Le ferie intellettuali

Creato il 13 agosto 2010 da Lucas

Nell'edizione odierna de Il Foglio, prendendo le mosse da un libello critico sul poeta Andrea ZanzottoEcco chi è il miglior poeta da leggere quando in estate ci si sente soli») Alfonso Berardinelli scrive ad inizio articolo:

«Durante l'estate c'è un momento, un mese, una settimana in cui diventa improvvisamente più acuto il senso di distacco dalla società e dalla politica e da tutte le parole, idee, emozioni e preoccupazioni da cui siamo presi durante l'anno. È un momento di solitudine, felice o infelice (o le due cose insieme) in cui il tempo si rovescia come una vecchia clessidra per ricominciare da un inizio diverso. Allora, per un po', più acutamente, ci si meraviglia di tutto, di essere italiani, di vivere nel Duemila, di avere una certa storia, certi compiti e doveri, certi legami: di essere quello che si è e di non averlo ancora capito bene. In questo momento, settimana o mese, tutto quello che facciamo ha un senso percettibilmente diverso: l'incontro con un vecchio amico, il fatto di stare in un posto di vacanza o invece di essere rimasti soli nella casa di sempre, il fatto di avere fra le mani certi libri e certi autori che per uno strano caso abbiamo davanti proprio in quel momento».

Sentimento condivisibile, dettato da una struggente prosa, vero?

Per quello che vale e per quello che di lui conosco, posso dire di apprezzare molto il lavoro intellettuale di Alfonso Berardinelli. Mi piacciono il suo tono, le sue letture, la sua critica militante. Mi piace anche la sua voce radiofonica quando ho avuto l'occasione, anni fa, di ascoltarla su Radio Tre. Non ho mai ben capito il perché sia diventato un fogliante ma capisco cosa esso, alla fin fine, comporti. Scrivere per un giornale che appoggia (e si appoggia su) Berlusconi per me, piaccia o non piaccia, ha la stessa valenza che, un tempo, aveva scrivere per una rivista o giornale che appoggiava il regime fascista. Ma soprattutto, la domanda che mi preme, più che fargli, fare a me stesso, è questa: un intellettuale come Carlo Levi – per citarne ad esempio uno molto apprezzato dallo stesso Berardinelli –, se fosse qui con noi, ora, scriverebbe per Il Foglio? E se anche, per assurdo, vi scrivesse, troverebbe lecito scrivere di momenti «in cui diventa improvvisamente più acuto il senso di distacco dalla società e dalla politica e da tutte le parole, idee, emozioni e preoccupazioni da cui siamo presi durante l'anno» o farebbe invece, prendendo spunto anche da una poesia, una critica feroce al Grande Sopruso che ci governa?

Non so perché ma io ho la presunzione di sapere la risposta di Carlo Levi: meglio il confino, meglio l'esilio che restare zitti di fronte a questa presa totale del potere.

Già, egregio Berardinelli (glielo chiedo nel remoto caso Ella mi leggesse), che cosa aspetta un intellettuale importante e affermato come Lei a operare una critica militante vera e propria in merito alla vicenda squisitamente politica e letteraria della nuova scandalosa legge pro domo berlusconiana salva-mondadori? Ogni silenzio, se non è rassegnazione (ma allora si sta zitti, in un angolo a godersi le vacanze e le letture ad alta voce di Zanzotto!) è complicità. Come può un “eroe che pensa” (per citare uno dei suoi migliori libri) fare finta che tutto questo sia lavoro per quelli à la Travagliò e non strutturale lavoro di resistenza alla barbarie? La cancrena berlusconiana è arrivata ad aggredire a tal punto l'Italia che non si sa letteralmente più che cosa tagliare e cosa medicare per salvare la vita al Paese.

In verità, ad aprirmi gli occhi sulle ragioni politiche e culturali dello scandalo salva-mondadori è stato questo post di Eschaton: m'ero lasciato sfuggire questo nesso; ma adesso che lo vedo mi sembra una cosa talmente grave che dovrebbero rifletterci sopra tutti gli “operatori culturali” del Paese, Lei compreso egregio Berardinelli, e altresì Roberto Saviano, lo scrittore che, attualmente, ha maggiore “rilievo mediatico” in Italia (nonostante i giusti rilievi che Federica ogni tanto muove al "fenomeno"). Occorre cioè mobilitare le coscienze pensanti per capire se è ancora sostenibile essere un “autore Mondadori” sapendo che tale editore ha, praticamente, evaso dal fisco 173 milioni di Euro con un semplice trucchetto ad aziendam approvato dal governo presieduto da colui che è proprietario della Mondadori stessa, senza esserne complici del "crocifisso" d'interessi.

Dal post di Eschaton traggo questa sua risposta ad uno dei commentatori che inchioda gli “eroi pensanti” alla questione:

«Io direi innanzitutto una cosa, del patrimonio Einaudi e degli scritti di Wu Ming: che in questi vent’anni hanno dimostrato la loro totale insignificanza, la loro incapacità d’incidere sulla storia e sulla politica, e prima ancora di porre le giuste domande, la loro totale marginalità, e l’ostinata involuzione in questa marginalità. Oggi persino le teorie economiche di Ezra Pound (le teorie economiche di Ezra Pound!) hanno più influenza degli editoriali di Valerio Evangelisti, muovono la gente in giro per l’Italia. Persino Antonio Socci incide più di Valerio Evangelisti. Questo per dire che qualsiasi cosa volesse fare questa gente, hanno perso; e per giunta in modo umiliante, visti i mezzi che si sono concessi. Certo nessuno può cancellare “ciò che Einaudi ha significato”, ma la sua sopravvivenza (in un mercato ad altra concentrazione capitalistica) é direttamente legata a Mondadori, o a chiunque altro voglia pigliarsela. La sua sopravvivenza, e la sopravvivenza dei suoi autori, é sostanzialmente legata al gruppo industriale che la possiede. In un certo senso, se Einaudi esiste ancora, se pubblica, se distribuisce, é anche perché Mondadori ha evaso quei 180 miliardi.»


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