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LE FUNZIONI DEI NURAGHI #sardegna #archeologia #civiltànuragica

Creato il 14 marzo 2014 da Albertomax @albertomassazza

Immag0881Una delle questioni più dibattute dell’archeologia nuragica è sicuramente quella relativa alle funzioni che tali architetture caratteristiche della Sardegna svolsero nella vita dei popoli che le edificarono e le utilizzarono. Un dibattimento destinato a durare ancora a lungo e, verosimilmente, a non trovare una risposta definitiva; e questo per due ordini di motivi: la mancanza di indizi certi che siano in grado di orientare verso un’ipotesi, piuttosto che un’altra; l’evoluzione che i nuraghi ebbero nei tempi della loro costruzione e diffusione, dagli albori al periodo finale del II millennio a.C., che li vide passare dalle rudimentali forme irregolari dei proto e pseudo-nuraghi, alla perfezione formale del classico tronco di cono con falsa cupola (tholos), fino alle stupefacenti soluzioni delle Regge nuragiche, straordinari archetipi in muratura a secco di molti castelli tardo medievali e rinascimentali. La Civiltà Nuragica, ben lungi dall’essere stata immutabile nel tempo, in quasi un millennio di esistenza autonoma è stata attraversata da una costante dinamica progressiva che ha sicuramente condizionato anche la funzionalità del suo monumento più rappresentativo. E’ evidente, di conseguenza, che l’unica certezza riguardo alla questione dell’utilizzo effettivo dei nuraghi è che non si puà parlare di funzione, ma di funzioni.

Il primo a fare un’ipotesi sulla funzionalità dei nuraghi fu il canonico Spano che li considerò delle prigioni. Taramelli si orientò verso la spiegazione più logica, almeno in apparenza: data la loro conformazione e ubicazione, non potevano che essere stati edificati a scopo di controllo e difesa del territorio. Giovanni Lilliu, in un primo periodo, confermò e rafforzò questa ipotesi, ma con lo sviluppo della ricerca sul campo, si aprì all’ipotesi polifunzionale. A favore dell’utilizzo di controllo e difesa depone, innanzitutto, la fisionomia possente dei nuraghi e la presenza di feritoie che potevano essere utilizzate dagli arcieri; in secondo luogo, l’ubicazione in luoghi panoramici e i sistemi di nuraghi collegati visivamente tra loro, disposti in maniera gerarchica dal centro (la reggia) verso la periferia, evidenziano il loro utilizzo a guardia del territorio e come strumento di comunicazione. Ma questa è un’evidenza che riguarda la civiltà nuragica nel periodo apogeico, tra il 1500 e il 1000 a.C.; non è detto che le forme più arcaiche rispondessero alle stesse esigenze. D’altronde, i dati degli scavi che si sono succeduti dal dopo guerra ad oggi hanno mostrato risultati che testimonierebbero di un utilizzo dei nuraghi, quantomeno parziale, come luoghi di raccolta delle provviste, abitazione e, almeno nel periodo finale, di culto. L’ipotesi dell’utilizzo per la conservazione delle scorte di cibo è suffragata anche dal microclima che si forma all’interno del nuraghe, fresco d’estate e temperato d’inverno.

L’ipotesi che tanto affascina gli appassionati di archeomisteri, vale a dire la funzione sacrale legata a un culto astronomico, si basa su coincidenze, mai approfondite sistematicamente, di un orientamento dei nuraghi tale da segnalare, attraverso il flusso della luce, il ciclico rispetersi di solstizi ed equinozi; coincidenze che potrebbero non essere tali, ma comunque dettate, più che da una mistica cosmica, da un interesse pratico: la necessità, per una società a vocazione agropastorale e marinara, di avere una precisa coscienza dello scorrere del tempo. La scarsità di luoghi di culto non è una ragione sufficientemente valida per affermare che fossero gli stessi nuraghi le sedi di quelle funzioni. D’altronde, lo studio dei Pozzi sacri e della loro genesi, in un primo tempo circoscritti alla prima parte del I millennio a.C., ha orientato gli studiosi a considerarli, almeno nelle forme più arcaiche, contemporanei del periodo apogeico nuragico. La religiosità naturalistica delle genti nuragiche, ad ogni buon conto, poteva espletarsi in buona parte direttamente nei santuari naturali, come fonti, fiumi, boschi e grotte.

La polifunzionalità dei nuraghi è suggerita anche dall’utilizzo che di tali monumenti è stato fatto in tempi successivi, dalla romanizzazione fino a tempi relativamente recenti. Nei condaghes giudicali sono presenti numerose testimonianze del loro utilizzo diversificato come luoghi di stoccaggio delle eccedenze alimentari, di riunioni assembleari e perfino di celebrazione del culto cristiano. Anche una forma artistica tipicamente sarda come il canto a tenores fa pensare a una sua genesi cultuale all’interno dei nuraghi, sia per la disposizione dei cantanti in circolo, sia per le particolari risonanze delle voci che paiono modellate sull’acustica dei giganti di pietra. In definitiva, solo un utilizzo polifunzionale può giustificare la fortuna della tipologia nuragica e la sua assoluta predominanza su ogni altra testimonianza architettonica del periodo.



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