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Un giorno si presentò alla porta di Euristeo un tipaccio grande e grosso, col cappello a falde larghe e con un paio di stivali da cowboy. Entrò senza farsi annunciare, con quella boria tipica di chi è sicuro del fatto suo e non sta tanto a guardare all’etichetta. Quel giorno Euristeo aveva un gran mal di testa - forse a causa di una certa indigestione di cinghiale - e non aveva alcuna voglia di scherzare. “Si può sapere chi è che si presenta senza il mio permesso?”, cominciò a sbraitare. Quando si accorse che l’uomo era alto due metri, si schiarì un po' la gola e gracchiò: “Benvenuto, visitatore! A cosa debbo la tua venuta?”. L’omone si tolse il cappello e si esibì in un grande inchino. “Sono Augia”, gli rispose. E si sedette accanto a lui come se nulla fosse.
Per chi non lo conoscesse, Augia era un pezzo grosso a quei tempi. Si diceva che fosse figlio addirittura del Sole - e si prendevano a pretesto i suoi occhi splendenti e la sua indole per così dire ‘solare’ -, ma molto probabilmente era una storia inventata, che nasceva più che altro da un equivoco all’anagrafe: suo padre infatti si chiamava Eleo, e non invece Elio come Augia si ostinava a sostenere - Elio era il nome più antico del Sole. Fatto sta, comunque, che questo signore era ricco e potente: possedeva da solo il bestiame più pregiato dell’antichità, e vantava una collezione di trecento tori neri con le zampe bianche e duecento stalloni dal pelo fulvo e di razza purissima, accuratamente selezionati e con certificato di garanzia. Peccato però che la stalla era piccola: lui non piazzava un soldo per ripulirla, e il letame che si era accumulato era sufficiente a concimare un terreno vasto come da qui alla Grecia. Pensate un po’ i vicini! Fu proprio in seguito alle loro reiterate proteste che il nostro Augia si decise finalmente a contattare Euristeo: aveva sentito infatti che questo sovrano aveva alle sue dipendenze nientedimeno che un figlio di Zeus, un eroe forte e robusto la cui fama si era già molto diffusa in seguito ad alcune imprese coraggiose portate a termine con successo. Ora, siccome Augia era un tipo furbo, aveva fiutato la possibilità di sfruttare quella situazione a suo vantaggio. “Senti un po’, Euristeo! Mi risulta che c’è un tale, Ercole, che deve compiere per te dodici imprese, per via di un certo debito di cui sto a chiederti i dettagli. Volevo proporti un affare: tu me lo presti per qualche ora, e io te lo restituisco sano e salvo e tutto intero, dato che per stavolta non ci sono mostri da affrontare”. “Ah no, davvero? E di cosa si tratta? Insomma, se io ci metto la manodopera, tu cosa ci metti?”. “Ma io ci metto l’impresa, è ovvio!", esclamò Augia, battendo un pugno sul bracciolo della sedia. "Guarda che mica è poco! Così non devi stare a scervellarti tutto il giorno per trovargliene una tu!”. “Ho capito, va… Ma di che razza di impresa si tratta?”. Augia si alzò e si rimise il cappello. Fece ancora un mezzo inchino e mentre usciva si voltò e gli disse: "Un'impresa di pulizie".
Il nostro Ercole guardava le stalle dalla cima di una collina, e nel frattempo si grattava la testa. “Qui mi ci vorrà una vita intera!”, esclamò costernato. “Facciamo pure due!”, gli fece eco suo cugino Iolao, che anche quella volta si era offerto di accompagnarlo. “E se deviassimo i due fiumi, l’Alfeo e il Peneo, e li facessimo passare nelle stalle? Che ne dici?”, se ne uscì dopo un bel po' con quest'idea. “Mi sembra geniale!”, rispose Ercole. “Ma come facciamo a deviare i due fiumi?”. Iolao si strinse nelle spalle e gli rispose, un po' seccato: “Non sono mica io, l'eroe! Io ti faccio solo da assistente!”. Così i due si rimboccarono le maniche e cominciarono a scavare. Scava che ti riscava, però, il lavoro ovviamente procedeva a rilento, finché ad Ercole non venne un'altra idea. “Tu aspettami qui”, disse a Iolao. “Anzi non proprio qui, un po' più indietro va bene”. Dopodiché scomparve. Si arrampicò sulla collina di prima e con un colpo ben assestato ne divelse la cima. Questa allora cominciò a rotolare, fino a che con un rumore assordante finì proprio in mezzo al fiume Alfeo. L’acqua si sollevò, spumeggiò, fece qualche mulinello e poi come per miracolo si mise a scorrere proprio verso le stalle - fatte evacuare appositamente per l’occasione. Stessa cosa accadde con il Peneo. Il getto era così forte e la portata così abbondante che in men che non si dica le stalle furono ripulite completamente, per la gioia dei due compagni e soprattutto del bestiame, un po’ meno degli abitanti a valle.
Come diavolo avesse fatto Ercole a calcolare la direzione che avrebbero preso i due fiumi, era e rimane un mistero irrisolto. Nessun mitografo lo riferisce, ma allo stesso tempo nessuno se ne stupisce e pertanto non lo faremo neanche noi. Esistono però altri retroscena interessanti. Alcune fonti non ufficiali riferiscono di un patto segreto tra Ercole ed Augia, secondo il quale l’eroe, se avesse compiuto il lavoro in giornata, avrebbe ricevuto in cambio quasi un decimo del bestiame da sfruttare a suo piacimento. Augia però all’ultimo momento ci ripensò, ed Ercole gli scatenò contro una vera e propria guerra con tanto di morti e feriti tra i quali spicca, a quanto pare, il cadavere dello stesso Augia. Secondo un'altra versione, però, fu proprio Ercole ad avere la peggio, tanto da essere addirittura esiliato insieme al figlio di Augia, Fileo, colpevole solo di averlo difeso. Ora, che Ercole abbia accettato di farsi esiliare così, senza colpo ferire, mi desta un certo leggero sospetto. Non vorrei - ma questa è solo una mia idea - che si fosse dimenticato di rimettere a posto i due fiumi: in tal caso la lite con Augia è soltanto una scusa e la realtà, che spesso è molto più prosaica, è un mandato di arrestoper dissesto idrogeologico e ambientale. Ma questo è, lo ripetiamo, solo un semplice e innocente sospetto.
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