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Le mentine dei ricchi e i diritti civili

Creato il 02 novembre 2014 da Albertocapece

mentineChiedo scusa in anticipo ai lettori se oggi mi distraggo dalla degradante cronaca quotidiana, dalla spaventosa densità di menzogna, per filosofeggiare un po’. Non in astratto e per questo parto dalla pubblica disubbidienza di Marino sulla trascrizione dei matrimoni omosessuali contratti all’estero per parlare un po’ di diritti civili e di cosa penso della loro gestione politica nell’ occidente in declino. Posso riassumerlo in due parole: il diritto di ognuno a dare forma alla propria vita è imprescindibile, ma ho anche la sensazione che esso sia divenuto oggetto di un baratto tra diritti individuali e diritti sociali, tra una gentile concessione di libertà morale e normativa in cambio di sottrazione di altri diritti fondamentali.

La cosa ha un senso proprio perché l’ideologia prima liberale, poi liberista e infine neoliberista ha artificialmente scisso ciò che è inscindibilmente legato, ovvero la vita individuale e quella sociale. E lo vediamo bene nel momento in cui i diritti civili sono considerati attinenti alla sola sfera individuale ed etica : divorzio, aborto, matrimoni gay e quant’altro, mentre il diritto alla casa, alla salute, a una vita dignitosa e a un lavoro non schiavistico vengono considerati altra cosa e di fatto negati in quanto diritti. Mentre è facile vedere, anche da un punto vista pragmatico, che la separazione è assolutamente artificiale: ogni persona vive in un contesto storico e politico determinato, dove tutto si tiene e dove – parallelamente – tutto può essere trasformato secondo nuovi modelli.

Ma è proprio questo che il liberismo si impegna a negare sulla base dei propri interessi: esso si fa portatore di un’idea di immutabilità del mondo, governato da presunte leggi universali dell’economia, spesso contraddittorie, spesso contraddette, però atte non solo a giustificare e benedire  la diseguaglianza, ma a presentare solo la faccia individuale dei problemi. La società nel suo insieme non è altro che una rete di regole in grado di mantenere gli equilibri e dove dunque le istanze etiche  hanno solamente una valenza individuale, dimenticando e poi negando che esse sono frutto di processi collettivi e globali. Per decenni abbiamo stancamente girato attorno ad Habermas e Rawls che cercavano di gettare ponti tra l’incommensurabilità etica delle persone, dei gruppi e dei valori attraverso l’educazione del discorso o le norme originarie del liberalismo egualitario. Entrambi cercavano di esorcizzare il conflitto sociale, di estrapolarlo dal senso della democrazia e della storia, per metterlo in secondo piano o guardandolo come una non soluzione. Una potente esaltazione del mondo immobile e determinato e di una società falsamente neutrale dove invece il potere di pochi si rafforza.

In questo contesto sarebbe stato eccessivo non solo negare la possibilità di progresso sociale in quanto fattore antieconomico in vista dell’accumulazione di capitale, ma anche imporre visioni etiche come negazione proprio di quelle libertà individuali che costituiscono il sostrato ideologico del liberismo storico. E’ vero che il termine libertà va inteso come libertà economica, ma il puntare esclusivamente sulla somma algebrica degli individui ha avuto, come dire, una sorta di surfetazione che pretende giustamente rispetto verso le singole personalità e che rischia di far rientrare per altra via il conflitto sociale, di scoprire il gioco. Così mentre si affida ai media, al cinema, al mercato e ai gruppi di intolleranti e integralisti il compito di contenere questa spinta è iniziata l’era delle concessioni, accelerata poi dalle varie crisi susseguitesi negli ultimi 15 anni per simulare la crescita della democrazia, la distanza dalle altre società del mondo, per anestetizzare il conflitto sociale e portarlo all’esterno. Per compiacere i desideri e castrare i bisogni-

Anche in Italia, terreno particolarmente difficile per la presenza di un monopolista etico come la chiesa cattolica,  la sedicente socialdemocrazia, mentre compie massacri sociali in nome del capitalismo finanziario e delle sue leggi, si abbarbica ad atti simbolici come quello di Marino, che contemporaneamente abolisce 24 linee di trasporto pubblico in periferia o a fumose e sempre disdette promesse sui diritti civili, per dimostrare la propria natura progressista. Alle quali peraltro si aggancia persino il vecchio Berlusconi ormai consapevole che la Chiesa punta sul giovane chierichetto massone. Non vorrei creare equivoci ben venga tutto questo, ma stando ben attenti che non sia la chicca di modernità studiata per trascinarci nell’anticamera del medioevo.

 


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