenza alle ore 17?

- Perché i sondaggi pre-voto risultano sostanzialmente affidabili negli altri Paesi e in Italia no?

- Perché gli exit poll sono affidabili negli altri Paesi, nel senso che i risultati definitivi li confermano, e in Italia no, e con un grande scarto?

Rinunziando a chiarire questi misteri, procediamo con ordine, ricordando che, alla vigilia del voto – e in questo senso anche il mio articolo precedente – Renzi veniva descritto come preoccupato di avere difficoltà a superare la soglia del 30% con Grillo lanciato nell’operazione-sorpasso. Niente di tutto questo.

Il PD ha ottenuto il 40,8% dei voti: più di quelli dei suoi due principali avversari sommati perché il M5S è arretrato al 21,1% e FI al 16,8%. Infatti, FI e M5S, insieme, hanno raggiunto il 37,9%.

Il balzo del PD, rispetto alle politiche dello scorso anno, è stato enorme: +15,4%. E tutto il merito va a Matteo Renzi: ciò significa che le valutazioni dei giornali, degli esperti, dei commentatori, ecc. non corrispondono al giudizio che i milioni di elettori si fanno per proprio conto, al di fuori degli strumenti del “Palazzo”. Renzi ha recuperato voti dal M5S, ma al massimo il 4,5%; non ha preso voti dall’area ex PDL né dall’estrema sinistra: il grosso del suo incremento lo ha ottenuto svuotando il serbatoio di Mario Monti poiché mentre Scelta Civica aveva preso l’8,3%, adesso Scelta Europa è sotto l’1%; inoltre ha preso voti dall’Italia dei Valori.

Il M5S ha perso 4,5 punti; soprattutto ha perso slancio. È vero che è stato attaccato da tutte le parti ma è anche vero che i contenuti delle sue proposte “costruttive” sono stati evanescenti e alcune “uscite” degli ultimi giorni di campagna elettorale sono state controproducenti. La protesta in quanto tale non basta. Certo, ha convogliato su di sé molta insofferenza, ma lo slogan “devono andare a casa, sono tutti morti” si è rivelato alla fine inconsistente, e ancora più lo sarà in futuro.

FI ha perso ciò che è andato al NCD di Alfano: insieme, avevano ottenuto, come PDL, il 21,6%. Separati, hanno ottenuto, rispettivamente, il 16,8% e il 4,3%. Complessivamente, l’area si è ridotta dello 0,5%.

Quanto a FI, questo significa che nell’ultimo anno la forza di attrazione di Berlusconi è rimasta stabile, ma ha perduto slancio e creatività. Il suo messaggio politico è stato ambiguo: a volte puntato contro Grillo, a volte puntato contro il PD (“sono sempre i soliti comunisti”) al quale però si garantiva, con varie riserve, un appoggio per le riforme. Soprattutto, ha pesato il passato: l’avere avuto in mano la leadership della politica italiana e il non avere saputo utilizzarla.

Pur con il misero 4,3%, il NCD di Alfano può cantare vittoria nel senso che ha fatto la scelta giusta, quella di essersi collocato dalla parte del vincitore, cioè Renzi. Ha un decimo dei suoi voti, ma basta per rendere irreversibile la sua scelta per cui è da escludere un suo ritorno all’alleanza con Berlusconi che, se vorrà, dovrà reinventare il suo partito dandogli contenuti non ambigui.

Proprio perché non è stata ambigua, la Lega Nord ha ottenuto un buon risultato: il 6,1%. Può vantare il collegamento con il Front National francese e, soprattutto, con la vasta area degli euro-critici che costituiranno un numeroso gruppo, ancorché eterogeneo, al Parlamento europeo: circa un quinto del totale.

Altro dato complessivo importante è la fine del tripolalrismo, che appena un anno fa sembrava essersi consolidato. Adesso c’è in Italia il “partito a vocazione maggioritaria” a suo tempo evocato da Veltroni: da solo vale il 40% e con il piccolo alleato NCD viaggia verso il 45%. Bisognerà vedere se il nuovo sistema elettorale, che prima o poi dovrà vedere la luce, lo rafforzerà o lo ostacolerà. Il partito di Alfano dovrebbe essere favorevole, ma FI dovrebbe spostarsi all’opposizione.

Significativo è il fatto che l’estrema sinistra (con Tsipras al 4%) abbia superato la soglia di sbarramento e non si nasconda, facendo la fronda, dentro il PD che, pertanto, può aspirare al ruolo di “partito moderato” anche se non di “partito dei moderati”.

Sostenere che il PD di Renzi sia la nuova DC è troppo, ma una certa analogia tra il successo di De Gasperi nel 1948 e quello ottenuto ieri da Renzi è tentante. Di sicuro, il risultato di Renzi è più netto delle pur significative vittorie dell’alleanza quadripolare che aveva messo insieme Berlusconi con la Lega, AN e UDC.

De Gasperi seppe utilizzare la vittoria. Berlusconi non c’è mai riuscito. Che cosa farà Renzi dopo un risultato positivo al di là di ogni aspettativa? Sarebbe importante che non cadesse nell’euforia di onnipotenza e che concentrasse le scarse risorse dell’Italia su pochi obiettivi qualificanti e trainanti. Se vorrà mettere le mani su tutto, scontenterà i diversi gruppi sociali che gli hanno dato fiducia uno dopo l’altro. Ha dimostrato di saper comunicare e vendere bene i suoi sogni. Adesso deve dimostrare di saper governare, che significa anzitutto saper scegliere obiettivi e mezzi.

A livello europeo, il PPE ha vinto la sfida con la SPD, ma due Paesi importanti – Francia e Regno Unito – hanno manifestato una forte insofferenza verso “questa” Europa. Potrebbero ridare vita alla “entente cordiale” in funzione anti-tedesca. Tanto più che Angela Merkel, avendo vinto in casa, difficilmente farà qualche concessione. Adesso dovrà dimostrare di essere una statista dalle ampie vedute. La cosa più facile a sua disposizione sarebbe quella di fare concessioni all’Italia di Renzi per contrastare l’asse Parigi-Londra, la cui debolezza consiste nel fatto che i rispettivi governi sono usciti indeboliti dal voto.

L’impressione generale è che il nuovo Parlamento europeo risulterà molto più frastagliato di prima, conseguenza inevitabile della crisi economica che ha colpito in modo molto differenziato i diversi Paesi. Credere, quindi, che il Parlamento possa accrescere il suo peso di fronte alla Commissione e al Consiglio, mi sembra improbabile. Anzi, fra i tre organi, è proprio la Commissione – non eletta – ad avvantaggiarsi Grillo dalla debolezza del Parlamento e del Consiglio. In conclusione, l’Europa esce indebolita dal voto del 25 maggio.


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