Le fasi dell’evoluzione personale dell’approccio al viaggio possono essere paragonate a quelle dell’essere umano.
La vita di una persona può essere infatti calcolata nel numero di ore che ha trascorso in viaggio, su qualsiasi mezzo, dalla bicicletta all’aereo, con il fine di scoprire una parte di sé stesso in un luogo sconosciuto. La pianificazione del viaggio stesso è viaggiare perché già è stato fatto il primo passo virtuale fuori dalla porta di casa che ti porterà verso la destinazione che hai nella testa.
Mi ritengo fortunato perché fin dai miei primi anni sono stato abituato a viaggiare oltre i confini dello Stato, dove nessuno o quasi parlava la mia lingua, dove l’istinto quindi mi portava ad usare ogni mezzo comunicativo a mia disposizione per superare quel muro. Il primo viaggio l’ho vissuto nell’incoscienza, avevo quattro anni e osservavo i miei genitori imbustare i miei vestiti e inserirli ordinatamente dentro una grossa scatola con le maniglie. Io guardavo incuriosito ed esterrefatto dato che non capivo assolutamente cosa stesse accadendo, forse anche impaurito dall’aria di cambiamento.
Questa è la prima fase dell’approccio al viaggio, la totale incoscienza di quello che significa e del perché si è portati a muoversi. Ugualmente alle fase di sviluppo dell’essere umano, non riesci a stare in piedi da solo anche se istintivamente cerchi di assumere una postura eretta e ad appoggiarti a tutto quello che ti trovi intorno. Deve però esserci qualcuno da emulare e che ti accompagna nella prima esplorazione della tua vita, qualcuno che ti faccia vedere le basi per muoverti oltre la tua sfera di confidenza.
La fase di esplorazione assistita del mondo ha una durata diversa per ognuno di noi, io in particolare ho la fortuna di appartenere ad una famiglia di viaggiatori, quindi il mio periodo è stato molto lungo. I miei infatti mi hanno aperto le porte dell’Europa e del Canada.
Il primo reale passo in solitaria senza nessun appoggio l’ho fatto nel 2004 quando avevo 23 anni, decidendo di trasferirmi da solo a studiare a Madrid.
La scelta di dirigermi verso una città ancora sconosciuta e dove parlavano una lingua ignota è stata ponderata. L’idea infatti era di dirigermi in un posto dove le mie certezze, acquisite negli anni precedenti, venissero messe in discussione. L’emozione di sbarcare in un aeroporto e non avere assolutamente idea di dove andare è stata forte, poco a poco tale emozione si è trasformata nella voglia di vedere tutto della città. Ogni cosa era nuova e io ero affamato.
La fase in cui ero entrato era la pubertà del viaggiatore, quando scopri di avere le gambe forti e vuoi correre veloce e percorrere più chilometri possibile nel poco tempo che hai a disposizione. In questo momento si diventa dei maratoneti, non si ha nemmeno il tempo di pensare all’esperienza che si sta vivendo, l’obiettivo è visitare tutto e non lasciare niente indietro. Si è fieri di aver spuntato tutti i luoghi elencati nei classici articoli “le dieci cose più belle da vedere” o “cosa è necessario vedere in città” e così via.
In quel periodo ho vissuto in Spagna e California e ho visitato per la prima volta Korea e Giappone. Quando tornavo dai viaggi avevo una moltitudine incalcolabile di fotografie e storie da condividere, del genere che naturalmente nessuno voleva condividere perché la maggior parte non sono vissute con la dovuta maturità che permette di cogliere il collegamento con tutto quello che è stata la nostra vita e di come quel particolare momento o luogo stia scambiando la nostra esistenza.
Oggi ho raggiunto la maturità, cioè una fase di stabilità dell’approccio al viaggio. L’importanza va alla qualità dei momenti che si vivono in viaggio e non alla quantità di spunte vicino agli elenchi che si trovano nella rete. Inoltre ho iniziato a sentire la voglia di raccontare agli altri quei singoli momenti speciali che sai non si ripeteranno più. Ho capito di essere arrivato in questa fase durante il viaggio in Giappone della scorsa estate, l’indice dell’evoluzione dell’approccio al viaggio si può anche misurare nel numero di foto che abbiamo portato a casa, finalmente mi ricordavo tutto quello che è passato attraverso l’obiettivo della macchina fotografica.
Logicamente immagino che ci sarà un’ultima fase dell’evoluzione del viaggio che coinciderà con la vecchiaia. Quel periodo sarà pervaso dai ricordi del passato e dalla voglia di sentire i racconti di viaggio dei giovani esploratori potendo riconoscere nei loro occhi le stesse emozioni provate nelle fasi precedenti della nostra vita, capendo quindi in quel momento che il viaggio è il filo che unisce le diverse generazioni di esploratori.
Mi chiedo spesso se sia peggio una vita noiosa a tal punto da rimanere affascinato da un nonnulla, oppure una vita così piena di stimoli che tutto, alla fine, diventa noioso una volta arrivati alla vecchiaia.