Nuova puntata de IL SOTTOSUOLO - di Ferdinando Camon
Le gioiose vendette di Tarantino: i “Bastardi” e “Django”
In questi giorni il film Django Unchained tocca l’apice della diffusione, e dunque questo è il momento buono per ragionare sulla polemica aperta da Spike Lee quando il film stava per uscire. “La schiavitù è per i neri quel che l’Olocausto è per gli ebrei”, dichiarò Lee, “non si può fare un film comico sull’Olocausto, e non si può fare un film western sulla schiavitù. Sono profanazioni”. Ho visto il film: Tarantino disonora gli schiavi?
Li chiama sempre “negri”, e anche questo offende Spike Lee. Ma non è una scorrettezza storica. Il negro è il nero schiavo, e questi sono neri schiavi. Sulle due condizioni che sono due tabù, l’Olocausto e la Schiavitù, credo che noi, che non siamo neri e non siamo ebrei, dobbiamo metterci in testa una cosa: “non possiamo capirle”. Se leggiamo un romanzo o vediamo un film fatto da qualche autore ebreo, non possiamo capirli, come li capisce l’autore. Prendiamo Kafka, La metamorfosi, prima riga: “Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto”. Per noi cristiani è fantasia o inconscio, per l’autore ebreo è realismo. Perché l’ebreo prima si sentiva un uomo, poi avverte intorno a sé l’odio razziale e si sente un insetto. Lo Sterminio è il corpo del reato della storia euro-occidentale, come la Schiavitù è il corpo del reato della storia nord-americana. Parlandone o scrivendone, non dobbiamo mai dimenticare che furono colpe, le massime colpe. Ora, si dà il caso che Quentin Tarantino, che fa girare adesso questo film sulla schiavitù, abbia fatto girare l’anno scorso un film sul Nazismo, “Bastardi senza gloria”. Sono due profanazioni, una dello Sterminio e l’altra della Schiavitù?
Sono due massacri, nei “Bastardi” vengono massacrati, con le raffiche e col fuoco, tutti i gerarchi nazisti rinchiusi in un cinema, Hitler in testa. Tarantino gira la strage con goduria, e con goduria lo spettatore la guarda. È quanto di più anti-storico si possa immaginare, perché purtroppo le cose non sono andate così, e gli ebrei non si sono vendicati dei loro carnefici trucidandoli. Ma inventando quella scena Tarantino soddisfa un bisogno inconscio dell’umanità: maciullare i carnefici. Questa operazione in Aristotele ha un nome: catarsi. In Django fa la stessa cosa. Un cacciatore di taglie, bianco, compra un negro e ne fa il suo compagno, va a caccia di ricercati bianchi per riscuotere le taglie. Il risultato scavalca il progetto: lo schiavo negro libererà anche la propria donna, e sarà l’unico “giusto” a sopravvivere alla mattanza generale degli schiavisti bianchi (più uno nero, il più perfido di tutti) e a uscire dal film a cavallo, con la sua bella, tra canzoni da spaghetti-western. Sentiamo noi fastidio, per la profanazione della Storia, che purtroppo non ha mai visto i negri sterminare i negrieri? Ma no!, ci sentiamo sollevati. Tra Spike Lee, “non si fa un western sulla schiavitù, perché significa profanarla”, e Tarantino, “la vera giustizia è il massacro, eccolo qui, ve lo mostro”, stiamo con Tarantino. La storia ci ha caricato di due angosce che ci soffocano, Sterminio e Schiavitù. La storia non ha fatto giustizia. Tarantino sì. Tra la gioiosa menzogna di Tarantino e l’angosciante verità della storia, ci dispiace che la menzogna non sia verità.
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Su Letteratitudine Cinema è disponibile la recensione di Django Unchained