Recenti studi hanno evidenziato come l’infiammazione da cibo stimoli le adipochine le quali determinano un incremento dell’accumulo di grasso e quindi successivamente obesità.
Ma facciamo un pò di chiarezza. Cosa sono le intolleranze alimentari?
Già nel 1991, l’allergologo Kaplan, definì le Intolleranze alimentari, “allergie non allergiche”, ovvero stati allergici che non era possibile correlare con le Immunoglobuline IgE, responsabili delle allergie.
Quindi primo punto da comprendere è che le allergie e le intolleranze alimentari non sono la stessa cosa. L’infiammazione da cibo (intolleranza alimentare) è un’infiammazione a bassa intensità che spesso dura nel tempo.
Ma cosa succede quando ingeriamo un cibo al quale siamo intolleranti?
Una ricerca di un gruppo di medici austriaci, pubblicata nel 2007 sul Journal of Obesity – Zeyda M et al, Int J Obes (Lond) 2007 Jun 26 – ha evidenziato che l’infiammazione a basso grado (come quella tipica delle reazioni immunitarie) attiva i macrofagi (cellule del sistema immunitario) che si trovano nel tessuto grasso e che questi innescano una serie di reazioni a catena che fanno si che l’organismo, anziché consumare calorie ed energia, le accumuli sotto forma di grasso.
Anche Mitchell Lazar ha pubblicato, fin dal 2004 su Science, diversi lavori che spiegano perché i macrofagi possono produrre resistina, in risposta all’infiammazione a basso grado e determinare così insulino-resistenza e la conseguente risposta difensiva di accumulo di grasso nelle cellule adipose.
Nello stesso modo numerosi lavori hanno precisato che il BAFF (B Cell Activating Factor), citochina profondamente legata alla infiammazione da cibo, determina direttamente dei fenomeni di insulino-resistenza, che stimola poi, la produzione di adipochine, che determinano obesità.
Ecco spiegato perché molte persone, pur “facendo la fame” o praticando tantissimo sport, lamentano di non riuscire a perdere peso o addirittura si rendono conto di ingrassare: qualcosa nel rapporto col cibo non funziona come dovrebbe.
Un esempio clamoroso ci arriva dalla recente definizione della “Gluten sensitivity” (una intolleranza al glutine che provoca gli stessi sintomi della celiachia e che riguarda anche il 20% della popolazione sana), che ha gettato altre luci sui fenomeni infiammatori da cibo. Denunciata da molte persone, questa reazione al glutine è dovuta all’attivazione delle reazioni infiammatorie difensive dell’organismo.
Quindi, un obiettivo per la salute è quello di creare tolleranza immunologica ovvero di recuperare la tolleranza quando questa è stata persa e di imparare a mangiare in modo vario e sano senza inutili restrizioni.
Inoltre da recenti studi, si sta evidenziando che il modo di mangiare, la presenza di cibi non tollerati, oltre a provocare malattie infiammatorie croniche, danno luogo anche a cambiamenti dei nuclei stessi delle cellule, che portano a malattie, come la steatosi epatica (J Clin Invest. 2006 Jun;116(6):1494-505. Epub 2006 May 11.MCP-1), le malattie cardiovascolari e altro ancora.
Lavorare sull’infiammazione da cibo, di fatti, significa lavorare in modo profondo sulla salute e sulla prevenzione delle persone.
L’aspetto più interessante dell’infiammazione da cibo è che spesso determina una distribuzione del grasso localizzato.
Ecco che lieviti e sale danno frequentemente una tipica disposizione del grasso in eccesso sui fianchi e sulle gambe; il latte facilita l’ingrassamento addominale e delle spalle, e così via.
L’infiammazione da cibo può essere ritardata nel tempo, ovvero dopo le 24/48 ore dall’ingestione dell’alimento o può essere legata a cross-reattività, ovvero reazione crociata tra alimenti della stessa famiglia o gruppo biologico della sostanza incriminata;
inoltre può mantenere e sostenere allergie in persone già affette, ad esempio, da allergia alle graminacee, con fenomeni di cross reattività al grano alimentare, nel periodo, in questo caso primaverile.
Ma non tutti i test sono attendibili!
Quindi anche se per fortuna dalle intolleranze si può guarire, l’importante è scegliere di effettuare dei test validati ed attendibili, eseguiti da personale qualificato che saprà consigliarvi pianificando un programma di svezzamento personalizzato, dove tramite la graduale e progressiva introduzione di alimenti non tollerati si giungerà nel giro di qualche mese (3-12), a tollerali nuovamente.
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Anno 1 – Numero 3
Giugno – Agosto 2013
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