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“Le lune di Giove” di Alice Munro

Creato il 12 novembre 2010 da Sulromanzo
“Le lune di Giove” di Alice MunroDi Debora Vagnoni
“Le lune di Giove” di Alice Munro (traduzione di Susanna Basso, ed. Einaudi)
Come spesso accade nella produzione narrativa di Alice Munro, a dare il titolo a tutta la raccolta (ripubblicata da Einaudi nel 2010, comprende racconti appartenenti a momenti diversi della carriera dell’autrice) è uno dei racconti, in particolare l’ultimo, forse il più emblematico, che tocca trasversalmente i temi di tutti gli altri. 
Credo che il lettore che si accosti per la prima volta alla narrativa della Munro possa essere colpito innanzitutto da due elementi: il primo riguarda l’orizzonte d’attesa alimentato dal lettore, il quale potrebbe aspettarsi una serie di storie brevi, indipendenti, i cui personaggi vivono il loro percorso narrativo più o meno intenso per poi scomparire e lasciare spazio agli altri. Nell’universo narrativo della scrittrice canadese questo non avviene, poiché i personaggi si riflettono gli uni negli altri come in un gioco di specchi, trasmettendosi a vicenda echi e rinvii incrociati.
L’altro elemento riguarda l’idea che tradizionalmente si può nutrire a proposito della tipologia narrativa del racconto, genere che difficilmente trova adepti nella letteratura italiana contemporanea, tranne poche eccezioni (nel Novecento Tommaso Landolfi e Dino Buzzati, non a caso intrisi di un realismo magico di matrice europea e quanto mai lontani da provincialismi e regionalismi). E qui si aprirebbe un discorso troppo lungo, da destinarsi ad altre occasioni, per chiedersi perché mai la tradizione italiana debba rifuggire da un genere che altrove (dalla letteratura anglosassone a quella tedesca, a quella anglo-americana) trova realizzazioni esemplari. In ogni caso, dal racconto ci si può aspettare l’occasione per una lettura meno impegnativa sul piano spazio-temporale, sia perché l’arco della narrazione solitamente rispetta le unità di spazio tempo e luogo per motivi di respiro narrativo, sia perché un racconto di media lunghezza può esser letto come un episodio autonomo in termini di fruizione contemporanea, purtroppo legata a tempi veloci, a ritmi narrativi rapidissimi (si pensi all’evoluzione che ha subito il tempo narrativo nel linguaggio cinematografico, per non parlare dei tempi contratti e sincopati della pubblicità televisiva).
I racconti della Munro sono complessi e compiuti in se stessi come piccoli universi, come piccoli romanzi. Nel primo racconto, intitolato I Chaddeley e i Fleming e diviso in due parti, Agganci e Il sasso nel pascolo, l’arrivo di quattro cugine a casa della protagonista, ancora bambina, in una località dell’Ontario occidentale, crea l’occasione per la ricostruzione narrativa di un mondo perduto che la protagonista comprende poi solo da adulta, quando con occhi diversi incontra a distanza di tempo una della cugine e la rivede con gli occhi smaliziati e inconsapevolmente crudeli che poteva aver avuto la propria madre anni prima; questo meccanismo di confronto impietoso tra le attese magiche dell’infanzia, con il suo bagaglio proustiano di profumi, sapori e atmosfere che si vorrebbe rivivere, e la realtà adulta, si verifica spesso nei racconti della Munro, e rende la descrizione dei personaggi un’analisi psicologica di volta in volta avvincente ma anche dolorosa. Come se l’occhio della scrittrice oltrepassasse suo malgrado i confini posti dai personaggi, i tentativi esteriori di costruire una personalità spesso nella propria fragilità, i caratteri vengono indagati e raccontati nelle loro piccole manie, nella minuzie quotidiana che li rende irrimediabilmente transeunti e a volte mediocri. Non si tratta mai, però, di una mediocrità morale, bensì dell’insoddisfazione a volte malcelata di non aver raggiunto il proprio sogno, di aver involontariamente tradito nel tempo le proprie aspettative, le fantasie giovanili dell’immaginazione che per anni hanno conferito carne e sangue alla propria esistenza, per poi estinguersi al confronto della realtà adulta, l’arido vero leopardiano.
Tuttavia, un piccolo ma non banale riscatto attende queste protagoniste femminili, sorelle tra di loro, apparentate da uno sguardo coraggioso nel voler indagare la propria verità, un riscatto che, se non può essere considerato mai un risarcimento nei confronti dei loro sogni perduti per la strada (viene in mente la metafora flaubertiana del viandante che dissipa nel proprio cammino i propri sogni), offre però una prospettiva nuova sulla propria vita presente e soprattutto la possibilità di valorizzare ogni singolo momento di essa, mettendosi così ancora nelle condizioni di poterla apprezzare.

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