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Le menzogne della guerra

Creato il 10 settembre 2013 da Conflittiestrategie

Gli intellettuali, i politici o i giornalisti
che dicono di lavorare per il bene
comune, dovrebbero darne una prova
concreta e suicidarsi.
Carl William Brown

 

L’informazione è disinformazione. Non è il quarto slogan del Partito orwelliano del romanzo 1984, ma la realtà della nostra epoca. La guerra in Siria, come tutte quelle precedenti, dall’Iraq all’Afghanistan, ha scatenato gli animal spirits della disinformatja che provano in tutti i modi ad assistere le bugie obamiane  e giustificare così l’intervento militare contro Damasco.  I “Ministeri della Verità” della coalizione occidentale elaborano piani, sempre più inverosimili, per spargere la menzogna e colpire gli Stati che si rifiutano di riallinearsi al New World Order di matrice washingtoniana.

Sembra davvero 1984 ed, invece, è il 2013. Ma non sempre una menzogna ripetuta mille volte diventa una verità, perché anche le fandonie bisogna saperle preparare e raccontare, altrimenti possono esploderti in faccia. Il mondo odierno, quello del multipolarismo geopolitico, almeno in alcune sue componenti, è più restio ad ingurgitare passivamente tutto quello che viene prodotto dall’industria delle falsificazioni made in Usa.

Il clima è cambiato, paesi emergenti o riemergenti si contendono il primato a livello regionale, mettendo in discussione i precedenti equilibri fondati sull’interessato arbitrato americano.  Gli Stati Uniti faticano a ricomporre le sfere del loro predominio e arretrando lasciano dietro di loro il caos, affinché nessuno possa approfittare di tale vuoto di potere. Prendono tempo per riorganizzarsi ma sono incapaci di “elaborare il lutto”, quello della perdita dell’egemonia assoluta dopo un ventennio di supremazia incontrastata, seguita alla vittoria sull’URSS.

Il gruppo di comando che gravita intorno ad Obama, di cui quest’ultimo è appunto espressione, sembra impreparato ad assolvere questo compito storico. La sua azione sui palcoscenici caldi del pianeta, in primis Medioriente e Mediterraneo – che sono tali perché si trovano al centro della prossima disputa policentrica per il primato mondiale – non ha raggiunto gli obiettivi agognati ed ha peggiorato il contesto generale, con ripercussioni in altre aree delicate.

Gli scricchiolii sul fronte siriano della cosiddetta comunità internazionale, a guida statunitense, ne sono la testimonianza lampante. Russia e Cina ostacolano palesemente lo strapotere Usa, molti partner, tradizionalmente soggetti alla volontà americana, si sono sfilati nascondendosi dietro all’ONU, mentre altri stanno facendo letteralmente il doppio gioco. Qui viene in evidenza il ruolo francese e tedesco. La Germania  è in “lotta” con la Francia per la prevalenza in Europa, Parigi e Berlino concorrono per diventare perno dell’UE. La prima, è politicamente forte ma economicamente più debole, la seconda viceversa. Parigi è disposta a cedere fette di sovranità (nuocendo anche agli altri aderenti) per ottenere “le deleghe” americane sul vecchio continente e rinsaldarsi finanziariamente. Berlino, offre invece, sinergie economiche, che costeranno carissime ai punti deboli dell’Unione (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia) in cambio di una leadership politica, seppur condizionata dall’amministrazione Usa. In questa partita a due chi ci va di mezzo sono i restanti stati membri che saranno sacrificati per le mire di teutonici e transalpini. Alla faccia dell’Europa Unita. Qualcuno poi ci mette pure del suo, vedi l’Italia, che non avendo minimamente compreso la disputa in corso e la marginalizzazione economica e politica che ne sta conseguendo per essa, continua a tessere sbagli sulla stessa trama di vent’anni fa, senza spostarsi di una virgola dalle opinioni ed illusioni antecedenti.

Al momento pare che la Francia sia in vantaggio sulla Germania nell’accreditamento verso gli Usa, non a caso, Berlino viene sottoposta ad una campagna accusatoria, da una sponda all’altra dell’Oceano, per via delle sue scelte di eccessiva austerità che impedirebbero l’uscita dalla crisi. Forse, per questa ragione, essa ha tirato un brutto scherzo ad Obama in Siria.  Il Presidente americano aveva fondato il suo attacco sulle prove fornitegli da un’agenzia di spionaggio tedesca. Un dirigente di questo ente di sicurezza aveva rivelato di aver intercettato una comunicazione in cui un alto funzionario di Hezbollah parlava dello stato di panico di Assad il quale avrebbe dato ordine di usare il sarin contro i ribelli per ribaltare le sorti del conflitto (leggete qui ). La notizia era stata riportata anche dal New York Post. Ora, invece, i medesimi 007 smentiscono questa versione, affermando che dalle informazioni in loro possesso, raccolte dalla nave spia Oker che staziona al largo delle coste siriane, Assad non avrebbe mai chiesto ritorsioni con i gas letali. Anzi, costui avrebbe respinto le pressioni dei suoi generali che reclamavano attacchi chimici contro i nemici.

Infine, a conferma di ogni cosa, con la liberazione del giornalista italiano Domenico Quirico e dell’insegnante belga Pierre Piccinin, tenuti in ostaggio per mesi dai terroristi islamisti, la posizione del governo siriano si è rafforzata. I due hanno detto di aver origliato una conversazione dei loro carcerieri che smentirebbe l’utilizzo di armi chimiche da parte dell’esercito regolare siriano. Gli 11 stati volenterosi, tra cui il nostro, che al G20 avevano sottoscritto  una dichiarazione condivisa in condanna dei crimini contro l’umanità perpetrati dal regime, hanno preso l’ennesima cantonata. Qualcuno tornerà sui suoi passi ammettendo l’errore? Dubitiamo, ma siamo sicuri che non lo farà l’Italia, con i suoi  mezzi di “scomunicazione” che vedono eretici ovunque lo vogliano i padroni americani. L’altro ieri era otto 8 settembre e, putrtoppo, anche oggi. Nel Belpaese le lancette del tempo non vanno più avanti.


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