Il tempo è un bastardo di Jennifer Egan, traduzione italiana un po' paracula ma in fondo onesta dell'originale A Visit from the Goon Squad, Premio Pulitzer per la narrativa lo scorso anno, uscito da poco per Minimum Fax (traduzione di Matteo Colombo), è un libro molto bello, un pastiche letterario simile a una raccolta di racconti, in cui si trova tutto ciò che rende umana, disperata e terribilmente affascinante la cultura underground americana, l'indie e l'industria dello spettacolo, New York e San Francisco, i loft di Soho e il West Village, i quartieri per ricchi e il punk, gli anni '80 e downtown, il rock e le droghe. A tratti, poi, ci sono cose che non ti aspetti, come un folgorante ritratto di Napoli carico di luce e toni da quadro romantico, o alcuni passaggi stucchevoli, come l'incontro con un dittatore africano che potrebbe essere Gheddafi ma non lo è, e in ogni caso non c'entra nulla con il resto del libro. Il vero protagonista, come dice il titolo italiano, è il tempo. Il tempo come dimensione fisica, quasi quantificabile, e il tempo come presenza aliena e inafferrabile; il tempo concreto di ogni vita, con i rimpianti e i fallimenti che genera, e il tempo astratto, liquido, in cui ciascuno si disperde nella folla e ogni sentimento o vicinanza non ha valore, perché destinato a passare. E il ricordo dei morti è sempre la cosa più straziante, specie se citati di sfuggita, come frammenti di storie non vissute, impossibili da raccontare. Il romanzo stesso, poi, con i suoi capitoli in cui nuovi personaggi si aggiungono ai vecchi, tra amicizie, amori, rapporti lavorativi, sfioramenti, brandelli di vite e polaroid di ricordi, è esso stesso liquido: una corrente casuale che va dagli anni '80 al Duemila (con i '90 che diventano storia lontana, quasi più sfumata del decennio precedente) e con violenza inesorabile si porta via ogni frase o personaggio, ogni sperimentazione linguistica o passaggio lirico. A un certo punto, infine, c'è una cosa piuttosto sorprendente, un chiaro sfoggio di genialità che al tempo stesso spiazza, meraviglia e fa storcere il naso: un intero capitolo di slide in Power Point. Sembra, ed è, un esercizio di stile, ma ha la sua logica: sia perché illustra il funzionamento della mente di una bambina, sia perché parla di una lasso effimero di tempo, quello cioè che occupano le pause nelle canzoni rock (Il tempo è un bastardo è un libro sul rock, sulla malinconia gratuita della cultura rock; e sul tempo infinitamente grande e su quello infinitamente piccolo). La Egan cita canzoni specifiche (da Hendrix, Police, Bowie, Four Tops), indica i secondi di durata delle pause e il punto esattoin cui si trovano nelle canzoni: mentre ieri leggevo mi segnavo i titoli per verificare se fosse vero quello che scriveva. Poi oggi sul sito della scrittrice newyorchese ho scoperto questo e ho visto che è vero: buona lettura, e buona sorpresa.
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Il tempo è un bastardo di Jennifer Egan, traduzione italiana un po' paracula ma in fondo onesta dell'originale A Visit from the Goon Squad, Premio Pulitzer per la narrativa lo scorso anno, uscito da poco per Minimum Fax (traduzione di Matteo Colombo), è un libro molto bello, un pastiche letterario simile a una raccolta di racconti, in cui si trova tutto ciò che rende umana, disperata e terribilmente affascinante la cultura underground americana, l'indie e l'industria dello spettacolo, New York e San Francisco, i loft di Soho e il West Village, i quartieri per ricchi e il punk, gli anni '80 e downtown, il rock e le droghe. A tratti, poi, ci sono cose che non ti aspetti, come un folgorante ritratto di Napoli carico di luce e toni da quadro romantico, o alcuni passaggi stucchevoli, come l'incontro con un dittatore africano che potrebbe essere Gheddafi ma non lo è, e in ogni caso non c'entra nulla con il resto del libro. Il vero protagonista, come dice il titolo italiano, è il tempo. Il tempo come dimensione fisica, quasi quantificabile, e il tempo come presenza aliena e inafferrabile; il tempo concreto di ogni vita, con i rimpianti e i fallimenti che genera, e il tempo astratto, liquido, in cui ciascuno si disperde nella folla e ogni sentimento o vicinanza non ha valore, perché destinato a passare. E il ricordo dei morti è sempre la cosa più straziante, specie se citati di sfuggita, come frammenti di storie non vissute, impossibili da raccontare. Il romanzo stesso, poi, con i suoi capitoli in cui nuovi personaggi si aggiungono ai vecchi, tra amicizie, amori, rapporti lavorativi, sfioramenti, brandelli di vite e polaroid di ricordi, è esso stesso liquido: una corrente casuale che va dagli anni '80 al Duemila (con i '90 che diventano storia lontana, quasi più sfumata del decennio precedente) e con violenza inesorabile si porta via ogni frase o personaggio, ogni sperimentazione linguistica o passaggio lirico. A un certo punto, infine, c'è una cosa piuttosto sorprendente, un chiaro sfoggio di genialità che al tempo stesso spiazza, meraviglia e fa storcere il naso: un intero capitolo di slide in Power Point. Sembra, ed è, un esercizio di stile, ma ha la sua logica: sia perché illustra il funzionamento della mente di una bambina, sia perché parla di una lasso effimero di tempo, quello cioè che occupano le pause nelle canzoni rock (Il tempo è un bastardo è un libro sul rock, sulla malinconia gratuita della cultura rock; e sul tempo infinitamente grande e su quello infinitamente piccolo). La Egan cita canzoni specifiche (da Hendrix, Police, Bowie, Four Tops), indica i secondi di durata delle pause e il punto esattoin cui si trovano nelle canzoni: mentre ieri leggevo mi segnavo i titoli per verificare se fosse vero quello che scriveva. Poi oggi sul sito della scrittrice newyorchese ho scoperto questo e ho visto che è vero: buona lettura, e buona sorpresa.
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