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Le interviste dei Serpenti: Ponte33

Creato il 07 marzo 2013 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

di Rossella Gaudenzi

Le interviste dei Serpenti: Ponte33
Proseguono le interviste di Via dei Serpenti con Felicetta Ferraro che, insieme a Bianca Maria Filippini, è alla guida di Ponte33, casa editrice nata nel2009 a Firenze e poi trasferita a Civitavecchia.
Ponte33 rappresenta una realtà editoriale piccola e coraggiosa, impegnata a diffondere la letteratura persiana contemporanea prodotta in Iran, Afghanistan e Tagikistan in Italia e all’estero, principalmente Stati Uniti e Europa, dove molti scrittori provenienti da quei paesi vivono e lavorano. L’intento è quello di presentare «una produzione culturale autentica, molto diversa dagli stereotipi infarciti di chador e di veli che ormai hanno invaso il mercato editoriale».

La creazione di Ponte33 rappresenta una scelta di nicchia. Cosa ha portato alla nascita di questa impresa editoriale?
La nascita di Ponte33 risale alla fine del 2008, al termine della mia esperienza di otto anni come addetto culturale dell’ambasciata d’Italia in Iran, condivisa con un’esperienza simile a quella di altre due esperte del settore, Bianca Maria Filippini e Irene Chellini, all’epoca ricercatrici universitarie impegnate nella stesura della tesi di dottorato. Ho studiato la cultura iraniana negli anni del fermento pre-rivoluzionario, la mia tesi di laurea risale al 1979, anno della Rivoluzione. Nonostante mi fosse stata assegnata una borsa di studio, gli avvenimenti rivoluzionari mi hanno impedito in quell’anno di  andare  in Iran; mi ci sono recata quasi per caso nel 1982 e vi sono rimasta per sei mesi: quello è stato il mio battesimo del fuoco, in un periodo storico estremamente interessante. Nel 1993-1994 ho lavorato per un anno come contrattista dell’ufficio culturale dell’ambasciata. Al rientro in Italia ho insegnato Storia dell’Iran a Napoli fino a quando ho ricevuto dal MAE l’incarico di tornare in Iran, questa volta come addetto culturale. E arriviamo al periodo 2000-2008, quello dell’ultima mia permanenza in Iran. Ho vissuto una situazione privilegiata che mi ha permesso di conoscere le università, gli artisti, gli scrittori; il tutto attraverso una conoscenza approfondita. Al rientro in Italia ho avvertito l’esigenza di raccontare il vero. Esiste purtroppo una conoscenza velata e venata da pregiudizi di paesi come l’Iran. La letteratura è quindi emersa come vera espressione della realtà del Paese.

Le interviste dei Serpenti: Ponte33
Qualche parola sul nome Ponte33.
La casa editrice è nata, nel 2009, aFirenze, gemellata con la città di Isfahan, che realmente le somiglia, è una città di grande fascino e bellezza. Il nome Ponte33 fa riferimento al persiano Si-o-se pol, ponte molto particolare di Isfahan dalle trentatré arcate sotto le quali si riuniscono soprattutto giovani che si incontrano, chiacchierano, leggono. È un luogo dove trascorrere ore serene come tanti altri posti; l’Iran è un paese ben più vivace di quanto l’immaginario comune possa pensare, molto meno cupo di come sia normalmente percepito da fuori. Quando Irene, la socia “fiorentina”, ha deciso di dedicarsi ad altro, la sede della casa editrice si è spostata a Civitavecchia, città di Bianca Maria Filippini, docente di Letteratura persiana all’Università della Tuscia. E questo siamo oggi, sempre come Ponte33.

Quante persone lavorano nella casa editrice?
Siamo in due, io e Bianca Maria. Occuparsi di una casa editrice in due comporta una mole di lavoro mostruosa. La premessa è che abbiamo per le mani un progetto assai particolare, monotematico, ossia la narrativa in lingua persiana; ce lo possiamo permettere perché siamo entrambe specialiste dell’area, conoscitrici della lingua, della letteratura, della civiltà di cui trattiamo. Andiamo a cercare i libri alla fonte, parliamo con gli scrittori, con gli editori, soprattutto con i lettori iraniani, e poi decidiamo. Un lavoro cospicuo che parte dalla scelta del libro, per passare alla lettura e terminare, o quasi, con la traduzione.

Quale importanza ha la dimensione del viaggio per una casa editrice come Ponte33?
Ci rechiamo spesso in Iran e spesso riceviamo materiale dai paesi di lingua persiana. Ogni viaggio comporta l’incontro con scrittori, preferibilmente giovani; quando il libro è valido al punto da essere tradotto e pubblicato, si passa alla fase di lavoro successiva. Le traduzioni sono pensate per essere lette con gli occhi di chi in questi luoghi non è andato o non potrà andare. Crediamo fermamente nel concetto che per conoscere un luogo esistano due strade: il viaggio o la lettura. La letteratura ti fa entrare nell’anima di un paese e questo accade al di là della descrizione del territorio. Nessuno dei nostri scrittori insiste molto sulla fisicità del luogo: c’è tanto altro da dire per coglierne l’essenza. Quanto ai nostri libri, chi non è mai stato in Iran commenta: «Me lo immaginavo diverso, con del colore in più…». Chi conosce i luoghi di cui parliamo afferma invece: «Che bellezza, qui dentro c’è realmente l’Iran!». Emergono città convulse, il traffico congestionato, il rumore, gli elementi di vita quotidiana delle donne, dei giovani. Emerge l’Iran che vivi.

Interessante il progetto grafico: quali sono i tratti principali della vostra linea grafica?

Le interviste dei Serpenti: Ponte33

L’Iran possiede un patrimonio grafico bello e diversificato, basato su una storica tradizione di miniatura e calligrafia. L’idea è quella di far conoscere giovani grafici iraniani che sappiano dare un volto fresco a questa tradizione. Abbiamo iniziato con Iman Raad per mantenerlo per cinque titoli e passare poi ad altro illustratore. In realtà abbiamo trovato così belle le sue raffigurazioni che esitiamo a cambiare artista. Un nuovo artista probabilmente subentrerà con l’ampliarsi delle collane.

A che punto è il progetto della collana di saggistica internazionale?
È un progetto che va a rilento perché l’offerta è soprattutto di natura accademica e rischia d non interessare un pubblico generico. Sta invece prendendo forma l’idea di una collana sulla poesia  contemporanea. Esiste una tradizione fiorente, di grande valore. In questo caso affideremo le copertine a un altro grafico.

Quali sono le difficoltà che una casa editrice piccola come la vostra ha dovuto affrontare ieri e deve affrontare oggi?
Il primo problema è stato quello del finanziamento iniziale: capitale personale e ad alto rischio. Il vero grande problema è la distribuzione. Ponte33 si auto distribuisce, andiamo ovunque portando i nostri libri in spalla. Siamo ormai entrate in molte librerie, grazie alla curiosità e all’intelligenza di librai che hanno apprezzato il progetto e, bisogna dirlo, le copertine, ma altre sono blindate, soprattutto quelle delle grandi catene. Ad esempio, non siamo presenti nella Feltrinelli di Largo di Torre Argentina che pure ha uno scaffale dedicato al Medio Oriente sempre aggiornato e dove, ne sono convinta, i nostri libri dovrebbero stare, ma così non è. Non riusciamo ancora a superare questa difficoltà, anche perché siamo in due, quindi o si legge, o si traduce, o si incontrano gli autori, o ci si occupa della distribuzione. Per fortuna possiamo contare ormai su una rete capillare, siamo presenti in almeno una libreria in ogni città, escludendo la regione Sardegna e la città di Bari. Non riusciamo a trovare un distributore che tenga conto di case editrici piccolissime come la nostra; non abbiamo la possibilità di avere un distributore, nemmeno medio piccolo, sia per una questione economica sia per l’imposizione di tempi di pubblicazione che non riusciremmo a rispettare: dobbiamo seguire la nostra programmazione.

Un’anticipazione sulle prossima uscite in libreria e nuovi autori di Ponte33.
Tra un paio di mesi uscirà il romanzo di Sara Salar, scrittrice molto giovane, dal titolo Probabilmente mi sono persa. Narra la storia di una ragazza della Tehran di oggi, sposata e con un figlio, che passa le sue giornate tra feste in casa, uscite con gli amici, ricerca di senso, spaesamenti che contraddistinguono la vita di una giovane donna con una famiglia da portare avanti laddove è protesa invece verso altro. Seguirà Particelle di Soheila Beski, autrice già affermata, una storia scritta da una donna ma con un protagonista maschile. Alla fine del 2013 uscirà un bellissimo e impegnativo romanzo di guerra. In Iran esiste un solido filone di guerra che fa riferimento agli anni del conflitto con l’Iraq, in letteratura e nel cinema.

Cosa ci racconta Ponte33 delle donne scrittrici?
Abbiamo avuto una bellissima sorpresa e ci sono motivi storici ben precisi in Iran. La rivoluzione, per quanto possa essere invisa da parte della popolazione, ha trasformato il Paese profondamente e a mio avviso anche in positivo. La struttura della società iraniana è stata stravolta e sono emersi ceti e gruppi precedentemente esclusi. Si è posto un accento particolare sull’educazione di contadini, sottoproletari, pastori, gente abbandonata in un paese grande cinque volte l’Italia, con pochissime città e fino al ’79 con comunicazioni interne quasi inesistenti. Sono state aperte ovunque scuole superiori e recentemente anche università: oggi esiste un’università in ogni città iraniana medio-grande. Ciò ha comportato un aumento di acculturazione per tutti e in particolare per le donne. Si può dire che in Iran, dopo la rivoluzione, sia stato fondamentale il concetto di chador passepartout, ‘velo-lasciapassare’: anche le famiglie più religiose, tradizionaliste e povere hanno mandato le figlie a scuola poiché il fare ormai parte di una repubblica islamica proteggeva l’onore delle donne. Il livello dell’istruzione femminile è cresciuto vertiginosamente. Un altro motivo che spiega la maggiore partecipazione delle donne in campo culturale e letterario è il desiderio di socializzazione e confronto, di uscire di casa per incontrarsi, come conseguenza della rivoluzione e del successivo conflitto con l’Iraq. Tutto questo si è tramutato in una maggiore capacità di scrivere: un numero crescente di persone ha iniziato a usare l’espressione letteraria per dire qualcosa. Prima la letteratura era appannaggio dei ceti culturali più elevati, che spesso studiavano in occidente o in scuole occidentali a Tehran, e si scriveva spesso per la classe sociale da cui si proveniva o per istruire le masse in maniera pilotata. Dopo la rivoluzione è nata una scrittura più libera: si scrive perché si vuole scrivere, per tutti e non per un determinato ceto sociale, perché si vogliono esprimere riflessioni sulla propria condizione. È una letteratura che raggiunge un numero maggiore di persone: ci sono più lettori e scrittori. Le donne sono la maggioranza, sia come lettrici sia come scrittrici.

Che cosa pensa del libro culto Leggere Lolita a Tehran?
Si tratta di un punto di partenza in negativo per noi di Ponte33. Si legge un bel libro, scritto molto bene e con una buona descrizione di ciò che è avvenuto a Tehran dopo la rivoluzione in un ambiente, come quello universitario, nel quale stava avvenendo una grossa trasformazione. La seconda parte è però meno interessante e meno sincera. A colpire di più, però, è come il libro sia stato letto in occidente: a oltre vent’anni dalla rivoluzione è stato percepito come una fotografia della realtà iraniana attuale, senza tenere conto che nel frattempo questa realtà era cambiata radicalmente. L’Iran negli ultimi trent’anni è entrato nella modernità. Questo tipo di letteratura che non tiene conto di sfumature e complessità, prodotta con un occhio al risultato commerciale, indubbiamente ottimo, non è letteratura. E non riflette la realtà del Paese.

Quali sono le fiere del libro nazionali fondamentali per una casa editrice come Ponte33?
Abbiamo partecipato al Salone Internazionale del Libro di Torino, all’interno del progetto l’Incubatore, ed è stata un’esperienza molto positiva, iniziativa della quale sottolineo l’importanza e la necessità per una realtà editoriale come Ponte33. Abbiamo partecipato anche a Buk, fiera della piccola e media editoria di Modena e al Pisa Book Festival, dove abbiamo trovato l’ambiente migliore in assoluto: molta curiosità, la ricerca delle novità delle piccole case editrici, buone vendite.

C’è stato qualche effetto dal punto di vista delle vendite con l’uscita del film Una separazione tratto dal romanzo da voi edito A quarant’anni?
No, non direi. Si smuovono le acque ogni volta che dei nostri libri ne scrive un giornale con una buona recensione: ad esempio sul libro A quarant’anni di Nahid Tabatabai è uscita una lunga recensione di quasi due pagine su «Io donna» e articoli come questo fanno la differenza che tocchiamo con mano.

Le interviste dei Serpenti: Ponte33

Buoni propositi per il 2013?
Stiamo per lanciare un nuovo progetto, una collana di e-book in inglese, alcuni di questi autori ci hanno ceduto i diritti per tutto il mondo. Ci stiamo preparando a questa nuova esperienza.

 

Leggi la recensione di I fichi rossi di Mazar-e Sharif .


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