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Le interviste dei serpenti: Paolo Cognetti

Creato il 25 luglio 2013 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

di Anna Castellari

Cognetti - Sofia si veste sempre di nero
Ho incontrato Paolo Cognetti, “ragazzo selvatico” come l’ha definito Marco Cassini, durante un incontro con quattro autori di minimum fax alla Grande Invasione, a Ivrea, organizzato dalla stessa casa editrice. Oggetto dell’appuntamento erano i personaggi nella narrazione e nella lettura dei quattro scrittori coinvolti. Così, è stato naturale parlare con lui di Sofia veste sempre di nero, la ragazzina ribella amata e odiata da tutte le persone che la circondano, candidato al Premio Strega 2013, che ha letteralmente “stregato” anche moltissime ragazzine, alcune delle quali hanno tampinato l’autore per un autografo prima che lo intervistassi: e fa piacere vedere uno scrittore trattato come una rock star, soprattutto di questi tempi…

Come mai, in Sofia veste sempre di nero, parti quasi sempre da un punto di vista femminile? Ti viene spontaneo, c’è un motivo particolare? Non è facile trovare un autore che fa questo…
È una domanda a cui ho dovuto rispondere spesso, alla quale ho anche dato risposte diverse, perché me lo chiedo spesso anch’io. Una risposta possibile è che ho sempre avuto tante amiche: sono cresciuto con mia madre e le sue amiche, i miei scrittori preferiti, per la maggior parte, sono scrittrici, c’è qualcosa nella sensibilità femminile che secondo me ha a che fare con un’attenzione al dettaglio, alla quotidianità, alle relazioni… Ovviamente, sto facendo delle divisioni un po’ semplicistiche. Ma secondo me, se esiste una sensibilità maschile, forse è più proiettata sul sé e sul mondo esterno come un’avventura, come un’affermazione di sé. Io sento questo, almeno, in tanti scrittori uomini. Mentre una sensibilità che amo tanto nelle scrittrici è questa: quella verso le relazioni. Credo che sia questa che mi appartenga, per cui ho sempre scritto in questo modo.
Poi, dall’altra parte, c’è una paura ad affrontare il maschile, perché mi riguarda molto più da vicino, perché ci sono alcuni aspetti del maschile che per me sono critici, e su cui ho bisogno di interrogarmi con pazienza; ma penso che ci arriverò.

Invece, per quanto riguarda i luoghi di Sofia, ho notato che c’è una Milano quasi finta, nel senso che tu inventi dei luoghi, come Lagobello [il paese fittizio in cui Sofia è cresciuta, ndr], di cui, però, chi abita a Milano intuisce dove e che cosa sono: io l’ho interpretato come una specie di distacco dalla città, cioè un prendere le distanze dalla città per descriverla meglio; dall’altra parte Roma, invece, la vedo più reale, almeno, così mi è sembrato, forse perché non conosco Roma; o meglio, l’appartamento in cui vive Sofia, almeno per la mia esperienza, sembra essere “molto romano”. Ho indovinato?
In quel racconto Sofia non esce mai di casa. Ho vissuto a Roma e ho avuto questa sensazione: quella di non riuscire a entrarci, nel senso che c’era qualcosa che non riuscivo a condividere di quella città, non riuscivo a viverla veramente. Per questo è nata l’estraneità di Sofia verso la capitale, il suo viverla tutta da dentro l’appartamento. Lagobello, invece, era più il desiderio di allontanare la protagonista da Milano, per poi fargliela scoprire. Infatti, a un certo punto c’è quel racconto in cui Sofia scopre la città meneghina e se ne innamora, così come si innamora di un uomo, delle storie che sono avvenute nelle periferie di Milano. Quindi, era una fuga in un luogo finto. Lagobello, oltre a questo suo essere la parodia di molti posti dell’hinterland milanese, è anche un posto senza storia, costruito il giorno prima, ordinato da un catalogo. In questo modo, Sofia nel romanzo è cresciuta in un posto senza storia, per poi a vent’anni innamorarsi delle città, che sono quasi “troppo piene” di storia.

Infine, nella mia percezione di lettrice, c’è il fatto che Sofia, in realtà, è presente in prima persona soltanto in uno dei racconti di cui è composto il romanzo, e per il resto sono tutti gli altri personaggi a raccontare. Per questo, il lettore è costretto a cambiare continuamente punto di vista. Ma la protagonista, in tutto questo, comunque c’è…
Lei non è praticamente mai raccontata da dentro, ma è sempre guardata da fuori. Il senso è un po’ questo: io per primo ero ossessionato da questo personaggio. È nato, si è sviluppato, ma ci ho messo anni a scrivere il libro. Quand’è nato era abbastanza piatto: una ragazza ribelle, anoressica, arrabbiata; poi ha preso spessore dopo un po’ di tempo. Ma per me è sempre stata qualcosa di lontano da me, proprio come un’ossessione amorosa: io ora voglio raccontare questa persona, perché ne sono innamorato, perché la vorrei catturare, riuscire a darle le parole giuste per vivere. In realtà, io sono entrato molto più in empatia con tutti i personaggi che le gravitano intorno, mi sono immedesimato molto di più, volta per volta, con sua zia, con suo padre, il suo fidanzato, l’amico che l’ha incontrata, proprio perché per tutti loro Sofia era quello che era stata per me: un oggetto imprendibile, un oggetto da amare, da odiare…

E parlando di finali aperti: Sofia sta ancora influenzando la tua scrittura oggi?
Ho scritto altre cose, su Sofia, sì. Subito dopo che è uscito il libro, infatti, mi mancava tantissimo… adesso l’ho un po’ messa da parte. Ma continua certamente a vivere nella mia testa.

Vuoi anticipare qualcosa sui tuoi prossimi libri?
Sto cercando di affrontare questo aspetto del maschile di cui abbiamo parlato prima. Quindi, cambierò un po’ punto di vista come narratore.

Per approfondire:
il blog di Paolo Cognetti
il sito della Grande Invasione
il sito di minimum fax


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