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Le famiglie mafiose si spartiscono il territorio: Menfi nel mandamento di Santa Margherita Belice

Creato il 29 gennaio 2014 da Comunalimenfi
Dia_Mafia_Agrigento_Menfi

Emergono dati inquietanti nell’ultimo rapporto della Direzione distrettuale antimafia relativo al primo semestre del 2013.

Cosa nostra agrigentina si sarebbe riorganizzata dopo decine di arresti e ha aperto una nuova fase: inserirsi ancora di più nello sfruttamento delle risorse economiche proseguendo nell’attività di estorsione e taglieggiamento di imprenditori e commercianti; ma anche penetrando nel tessuto sociale, con particolare riguardo agli ambiti amministrativi e economici.

Le cosche mirano soprattutto ai grandi appalti pubblici, e per amministratori pubblici e imprenditori reticenti, arrivano puntuali le minacce.

In pratica, in certe zone dell’agrigentino, le famiglie mafiose continuano a dettare legge.

Emerge questo nell’ultimo rapporto antimafia (primo semestre del 2013) della Direzione investigativa antimafia, che ha analizzato la situazione in provincia di Agrigento. Un documento che tiene conto anche dell’ultima maxi-operazione antimafia “Nuova Cupola” per ricostruire la ragnatela di interessi illeciti nell’agrigentino.

Ancora una volta, dove ci sono i grandi appalti, c’è la mafia, e c’è la legge e l’imposizione del ‘pizzo’.

Le famiglie mafiose eserciterebbero pressioni estorsive a ditte e aziende, consigliando la ‘messa a posto’. I lavori e la manodopera vengono affidati a imprese ‘amiche’. Tutte le altre vengono estromesse.

Conclusa da tempo la stagione di piombo, che ha lasciato a terra centinaia di boss e affiliati, le famiglie di Cosa nostra nel tempo hanno stretto accordi per la spartizione di territori e attività illecite. L’obiettivo sono i grandi flussi di denaro pubblico.

E per accaparrarsi ingenti risorse economiche – secondo la Dia – la mafia agrigentina, «si avvale con sistematicità del supporto e della compiacenza di esponenti della Pubblica Amministrazione». Tutto quanto sotto il controllo incontrastato del super latitante e capo mafia, Matteo Messina Denaro.

Nel periodo preso in esame sono stati registrati sul territorio provinciale numerosi reati riconducibili a condotte tipicamente di stampo mafioso. Si tratta in genere di incendi di beni mobili, (per lo più automobili, furgoni, camion), ed immobili, e di altri atti intimidatori. Complessivamente sono 70 gli episodi di natura intimidatoria ai danni di amministratori pubblici e imprenditori, (incendi, lettere minatorie e condotte analoghe).

Altro aspetto da tenere in seria considerazione, nel semestre in esame, è l’esito di un’attività investigativa, che ha confermato i legami oltre Oceano, della famiglia agrigentina di Cosa Nostra (i Rizzuto), i cui rapporti con i gruppi mafiosi operanti in America del Nord risultano di particolare rilevanza. La tradizionale articolazione territoriale pur intaccata dagli arresti, uno su tutti il blitz “Nuova Cupola” che portò in carcere 54 soggetti tra capi famiglia, boss, affiliati e gregari, non ha portato a grossi scossoni nell’attuale organigramma. Semmai a preoccupare sono le recenti scarcerazioni di alcuni soggetti mafiosi di spessore, di Agrigento, Palma di Montechiaro e Santa Elisabetta, che potrebbero incidere sulla struttura mandamentale della parte centrale e montana della provincia, rendendola più forte ed organizzata.

Si conferma la consolidata struttura di tipo tradizionale, articolata in otto mandamenti: Agrigento (Favara, Palma di Montechiaro e Naro); Campobello di Licata (famiglie di Canicattì, Licata, Ravanusa, Camastra, Castrofilippo, Grotte, che ingloba anche Comitini e Racalmuto); Giardina Gallotti (Porto Empedocle, Realmonte, Siculiana e Lampedusa); Burgio (Lucca Sicula, Villafranca Sicula e Caltabellotta); Ribera (Cattolica Eraclea, Montallegro e Calamonaci); Santa Margherita Belice (Montevago e Menfi); Sambuca di Sicilia (Sciacca); Cianciana (Bivona, Santo Stefano di Quisquina, Alessandria della Rocca, San Giovanni Gemini, Aragona, Cammarata, Ioppolo Giancaxio, Raffadali, Sant’Angelo Muxaro, San Biagio Platani e Santa Elisabetta).

Da evidenziare, infine, come nella provincia sia confermata la percezione della gente comune, ossia, che gruppi criminali stranieri, principalmente magrebini, vanno acquisendo margini operativi più estesi, anche in ragione di un’integrazione sempre maggiore nell’ordito criminale.

I settori illeciti privilegiati da tali gruppi attengono allo spaccio sulla piazza di sostanze stupefacenti, in gran parte in mano ai pusher tunisini e marocchini. Ma anche allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina, mentre bande dell’Est Europeo si occupano principalmente del riciclaggio di materiale ferroso e delle rapine.

Dal primo gennaio al 30 giugno del 2013, in totale si sono registrati 119 danneggiamenti seguiti da incendio; 67 rapine, 18 estorsioni e scoperte 4 attività di riciclaggio e impiego di denaro sporco.

Antonino Ravanà LaSicilia


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