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Le métier de la critique: Gabriele D’Annunzio ed il vivere la vita come se fosse un’opera d’arte

Creato il 11 febbraio 2015 da Alessiamocci

Gabriele D’Annunzio è una delle figure più emblematiche del Decadentismo non solo italiano ma anche europeo, grazie a lui, infatti, la nostra letteratura supera i confini dell’Italia ed acquista fama internazionale.

James Joyce lo pone tra i tre più grandi artisti del Novecento insieme a Tolstoj e Kipling. In effetti sia il suo modus vivendi, sia la notevole capacità di far sue tutte le novità letterarie che vengono elaborate oltralpe, gli consentiranno di uscire dall’accademismo nostrano.

D’Annunzio punta a creare l’immagine di una vita inimitabile, sottratta alle norme del vivere comune .“Rinnovarsi o morire” scrive nella prefazione al romanzo “Giovanni Episcopo” e, di fatto, esplica continuamente la sua volontà di superarsi, tendendo a fare della sua vita un’opera d’arte.

La sua brama di eccezionalità la manifesta sia in campo privato (le numerose e tempestose storie d’amore)  e socio-politico (nel ruolo di deputato, il passaggio nel 1900  all’estrema sinistra; durante la Prima guerra mondiale, la beffa di Buccari e nel dopoguerra, la marcia di Ronchi e la presa di Fiume), sia  in ambito letterario, aderendo a tutte le mode culturali  (spiritualismo preraffaellita, classicismo parnassiano, simbolismo, superomismo nietzschiano)

Non solo le riviste rosa, a causa dei suoi continui ed eclatanti amori, ma anche quelle culturali non possono esimersi di scrivere di lui. Forse questo far parlare di sé, conducendo anche una vita molto mondana, lo si può inserire nell’esigenza degli intellettuali del tempo di reagire alla società capitalista che tende ad inserirli nell’ingranaggio economico del tempo.

Però, se da un lato il suo differirsi dalla gente comune è un modo per reagire alla volontà di occultamento dell’intellettuale tipica della società del tempo, dall’altro ciò che per lui è strumento di distinzione, nello stesso tempo risponde alle esigenze economiche e politiche di quella stessa classe che rifiuta. Infatti con il suo vivere inimitabile, si pone come modello ai giovani irredentisti che vogliono uscire dal qualunquismo e, inoltre, finisce con il favorire il gioco di imprenditori ed editori che preferiscono pubblicare opere di autori amati e ricercati dal pubblico.

D’Annunzio soddisfa sia  la brama di potenza e grande,  sia il desiderio del bello, entrambi esigenze tipiche delle nuove generazioni.  In fondo D’Annunzio, sostiene A. Marchese, non ha altra funzione che quella dello  stile “Liberty” che rende il bello volgarizzato, accessibile alle masse del tempo; inoltre con l’agognare  una società dominata dagli eletti, la sua posizione finisce con il coincidere con quella della borghesia che vuole  realizzare uno stato forte e potente.

Ma cosa c’è di autentico nei comportamenti e nei gusti letterari di Gabriele D’Annunzio?

Sicuramente si può affermare che vi sono degli elementi tipici della sua personalità sui quali s’imbastiscono altri elementi che provengono dall’esterno e dalla cultura europea del tempo. Proprio del suo modo di essere è  l’attivismo, il gusto della raffinatezza  e del bello, gusto che esplica sia nella vita che nell’arte. Egli ama tutte le cose inutili e belle per le quali ha “una passione inutile e ruinosa”. Questo estetismo è accompagnato da un estremo sensualismo e per tale sua natura è portato a disgregare gli elementi della realtà per entrarvi dentro con voluttà sensuale. È come se voglia far percepire tutte le sensazioni e le emozioni che gli sono suggerite dalla realtà, però difficilmente ci riesce, in quanto nella volontà di far comprendere tutto al lettore con godimento sensuale, rompe  quella stessa realtà oggetto della sua attenzione letteraria, frantumandola nei suoi elementi. Questo godimento sensuale e voluttuoso che vive nell’atomizzare la materia artistica, aumenta quando lui stesso è coinvolto: nasce la sensazione panica,  quale conseguenza della sensualità nella sua percezione del reale.

La penetrazione dell’io nell’essere  delle  cose e della realtà nell’io fa sì che le cose diventino simboli dei nostri sentimenti e l’artista  riesce a cogliere le relazioni tra le cose e tra esse e l’io. Ma nel momento in cui viene meno  la volontà di godimento sensuale, lo spingersi dentro il reale non è più disgregazione dello stesso, ma conoscenza ontologica che si esplica anche grazie alla sua notevole capacità espressiva.

Il linguaggio di D’Annunzio è infatti pregnante, aristocratico, eletto, elegante e “ se il bello si esprime per mezzo della parola , allora la parola è tutto” ( Il Piacere)

 

Written by Francesca Luzzio

 


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