Avete mai pensato a cosa voglia dire essere delle 'belle persone'? Non belle fisicamente, ma in senso più profondo, umano, se non addirittura spirituale, ma in una maniera del tutto avulsa da quella religiosa. Io ultimamente me lo sto chiedendo più che mai, in gran parte proprio per via della gente che mi ha circondato quotidianamente per molti anni e che ho rivalutato negli ultimi tempi, come gran parte dell'umanità che conosco. Non posso dire di conoscere gente cattiva - anche perché credo che la cattiveria non esista, le persone imparano a diventare cattive e il più delle volte lo fanno per paura, quindi sono pure loro delle vittime - bensì delle persone che, come tutti noi, con l'ausilio della quotidianità, si danno a piccole azioni magari a una prima occhiata irrilevanti, ma che ripetute con costanza riescono a fare più danno di una grande azione sbagliata. Può essere il dimenticarsi di salutare una persona o il non ricordarsi di chiedere a un amico che non si vede da tempo come sta, l'affrettarsi nell'elargire giudizi o il darli a cuore troppo leggero... tutte cose che, brutto da dire, fanno parte della nostra natura e che spesso ci tocca accettare, specie perché è difficile rendersi conto di quando le si fa di persona. Bene e male sono due concetti molto vaghi, che non possono essere perfettamente distinti proprio per quella che è la natura umana. Un uomo non è composto anche da sfumature, l'uomo è un agglomerato di sfumature, perciò le distinzioni nette sono impossibili da fare. Pertanto preferisco badare alla mia di cattiveria, poiché alla (presunta) crudeltà altrui spetta un giudizio superiore al mio, per il quale non ho le dovute competenze.
Adam è un naziskin appena uscito di prigione. Per scontare la sua pena dovrà passare qualche settimana nella co
munità di recupero gestita da padre Ivan, un pastore protestante dai modi molto singolari. Adam, nel periodo da trascorrere in quel luogo, si pone l'obiettivo di fare una torta di mele, ma dal suo arrivo il meleto della chiesa è attaccato prima dagli uccelli, poi dai vermi e infine...Per i più - e anche per me, fino all'altro giorno, quando ho noleggiato questo film in biblioteca - il nome di Anders Thomas Jensen non dirà molto, ma in patria è molto conosciuto, se non altro dagli appassionati o da quelli del settore cinematografico. Accanito collaboratore di Susanne Bier (Open hearts, Non desiderare la donna d'altri, Dopo il matrimonio, Love is all you need, In un mondo migliore, A second change), ultimamente la sua firma si è fatta conoscere pure da un pubblico più ampio grazie a opere come La duchessa o The salvation - anche se quest'ultima è scritta da un altro suo frequente collaboratore di madrepatria, Kristian Levring - pur perseverando nel lavorare prevalentemente nella sua amata Danimarca. Come regista ha fatto poco, qualche cortometraggio (uno dei quali si è anche aggiudicato l'Oscar) e, oltre a questo, altri due film da noi ancora inediti, che vanno a completare quella che dovrebbe essere un'ideale Trilogia del Perdente, tema che da quel che sembra pare essere molto caro a questo autore. Stranamente, dopo aver raccattato un modesto successo un po' ovunque, pure da noi questa pellicola si è fatta notare, e infatti mi veniva consigliata da un po' di tempo, anche se non mi sono mai deciso a recuperarla per colpa della mia solita pigrizia. A farmi cambiare idea c'è voluto lo scoprire che il co-protagonista del film è Mads Mikkelsen, il One Eye di Valhalla rising o l'Hannibal Lecter di Hannibal, in parole povere, uno dei miei attori preferiti - e voi sapete che le mie visioni raramente dipendono per la presenza di un attore - che qui veste l'inedita parte del pirla, simile ma diametralmente opposta a quella della Trilogia del Pusher di Refn, riuscendo benissimo anche in questa prova. Ma tutto il film riesce molto bene, pur non potendo vantare la perfezione che molti gli hanno attribuito, anche se l'effigiarsi di questa nomea non è proprio il suo scopo. Jensen scrive e dirige in maniera lineare (forse la regia è fin troppo lineare, per certi versi) una storia semplice e in costante rischio di metaforoni, che a me piacciono ma solo in dose adeguate al contesto, riuscendo a trovare il giusto contrappeso in ogni cosa e affidandosi a un humour nero che non guasta mai, illustrando un'umanità decisamente rotta e anomala ma che cerca di trovare il proprio equilibrio. Inizialmente è proprio il personaggio che dà nome alla pellicola a sembrare l'anima nera del gruppo, un nazista per nulla pentito delle proprie idee e che vuole rivendicarle fino alla fine, ma il marcio sta in tutti noi, come sembra suggerire l'albero di mele che subisce le aggressioni del tempo e della natura, così come lo suggeriscono i personaggi. I pazienti non sono proprio degli stinchi di santi e Ivan, il pastore che gestisce il tutto, è un personaggio decisamente ambiguo e lo diventa sempre di più mano a mano che si viene a scoprire il suo passato, fino a che l'intero film non è abitato da protagonisti e comprimari esecrabili, tutti affogati nel loro male di vivere e tenuti in piedi dal fantasma di un'illusione. Col procedere della storia la pellicola sembra quasi suggerire però che quel marcio fa proprio parte della nostra natura di esseri umani e, fra una disquisizione del libro di Giobbe e un aprire gli occhi su una pericolosa realtà, tutto si ribalta. Non c'è un vero e proprio messaggio esplicito, tutto viene lasciato all'intuizione. anche se il finale avviene in maniera troppo vaga e a tratti frettolosa, ma fa comprendere che il concetto di male è quanto di più vago possa esistere. Analizzarlo non ha senso perché sono cose che travalicano la nostra natura umana, troppo semplice eppure inutilmente complessa, quando la realtà sta nelle cose semplici. Come una torta di mele, così facile da realizzare, ma il cui ottenimento è costato così tanta fatica. Ma spesso è il percorso che conta, non la quantità di quello che si è fatto.
Nonostante il clima nero che vuole rappresentare, un film che rilassa. Come un massaggio fatto da una persona che ha immerso le mani nel fango.
Voto: ★★★ ½