Nei due millenni e mezzo di storia che ha alle spalle, il teatro si è realizzato pienamente poche volte e per brevi periodi. Per realizzazione piena del teatro intendo quelle manifestazioni storiche nelle quali esso ha raggiunto un equilibrio perfetto tra la ritualità e l’intrattenimento, tra la sacralità e la dissacrazione. Realizzando questo equilibrio, il teatro si fa riconoscere dalla comunità di riferimento come momento privilegiato di condivisione e di rispecchiamento etico ed estetico. Ciò si è verificato una prima volta all’atto stesso di fondazione del teatro, con la stagione dei tragici greci Eschilo, Sofocle ed Euripide. Già con la tragedia “borghese” di Euripide e, più compiutamente, con la commedia di Aristofane, la dissacrazione prende il sopravvento e il teatro tende a smarrire l’aspetto rituale, per andare verso una deriva di puro intrattenimento. Il senso di appartenenza comunitario si frantuma e si va verso una fruizione edonista e individualista.
E’ una crisi che si risolverà solo oltre duemila anni dopo, con il miracolo elisabettiano. Shakespeare, mettendosi sulle orme di Marlowe, ricompone i pezzi e crea un teatro capace di essere popolare e aulico, intrattenitore e intellettuale. Un aspetto che accomuna i tragici greci agli elisabettiani è la capacità di parlare per universali, rendendo i personaggi autonomi dal loro contesto e posizionandoli in un orizzonte atemporale.
Oltre a queste due, ci sono state nella storia altre epifanie parziali del teatro, rese tali da contestualizzazioni precise di ordine religioso, nazionale o sociale. E’ il caso della Sacra rappresentazione medioevale, la quale risponde a un’esigenza di catarsi collettiva (funzionale al potere religioso), ma in un luogo deputato altro, rispetto alla tradizione classica (la piazza o la chiesa in luogo del teatro). Con la Commedia dell’arte, il raggiungimento della trasversalità sociale avviene nel segno della dissacrazione e della fruizione ludica, scevra da pretese etiche. Ancora, il Siglo de oro, Moliere e Goldoni, coi quali si realizza un rispecchiamento, ma ad uso e consumo delle classi dirigenti, più che della collettività.
Una realizzazione più compiuta si ha col melodramma ottocentesco, particolarmente in Italia e in Germania, resa però parziale dalla forte connotazione nazionalista, privilegiata rispetto all’universalizzazione delle tematiche. Nel novecento si è andati verso la scissione tra l’aspetto mondano e quello sacrale. Episodi come il teatro di Beckett e Ionesco, di Kantor e Grotowski, pur raggiungendo mirabili equilibri tra sacralità e dissacrazione, sono stati relegati dalla cultura di massa, dominante e tirannica, agli ambienti ristretti della nicchia intellettuale.