Le hanno chiamate «toghe rosa»

Creato il 10 ottobre 2011 da Speradisole

Le hanno chiamate le “toghe rosa”, ma nell’espressione c’è un che di lezioso che non meritano.

Le donne sono entrate in magistratura per la prima volta dopo il concorso del 1963: un paio d’anni  per espletare le procedure concorsuali, un altro paio per terminare il tirocinio e prendere le funzioni giurisdizionali e si arriva al 1967.

Erano allora il 5% dei nuovi entrati; il 10% una decina di anni dopo.

Agli ultimi concorsi hanno vinto al 60 per cento.

Il sorpasso è definitivamente avvenuto, ma le donne ancora stentano a ricoprire ruoli direttivi e semidirettivi, un po’ perchè in Italia la strada verso le pari opportunità è ancora lunga, un po’ perché pagano, in termini di anzianità, lo scotto del ritardo in entrata. Secondo una proiezione del Cnr raggiungeranno la parità nel 2601.

E’ donna però Livia Pomodoro, la prima a capo di una procura capoluogo di distretto di Ancona. Lo è Elena Paciotti che nel 1980, quando Prima Linea uccise Guido Galli, chiese il trasferimento dalla giustizia civile all’ufficio istruzione di Milano, da cui Galli proveniva e da cui tutti volevano fuggire sentendosi condannati a morte.

Lo sono Alessandra e Carla Galli, figlie di Guido, entrambe giudici a Milano.

Ed è donna il magistrato più noto d’Italia, Ilda Boccassini, 61 anni, diventata famosa nel mondo – nonostante una riservatezza al limite della scontrosità – per una vita vissuta coraggiosamente in prima linea. Madre di due figli, capo della direzione distrettuale antimafia di Milano dal 2010, ha scritto un pezzo di storia dell’antimafia: sua l’inchiesta “Duomo Connection” che tra il 1989 e il 1992 fece emergere le infiltrazioni della piovra di Milano, determinante il suo apporto all’indagine che portò all’arresto di 41 tra mandanti ed esecutori della strage di Capaci, in cui morì il suo amico Giovanni Falcone.

Per stanarli accettò di farsi trasferire – era l’autunno del 1992 – per due anni a Caltanissetta e poi sei mesi a Palermo, in un tempo in cui i magistrati saltavano in aria su quintali di tritolo.

Tornata a Milano non ha lasciato né l’antimafia égli altri rischi del mestiere: “prestata” ai reati della pubblica amministrazione, ha sostenuto – con Gherardo Colombo – la pubblica accusa che portò, tra l’altro, alle condanne di Cesare Previti e del giudice Vittorio Metta per corruzione.

Nel 2007 ha fermato una quindicina si appartenenti alle nuove Br che avevano nel mirino proprietà e aziende della famiglia Berlusconi.

Tra il 2009 e il 2010 ha scoperchiato per prima, in collaborazione con la Procura di Reggio Calabria, il pentolone della ‘ndrangheta al Nord, portando centinaia di imputati a un maxiprocesso senza precedenti.

E, nel frattempo, sul suo tavolo, è planato il celeberrimo “processo Ruby”, quando all’ufficio da lei diretto è stato trasferito, fascicoli al seguito, il collega Sangermano già impegnato sul caso.

Inchieste e risultati hanno regalato a Ilda Boccassini, oltre alla stima di molte persone, una vita blindata e nemici potenti, esponendola ad attacchi anche volgari, che hanno avuto in risposta solo lavoro e silenzio.

(Dalla rivista Vivere)



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