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“Cockeyed” è un romanzo di memorie scritto da Ryan Knighton e pubblicato da Edizioni San Paolo. L’autore canadese ci narra - senza autocommiserazione e con toni lievi e sottilmente ironici - episodi della sua vita segnati dalla progressiva perdita della vista causata dalla retinite pigmentosa, una malattia degenerativa della retina che provoca dei fori nel suo campo visivo. L’immagine di copertina è piuttosto esplicita sul contenuto del libro, ma anche il particolare sottotitolo - con la doppia traduzione del titolo - rappresenta bene l’argomento trattato, infatti, lo strabismo costituisce il punto d'inizio della malattia, la quale porterà l’autore a vivere situazioni talvolta ridicole e al limite dell’assurdo. All’inizio del romanzo incontriamo Ryan quando è ancora un ragazzino che porta occhiali con lenti a fondo di bottiglia e vive a Vancouver con la sua famiglia, alla quale è molto legato. Lo vediamo alle prese con i suoi primi lavori estivi, svolti in maniera goffa e inefficiente, e con i suoi piccoli e inspiegabili incidenti d’auto, di cui comprende la causa non appena appresa la diagnosi del medico. L’inevitabile perdita della visione notturna non lo turba quanto dovrebbe e diviene il pretesto per soddisfare il suo desiderio d’indipendenza. “A chi frega, pensai. Di certo non a me, non all’epoca. Non con quel festival di ormoni nel mio corpo di diciannovenne. Sentivo di avere preoccupazioni più urgenti de mio vociferato futuro da cieco. Andarmene a vivere da solo, per esempio, non sarebbe stato male.” Così si trasferisce vicino all’università locale, in un appartamento che condivide con Jane, studentessa sorda con cui ha in comune l'intolleranza per il proprio problema fisico. “Eravamo la Strana Coppia, e la cosa ci giovò. Convivere con l’invalidità dell’altro era una sorta di mal comune e mezzo gaudio.” Ryan sottolinea il suo rifiuto per la malattia nascondendola al resto del mondo e avventurandosi per i locali notturni di Vancouver dove spopola il punk rock, ma presto è costretto a riconoscere i suoi limiti e a rassegnarsi a utilizzare un bastone bianco per ciechi, che prima rifiutava per una forma di orgoglio. L’uso del bastone cambia la sua concezione del tempo e dello spazio, poiché lo porta a concentrarsi sul presente percorrendo gli spazi un passo alla volta, senza fretta. Impara a spostarsi memorizzando le distanze tra casa sua e i luoghi che frequenta e ciò che si trova lungo quei percorsi. Viaggiare e frequentare posti nuovi diviene una vera e propria (dis)avventura perché in quel caso non può contare sulla sua memoria o sulla sua ridottissima visione a cannocchiale. “Quando mi allontano dal luogo in cui vivo il mio mondo non diventa più grande. Diventa spaventosamente piccolo.” La cecità causa a Ryan vari momenti d’imbarazzo, specialmente quando è costretto a chiedere aiuto per raggiungere i bagni pubblici o quando le persone pensano che lui le stia fissando (situazione che a volte lo porta a nascondere la sua malattia), e influenza inevitabilmente le sue relazioni sociali e il suo lavoro. Con la dolorosa perdita di un familiare, Ryan arriva ad una nuova presa di coscienza: “[…] la sua morte mi obbligò a lasciar spazio a un mondo che non ruotava attorno alla mia cecità. Sento tutti i giorni la mancanza delle cose, ma che cosa sono? Lo dice la parola. Cose. […] Certo, io le cose non le vedo, ma fu alla morte di Rory che, per la prima volta, mi venne davvero a mancare qualcosa. Pensavo di sapere cosa fosse la perdita, e invece cosa ne sapevo? Poco.” Ma è la vicinanza della donna che ama (Tracy) a sostenerlo e a renderlo più forte. La loro situazione comporta rinunce e cambiamenti, ma niente che non riescano a superare insieme. “Sono cresciuto con un’altra persona che è l’estensione del mio corpo e della mia vita attiva. Non parlo in senso figurato. […] lei vede per me come avrei voluto fare io."
La nuova esperienza al campeggio per ciechi (la parte più stramba e divertente del libro) lo arricchisce e, finalmente, gli fa capire che accettare la sua cecità non significa perdere la sua identità come individuo. L’autore impara, così, a convivere con la sua malattia (progredita fino al 99%), e, nonostante essa sconvolga tutti gli aspetti della sua vita e il modo di percepire il mondo che lo circonda, affronta ogni situazione, anche l’inevitabile, senza più tirarsi indietro. “Cockeyed” è un romanzo piacevole e diverso dal solito, che alterna situazioni condite di umorismo, momenti bui e commoventi e fasi profonde e riflessive. Un viaggio attraverso l’esperienza e le emozioni del protagonista, che “mi ha aperto gli occhi” e mi ha fatto riflettere su aspetti della cecità che non avevo mai considerato o immaginato. Consigliato a chi apprezza le letture introspettive e fuori dall’ordinario.
PS: l'autore ha scritto un seguito intitolato "C'mon papa", in cui racconta i primi due anni di paternità.
Voto: 3 mele e mezzo.
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