di Pierfranco Bruni
In
una società “colorata” dalle culture multietniche le eredità storiche offrono
la possibilità di una consapevolezza delle conoscenze, i cui popoli emigranti
sono i veri portatori. Il legame tra emigrazione e immigrazione diventa sempre
più un articolato modello di confronto – incontro tra civiltà certamente, ma
anche tra memorie, le cui identità sono rappresentate dalla lingua, dalla
tradizione, dai costumi e dagli usi oltre che da quelle forme antropologiche
che possiamo identificare come antropologie parlanti: dalla musica al canto.
Le
etnie storiche sono un bene culturale che non va contestualizzato soltanto come
modello antropologico. Bensì come un bene immateriale che vive nella
rappresentazione di un mondo popolare che è dentro il concetto di appartenenza.
Un
bene culturale che si manifesta con tutte le sue diversità ma anche con tutte
le sue capacità indivisibili, visibili e condivisibili.
Il
bene culturale non è una realtà racchiusa nella storia. O meglio non è una
soffitta depositata nella storia. Non è una soffitta perché convive nel
quotidiano e cammina nel presente. Non è storia anche se ha tutte le sembianze
perché è una memoria parlante in quanto si decifra attraverso una griglia
simbolica.
Il
simbolo! Non si può scindere il bene culturale dal simbolo. Infatti il bene
culturale parla attraverso le voci del simbolo. Le etnie sono dei percorsi
simbolici che, comunque, ci riportano ad una eredità, la quale, a sua volta,
assomma le realtà pur non lasciandole tali, ma definendole come tessuto
esistenziale di una civiltà.
Le
etnie sono il binomio inseparabile tra esistenza e civiltà. Sono il legame tra il singolo e il popolo,
avvero tra il portato storico di una famiglia, pur nel suo familismo amorale, e
una comunità. La famiglia e la comunità sono espressioni di codici etnici
separati e assommabili e inclusivi in una separazione tra gruppi che creano il
senso dell’insieme.
La
famiglia è una etnie nella comunità delle etnie. Oltre la lingua e le lingue
insistono chiaramente le identità. È questo legame che rende il bene culturale
interpretabile. All’interno di un tale contesto antropologico insiste lo spazio
territoriale nel quale queste famiglie – comunità si sono trovate a vivere,
sono mate, si sono formate.
Qui
l’antropologia viene a contatto con un territorio che non è soltanto storico ma
anche archeologico, in quanto le matrici ontologiche e metafisiche di un popolo
si identificano in radici di vera appartenenza. Una etnia è tale se il legame
tra lo studio archeologico di un popolo dialoga con quello storico.
Tra
il mondo archeologico e quello storico si inserisce quella dimensione in cui la
tradizione diventa chiave di lettura in una società delle comunicazioni.
L’antropologia è tra le “scienze umanistiche” meno bisognosa di staticità.
L’antropologia è dialogante, comunicante, colloquiante. Ma il bene culturale
deve essere, comunque, sempre tale.
Le
etnie, nella storia, sono da collocarsi sempre in un bacino geografico, tranne
quelle appartenenti ai popoli vaganti, e possono essere lette in una
complessità di raccordi tra popoli. In questo raccordo tra popoli si verifica
la “prassi” e l’ontologia, come già si avvertiva, della contaminazione.
Dall’etnie
a un processo multietnico. Non si tratta di una questione moderna. È una realtà
nella storia. Ecco perché le società che oggi vengono definite “colorate” negli
intagli del tempo – storia quella etnia
ha sempre dato vita a una cultura di più etnie.
La
multienicità è un fenomeno storico che ha riguardato i popoli Germanici e, in
modo particole, tutte le civiltà dei Mediterranei che sono punto ventrali nel
nostro tempo.
Bisogna
partire da un presupposto fondamentale: le etnie storiche sono un bene
culturale. Restano tali pur nelle società in transizioni come quelle che ci
attraversano.
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