Al governo si sa piace lo spettacolo, l’impatto mediatico, il titolo che Minzolini e gli altri posso sparare in prima serata e la carta stampata imprimere per i suoi lettori: l’apparenza è tutto, ma la sostanza niente. E la lotta alle mafie segue la stessa logica: arresti di ventennali latitanti ormai fuori da ogni giro, magari più orientati al pannolone che al mitra. Ma fa notizia.
Purtroppo la criminalità organizzata è cambiata assai più velocemente del manico politico che dovrebbe combatterla, adotta altre strategie, agisce silenziosamente dentro le smagliature del sistema finanziario, s’insinua nella spesa pubblica attraverso gli appalti, rileva attività, fa joint venture, mette il doppiopetto del banchiere e il colletto bianco del funzionario pubblico. Per contrastarla non servono rambo e azioni spettacolari, ma un lavoro capillare, determinato, svolto da persone preparate, motivate. Un lavoro sempre pericoloso, ma che richiede competenza e vicinanza dello stato.
E invece così non è, anzi, si tenta di sguarnire la Dia: nella legge di stabilita’ al comma 21 dell’articolo 4 si colpisce il personale della Direzione investigativa antimafia, riducendogli la busta paga, con un provvedimento che decurta fino al 20% delle loro entrate mensili. Così chi ha svolto indagini delicatissime viene punito e si fa un risparmio micragnoso e miserando nei confronti di chi negli ultimi 3 anni ha sequestrato beni per 5,7 miliardi con la confisca diretta di 1, 2 miliardi di euro. E questo senza parlare della sottrazione di fondi che sta strozzando il funzionamento del servizio di protezione per i pentiti e testimoni di giustizia, smantellando nei fatti le strutture cardine dell’antimafia.
Chi venisse da qualche altro Paese sarebbe tentato di pensare che si voglia raggiungere esattamente lo scopo di rafforzare le mafie e di umiliare chi le combatte, piuttosto che pensare all’ottusità dei tagli lineari. Per questo uomini e donne della Dia hanno protestato oggi in piazza. Perché ancora una volta si sta creando una situazione di emergenza dove alle infiltrazioni sempre più inquietanti e capillari della criminalità si risponde sguarnendo e demotivando le difese.
Gli studi di cui disponiamo ci parlano di compiuto una formidabile e capillare penetrazione in tutta Italia in tutti i settori e le attività dall’Ortomercato di Milano alle società immobiliari, fino alle aziende che forniscono bodyguard alle discoteche, in Piemonte come in Val d’Aosta, dalla Liguria dove si registra un grande sviluppo dell’attività criminale calabrese coordinata da un organo di “controllo”, la cosiddetta Camera, al Veneto dove si ipotizza una poderosa attività di approvvigionamento di armi, ordigni e esplosivi. Ormai nella padania la criminalità condiziona il sistema degli appalti, le gare, il settore dell’edilizia, quello dell’energia, i cantieri, le discariche, le attività di movimento terra e la gestione della cave. Secondo Nicola Gratteri la sola ‘ndrangheta opera in sedici regioni e ha collegamenti in altre tre e che sarebbero almeno tredici i politici lombardi sorpresi a tessere rapporti con essa. E secondo la Commissione Parlamentare la penetrazione della criminalità nelle regioni italiane e in particolare in quelle del Nord è capillare tanto da aver raggiunto un livello di integrazione profondo con il contesto sociale, economico e politico. Tanto profondo da essere divenuto ormai un fatto normale.
Altro che i dinieghi dei leghisti, roma ladrona e tutte le altre balle del repertorio, altro che l’erre moscia di certi ministri che con una mano combattono l’evasione e con l’altra dai loro studi professionali “consigliano” come attuarla persino alle banche, altro che Brunetta che voleva, in un accesso non sedato di deregulation, abolire persino il certificato antimafia . Si altro che questo governo sempre sul filo di un’inesplicabile ambiguità.
E infatti non si sa da quanto tempo l’Anfp, l’associazione dei funzionari di polizia denuncia l’assoluta incomprensibilità di un’azione che pare fermamente decisa a disperdere le professionalità dei 1300 investigatori della Dia, togliendo loro ogni incentivo. Comunicati, documenti inviati al Parlamento che denunciano l’impossibilità di attirare personale competente e motivato per far fronte al turn over. Ma risposte concrete non ne sono arrivate.
Il libro delle chiacchiere si allunga di un nuovo capitolo, mentre quello dei fatti perde ogni giorno qualche pagina. Il libro del governo s’intende: le mafie i fatti li sanno fare.