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Le gioie della bifamiliare

Da Bibolotty
Le gioie della bifamiliare
Non posso certo pretendere che tutti abbiano letto Kant e che sappiano che la propria libertà finisce dove comincia quella dell’altro, e anche se ormai la cultura in pillole si acquista nei Bar e i libretti di aforismi si trovano accanto agli accendini, dal tabaccaio, l’educazione–e aggiungo purtroppo- no.
L’educazione, quella buona, sembra essere stata spazzata via ed è inutile stare a ricordarci il perché.
Conosciamo tutti la debolezza propria dell’essere umano che protende sempre alla prevaricazione e a fare il proprio comodo indisturbato: saltare la fila, parlare addosso all’altro e fottersi donne, soldi e idee dell’altro come se i millenni passati non avessero alcun peso sono attività primarie del nostro homo sapiens. Sappiamo che l’uomo vede se stesso sempre al centro del mondo, ignaro che la propria esistenza è misera: un granello di sabbia, una porziuncola –intesa come luogo dell’anima- così invisibile, che dovrà faticare molto per ottenere peso e magari essere, un giorno, ricordato.
Siamo ben consci che gli eroi del “Grande fratello” saranno presto dimenticati e per fortuna.
Invece, l’uomo della strada, quello che evidentemente non è stato educato a rispettare il prossimo, continua a ingrassare la propria esistenza magra di contenuti facendo rumore, imponendo il proprio chiasso interiore al mondo circostante.
Quando i miei nuovi vicini si sono trasferiti qui accanto, ho suonato il loro campanello di casa con un grande sorriso e con in mano un cesto di prugne del mio giardino - mia nonna mi ha insegnato che se non sono loro a farlo, è buona educazione porgere il benvenuto per primi e offrire la nostra completa disponibilità ai nuovi arrivati-, e ho pronunciato le solite frasi di rito «Di qualunque cosa abbiate bisogno, siamo qui accanto!».
In effetti, i due anziani mi hanno guardata come se fossi scesa da un altro pianeta, e si sono sentiti così autorizzati a darmi del “tu” e senza che li avessi in alcun modo autorizzati. Ecco che un primo mattone dell’alto muro della mia privacy è inesorabilmente caduto.
I lavori di ristrutturazione mi hanno fracassato l’esistenza per circa una settimana, grazie a Dio con tante scuse da parte degli anziani e la promessa che non sarebbe accaduto mai più. «Ma ci mancherebbe altro, è normale, state tranquilli» è stata la mia risposta calma, e nonostante il mio lavoro ne risentisse.
«Sa, il muro è spesso ma la distanza che ci separa è veramente poca anzi, mi dica pure se il volume della tv è troppo alto» aggiungo io che nella vita cammino in punta di piedi e che ho ricevuto un’educazione quasi ottocentesca.
Non dico che si debba sapere come e di fronte a chi alzarsi quando si viene presentati a qualcuno durante un party o al caffè, come stare a tavola e usare le posate giuste, come comportarsi dopo una cena, -ne ho date tante in vita mia e avrò ricevuto sì e no, due biglietti e telefonate di ringraziamento-. Basterebbe porgere l’orecchio per rendersi conto che se il tuo vicino alza la voce lo senti chiaramente e quindi, se compri ai tuoi due nipoti maschi già rumorosi di natura, l’ambulanza elettronica, frantumerà i nervi a tutto il vicinato giacché, il tuo giardino, dista appena un metro dal mio.
Non credo sia un problema di etichetta, di bon ton e galateo, nemmeno di educazione e buon senso ma solo di discrezione.
Io non tollero che i miei vicini sappiano cosa mangio, che film guardo, come parlo o come faccio l’amore, ma sono anche una che non guarda i talk show di Maria de Filippi.
Svolgo la mia vita in silenzio, e anche quando si accende una discussione, ci metto il silenziatore perché, fra l’altro, spaventa più una minaccia detta sotto voce piuttosto che urlata.
Di loro so che sono maneschi, che non sanno usare il congiuntivo, che lui è un ex ferroviere e lei casalinga, che la figlia lavora al catasto (almeno può essermi utile) e il figlio è guardia giurata. So che lui ha settantacinque anni e ha avuto un incidente grave, che è allergico alle melanzane e che preferisce il pesce alla carne, che la moglie è sua succube e che in passato l’ha tradita. E conosco tutto questo dopo solo un mese che vivono qui e non perché io abbia le orecchie lunghe ma perché loro superano di continuo i propri confini e s’insinuano dal giardino nella mia stanza da letto e dal cortile interno nel mio studio: perché in villa è più comodo urlare qualcosa dal piano di sotto piuttosto che alzare il culo –così come mi hanno insegnato- e andare al piano di sopra a riferire. Perché se il bambino strilla, bisogna urlare più forte per farlo tacere, e tirargli un ceffone bello sonoro anziché ragionarci un attimo assieme e fargli capire che ci sono “altri signori” accanto e che non si deve urlare.
Mangiano frittura tutte le sere e fanno grigliate con amici un giorno sì e l’altro pure e ormai, potrei scrivere un trattato sulla telefonia, sulle nuove tariffe telefoniche e sulle compagnie che “te se inculano di più”. I loro discorsi non toccano mai la politica e la cultura “tanto chi se li incula”, navigano nel proprio piccolo bicchiere d’acqua a vele spiegate, si muovono nella pozzanghera della propria esistenza terrena come se viaggiassero su un transatlantico o sulla più bella nave da crociera. Io, da qui, non posso far altro che prenderne atto, e vendicarmi scrivendo della loro infinita maleducazione e mancanza di rispetto augurandomi anche che, non si sa mai, un giorno mi leggano e si vergognino un po’.

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