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Non è cambiata la loro modalità di scrittura, non è cambiato il loro modo di arrangiare i pezzi e di concepirli. Hanno deciso di usare la lingua loro madre che è accessibile a tutti per riuscire a comunicare quel che volevano dire e, ci assicurano che non è stata una mossa discografica quanto dare spazio ad una esigenza naturale. Loro sono I Park Avenue e li abbiamo intervistati per Voi
Ricordi ancora qual è stato l’input che ha dato vita al vostro nuovo progetto e se ci spieghi anche com’è nato il vostro nome?
Riguardo al nome, ti posso dire che, agli esordi, era molto più lungo e per esigenze pratiche abbiamo deciso di troncarlo in Park Avenue. Quanto al disco è nato suonando, facendo la promozione del primo disco, un disco che amiamo definire molto spontaneo; pensato più per essere ricordato dalle persone che ci ascoltano.
In che termini (di emozioni, di approfondimento) catalogate questo disco che appare un album molto intimista. Nessuna paura di esporsi?
No. Noi siamo molto spontanei, quindi l’album racconta un po’ di noi, del nostro passaggio nel diventare grandi. Quindi abbiamo cercato di scrivere quello che abbiamo vissuto e visto con i nostri occhi provando a liberarci dagli alibi e il coraggio di riprendere le nostre vite in mano: cercando di fare quanto desiderato..
Quando scrivete la vostra musica, le vostre parole, c’è qualcosa o un posto un luogo o un’immagine che in qualche modo rimane una costante. Insomma cosa sognate quando scrivete?
È una domanda difficile alla quale rispondere. Certo è che ognuno di noi ha il proprio ruolo però poi ad ispirarci contribuisce anche la dimensione della sala prove. Uno spazio nel quale trovare il punto di incontro che soddisfi noi quattro sulla cosa giusta da fare e senza compromessi.
Avete avuto grande opportunità e continuate ad averle sui grandi palchi sia nazionali che internazionali. Quanto Vi ha formato questa esperienza? Avete provato a mettere a confronto la realtà italiana con quella estera?
Abbiamo avuto la fortuna di provare palchi sia internazionali che nazionali, e ci è servito per metterci alla prova e per capire se eravamo in grado di fare determinate cose e, quindi, di poter ambire a fare i musicisti. Abbiamo cercato di imparare il più possibile con ammirazione e senza mai provare invidia, vantando tanta pazienza. Raffrontando il pubblico estero con quello italiano abbiamo capito subito che all’estero le persone ti ascoltano con attenzione anche se sei sconosciuto. In Italia, dunque, c’è un po’ più di diffidenza. Da queste esperienze è nata una voglia infinita di suonare e proporre la nostra musica dal vivo perché, sicuramente, anche la gente ne ha bisogno.
Ovviamente quando si scrive di getto, magari in sala di incisione, e si vive una dimensione musicale frutto della spontaneatità può capitare di riascoltarsi e di sorprendersi di se stessi. C’è qualcosa che vi ha sorpreso di questo disco quando lo aveve riascoltato?
Leggiamo tra le righe l’entusiasmo di chi ha avuto la fortuna di essere stato libero nel crearlo in piena libertà. Chi ci ha aiutato in studio è stato determinante …merito della professionalità che abbiamo incontrato e subito fatto nostra.
Che rapporto avete col tempo quando vi sentite liberi di creare ?
Il tempo è per noi un concetto relativo che dipende da come lo si vive e, quindi dalla qualità della vita che viviamo. Oggi, nella musica bisogna avere tanta pazienza per riuscire a produrre cose interessanti ed allontanare il rischio di far diventare le canzoni pesanti e prive di un messaggio utile agli altri.
C’è un artista del passato con il quale avreste voluto o vorreste suonare; un artista che, in qualche modo, vi ha cambiato al primo ascolto?
Ci sarebbe piaciuto avere 18 anni negli anni 60. Siamo più che sicuro di questo. Siamo cresciuti a pane e Beatles perciò i nostri miti sono sempre stati i quattro ragazzi di Liverpool. Se potessimo tornare indietro ci basterebbe anche solo poter assistere ad un loro concerto. Tornando al presente avendo la facoltà di spaziare ci piacerebbe suonare con i Radiohead all’estero, mentre in Italia con Elisa.
C’è un’esperienza musicale recente che Vi ha aiutato a crescere professionalmente?
Decisamente l’apertura a due concerti di Ligabue negli stadi. Per la prima volta ci siamo trovati di fronte ad una situazione così enorme che sicuramente ci ha cambiato tanto.
Se la tua musica desse l’opportunità immediata di cambiare qualcosa del presente cosa cambieresti?
Cambierei tante tante cose e prima di ogni cosa toglierei i soldi dalla circolazione.
Credo che questo sia già dire tutto, perché significa dare un valore alle cose ed è per questa ragione che siamo felici di aver intervistato i Park Avenue!.
di Giovanni Pirri