Sequestrati beni di lusso di importanti griffe nella provincia dello Zhejiang in Cina perché non conformi agli standard richiesti dal governo. La notizia ha fatto il giro del mondo.
Luxury goods of important brands have been sequestrated in the Zhejiang province because they don’t conform to the standards required by the Government. The piece of news went round the world.
Un episodio analogo si era già verificato nel 2006 a proposito di una partita di scarpe firmate Hugo Boss e Dolce & Gabbana. Adesso il numero di marchi europei nel mirino delle autorità cinesi è aumentato e i nomi coinvolti, come riportano diversi organi di informazione, sono di prima grandezza: Hermès, Versace, Dolce & Gabbana, Paul & Shark, Trussardi e Hugo Boss. A seguito di ispezioni nei negozi di Hangzhou, Ningbo e Taizhou, città della provincia meridionale dello Zhejiang, sarebbero stati sequestrati beni di lusso considerati non conformi agli standard richiesti dal governo: 48 su 85 lotti esaminati, pari al 60% del totale, confezionati in Italia, Marocco, Francia, Turchia, Vietnam, India e Corea, avrebbero evidenziato imprecisioni relativamente all’etichettatura, presenza di sostanze come gli acidi e la formaldeide, pericolose per la salute e anomalie a livello di stabilità e “sicurezza” del colore.
Nessun commento da parte delle case di moda chiamate in causa ad eccezione della maison Trussardi che ha tenuto a precisare che sono già scattate le misure per rettificare l’errore nell’etichettatura.
“Il Gruppo Trussardi, messo al corrente dell’accaduto, ha potuto verificare l’errore contenuto nelle etichette – si legge in una nota – e ha provveduto alla correzione. Siamo costantemente molto attenti alla qualità dei nostri prodotti e applichiamo severi controlli sui tessuti e sui materiali che utilizziamo per confezionare i nostri capi”.Come sottolinea il comunicato, gli uffici della griffe italiana nella Repubblica Popolare lavoreranno a sempre più stretto contatto con le istituzioni locali di riferimento, affinché non si verifichino più situazioni analoghe.
Ma sebbene le società, a differenza dei punti vendita coinvolti, non devano pagare ammenda, in quanto non registrate sul territorio cinese, resta l’impressione che il provvedimento rientri nel più ampio contesto delle tensioni tra l’Occidente e il Paese asiatico, spesso accusato di non rispettare i criteri delle reciprocità internazionale.