Era il 2008.
Nasce questo mio blog, per creare qualcosa di reale, non sparso tra file e documenti di qua e di là.
Un mio pc obsoleto racchiude tutto, ancora in dos. Tra vent'anni lo riaprirò.
Era il 2008, anno delle Olimpiadi e io pubblicavo questo racconto...
In bocca al lupo a tutti gli atleti di tutto il
mondo!
Le mie Olimpiadi,come le vorrei...
Una nuova Olimpiade
(un nuovo viaggio o come superare gli stati alterati di coscienza)
Michele ogni sera si allenava. Certo che era stanco. Dopo otto ore in ufficio si sentiva le ossa rotte, si sentiva vecchio nonostante avesse solo 31 anni. Però era anche felice.
Rappresentare il suo Paese, proprio lui? Era stato bellissimo ricevere la notizia. Erano arrivati nell’ufficio dell’azienda dove lavorava di mattina presto: due uomini e due donne, elegantissimi nel loro vestito blu con lo stemma del Comitato per le Olimpiadi. Si erano presentati al suo capoufficio e, dopo un breve colloquio, li aveva visti dirigersi verso la propria scrivania, che divideva con Stefano, compagno di lavoro. Si erano scambiati uno sguardo interrogativo, ma non avevano fatto in tempo ad aprire bocca che questi si erano avvicinati e una delle due donne si era posta dinnanzi a lui parlandogli in modo solenne: -È lei il Sig. Michele Frantorio?
Michele aveva annuito silenziosamente con un cenno del capo.
- Siamo i rappresentanti del Comitato Olimpico. Lei è stato selezionato ufficialmente come l’atleta che parteciperà alla gara dei 100 m. maschili, rappresentando l’Italia. Domani ci sarà la nomina ufficiale davanti al Presidente della Repubblica. Lei accetta?
Non ci credeva, non era possibile, proprio lui? Da quanto tempo non indossava le scarpe da ginnastica? Dai tempi del Liceo, pensava. Ma, ora, era lui a trovarsi davanti alla bellissima donna che le porgeva il papiro con la nomina e l’elenco, contenente i nomi di tutti i partecipanti alla selezioni, ossia tutti i maschi italiani dai 18 ai 31 anni. E lui c’era entrato per un pelo! Era l’ultimo anno che avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi. Il sorriso gli salì alle labbra e da esse uscì un flebile sì, chinando il capo e sognandosi sul podio con la medaglia d’oro sul petto e lo stadio osannante il suo nome.
L’applauso di tutti i compagni di lavoro del suo ufficio lo riportarono alla realtà. Si erano alzati in piedi e gli tributavano onore, chi battendogli la mano sulle spalle, chi gridando il suo nome, chi dicendo: “Grazie per aver accettato, sei grande! Ora, sei tutti noi”.
***
Barbara, invece, si vide consegnare la notizia mentre stava preparando la colazione per i due figli. Ogni mattina alzarsi era uno strazio. Metteva la sveglia un quarto d’ora prima delle 7.00 e se ne stava nel letto, tra le coperte, a gustare gli ultimi, e ormai unici momenti di riposo assoluto della giornata. Pensava a qualcosa di bello e se lo ripassava nella mente per appropriarsene completamente. Sentiva le ossa che già le dolevano e il mal di schiena che, neanche dopo una notte di sonno, le dava tregua. L’ora dell’alzata mattutina l’avrebbe ben volentieri cancellata dall’arco dell’intera giornata. Poi, allo scoccare dell’ultimo minuto, con rassegnazione, prima che suonasse, spegneva la sveglia e con un colpo di reni si dava la spinta e si alzava cercando di trovare in sé tutta l’energia per affrontare la forza vitale dei suoi bambini.
Anche quella mattina avrebbero fatto i capricci. Niente latte, si era dimenticata di comperare il cacao il giorno prima e i suoi bimbi lo bevevano solo al gusto di cioccolata, la giornata già iniziava male. Cominciò a gridare: - Alzateviiiiiii!!! Con un gesto deciso rovesciò le coperte e sbucarono due teste bionde. – Mamma!, lasciaci dormire un altro po’!
Si fermò a guardare le faccine offuscate dal sonno. Com’erano belli! Un concentrato di vita, la mia vita, pensò Barbara. E ripensò a quando era lei a voler trastullarsi nel letto e suo madre arrivava con aria falsamente cattiva. Sorrise. Era bello non dimenticarsi di sé. Il campanello alla sua porta in quel momento suonò. Chi mai poteva essere a quell’ora? I due bambini si alzarono in allarme. Con un gesto li zittì e, quatta quatta, s’avvicinò alla porta del minuscolo appartamento in cui abitava. Dallo spioncino vide quattro strani individui, la presenza delle donne la rassicurò.
– Chi è?
Domandò con una voce rauca, che le era uscita dalla bocca in un misto di paura e di curiosità.
- Siamo i rappresentanti del Comitato Olimpico. Lei è la Sig.ra Barbara Fossa?
- Certo, sono io.
Aveva letto i giornali. Era probabile. Il Comitato Olimpico quel giorno avrebbe dovuto presentare agli atleti, selezionati nell’intero Paese, le nomine ufficiali.
Aprì la porta, se lo sentiva nel cuore che poteva succedere, era vero.
Il Comitato rimase impassibile dinanzi alla giovane donna nella smilza camicia da notte rosa confetto, da cui spuntavano due chilometriche gambe da gatta. La donna che le consegnò il papiro pensò che la sorte talvolta poteva essere proprio strana, e qualche volta il destino funzionava meglio di uno scopritore di talenti. La donna ripeté con aria da cerimoniale:
- È lei la sig.ra Barbara Fossa?
- Sì, sono io.
I bambini erano scesi dal letto e ora se ne stavano come guardie a fianco della madre, con negli occhi un po’ di batticuore, perché avevano capito il momento solenne.
- Siamo i rappresentanti del Comitato Olimpico. Lei è stata selezionata ufficialmente come l’atleta che parteciperà alle Olimpiadi nella gara di salto in alto femminile, quale rappresentante dell’Italia. Domani ci sarà la nomina ufficiale davanti al Presidente della Repubblica. Lei accetta?
Dicendo questo, le consegnava il papiro contenente tutti i nomi dei partecipanti alla selezione, tutte le donne italiane dai 18 ai 31 anni.
- Sììììììììì. Gridò Barbara.
- Mamma!
Barbara abbracciò i suoi figli, piangendo e gridando “sì” per la gioia e si accasciò ai piedi del comitato. Aveva 25 anni e la voglia di volare. Sentì il sangue fluire sulle gambe, tutta quella forza le era stata data per questo; aveva sempre saputo, come in una preveggenza, che lei non era nata solo per fare la casalinga, ma per volare tra le pagine della storia. Avrebbe dimostrato al mondo quello che può fare una mamma, una donna, e ogni sua fibra gemeva vibrando di un suono che come melodia riempiva l’aria d’intorno.
***
Mario entrò nell’aula. L’aula era stracolma. Era da un pezzo che non sopportava l’aria viziata. Le stanzone vecchie dell’università ormai da tempo avevano cominciato a dare i primi segnali di decadimento. Maledetti tagli! Avrebbe volentieri tagliato lo stipendio al ministro, altroché. Appoggiò il borsone con gli appunti sul tavolo. Subito, una ragazzina carina dai capelli rossi gli si era avvicinata chiedendo delle puntualizzazioni sulla lezione precedente. Si arrabbiò tantissimo. Odiava i codardi. Impugnò il microfono.
- Ragazzi, non venite qua per niente a chiedere stupidate.
La ragazza dai capelli rossi acquistò un bel colorito rossastro anche nel viso.
Il Professore la guardava.
- Se qualcuno ha bisogno di chiarimenti faccia pure le domande durante la lezione, ed io cercherò di rispondere nel modo più esaustivo possibile. Dovete imparare a fare le domande davanti a tutti, perché solo in questa maniera possiamo confrontarci e scambiare critiche e arricchirci a vicenda.
Mario sapeva che erano discorsi inutili. I ragazzi innumerevoli rimanevano per due ore sempre zitti e lui poteva sparare anche cazzate che loro non avrebbero osato fiatare. Sorrideva, pensando a come la ramanzina appena fatta sortisse paradossalmente ancora più silenzio e timore reverenziale. Certe volte arrivava a dubitare della sua stessa presenza. Si metteva seduto dietro il PC: ormai utilizzava power point per fare lezione. Lo schermo gigante ipnotizzava lo sguardo e lui cliccava piacevolmente , clic clic clic.
Fu durante un clic, che entrarono o, perlomeno, cercarono di entrare, scavalcando gli studenti seduti per terra, i quattro elegantissimi membri del Comitato.
Mario li guardò con aria interrogativa.
La donna cominciò.
- È lei il sig. Mario Malfatto?
- Sì, certo, ma ora sto facendo lezione, abbia la cortesia di aspettarmi fuori dell’aula.
La donna continuò senza alcun imbarazzo e timore.
- Siamo i rappresentanti del Comitato Olimpico. Lei è stato selezionato ufficialmente come l’atleta che parteciperà alle Olimpiadi nella gara di salto in lungo maschile, quale rappresentante dell’Italia. Lei accetta?
E così dicendo consegnò al Professore, incredulo, il papiro contenente tutti i nomi dei partecipanti alla selezione, con il suo nome segnato in rosso.
Il Professore guardò i ragazzi ammutoliti che lo fissavano in silenzio, come nell’attesa della liberazione di qualcosa. Tutti questi anni di studio, pensò Mario. Sarebbe diventato famoso, semplicemente per un misero salto. La gamba gli doleva, peraltro, e sicuramente non avrebbe fatto bella figura. Lui già rappresentava l’Italia, che diamine!, era conosciuto in tutti gli ambienti accademici, non aveva bisogno di null’altro. Prese il papiro, slegò il fiocco del nastro rosso, e accanto al suo nome sottolineato vide due piccoli spazi, su cui spiccavano in stampatello verde ACCETTA - RIFIUTA. Lui fece una croce su RIFIUTA e appose la sua firma accanto. Riconsegnò il papiro slegato alla donna, non prima di aver sbirciato il nome che seguiva il suo, un certo Modesto, Modesto Malfatto seguiva il suo nome e avrebbe preso il suo posto.
Si sentì generoso. Guardò l’aula. Il gruppetto del Comitato se n’andò, a lui sembrava mestamente, e, piano, ad uno ad uno, come spinti da un silenzio troppo grande da sopportare, uscirono tutti i ragazzi, senza dire una parola, ma con negli occhi un dolore indicibile. Mario rimase solo nell’aula.
Cliccò l’invio.
I quattro membri del comitato uscirono dall’aula, impassibili, e s’avviarono verso l’elegante macchina nera d’ordinanza che li stava aspettando davanti al vecchio portone del palazzo, sede della facoltà di Scienze della Formazione dell’Università. I quattro furono inghiottiti, come in un buco nero.
***
Modesto s’era alzato presto quella mattina, come il solito d’altra parte. Da due giorni si dava da fare nell’impresa edile dove suo padre lavorava da quasi 20 anni. Lui già, attraverso il padre, odiava quel lavoro e si domandava per quale motivo avesse accettato. Il ragazzotto si guardò le mani, che cominciavano a tagliarsi per via della calce. Veronica, la sua ragazza, avrebbe avvertito sicuramente la loro ruvidezza sulla pelle delicata che sognava di accarezzare.
Quel giorno era accaduto un altro infortunio. Un ragazzo, senza imbragatura, nè elmetto e guanti di protezione era caduto dall’impalcatura. Anche quel ragazzo era in prova, nonostante fossero ormai passati sei mesi. Si arrabbiava per questo mondo ingiusto, ma non riusciva a trovare soluzioni. Non poteva ribellarsi, era come una bestia ferita in gabbia. Un solo lamento e sarebbe stata uccisa.
Grrrrrr, grrrrrrr, i denti facevano male. Un giorno o l’altro avrebbe azzannato qualcuno.
Addentò il panino. All’ora di pranzo gli operai se ne stavano al sole, tra i calcinacci, a gustare la tranquillità della giornata e guardavano in silenzio i buchi, le buche, la sabbia, i rimorchi, le ruspe, la malta molle, i tubi che come opere d’arte incompiute se ne stavano immobili a reclamare il loro abbandono.
Tra la polvere, che sembrava la nebbia di un palco di cantanti rock, emerse il gruppetto del Comitato Olimpico. Sembrava che già lo conoscessero perché si diressero senza esitazioni verso Modesto.
Iniziò a parlare la donna:
- È lei il Sig. Modesto Malfatto?
- Sì.
Rispose Modesto col panino a mezz’aria.
- Siamo i rappresentanti del Comitato Olimpico. Lei è stato selezionato ufficialmente come l’atleta che parteciperà alle Olimpiadi nella gara di salto in lungo maschile, quale rappresentante dell’Italia. Domani ci sarà la nomina davanti al Presidente della Repubblica. Lei accetta?
Modesto si guardò in giro con la bocca piena e la testa che gli girava, forse il sole, troppo sole, pensò. Poi guardò la donna, lo stemma del comitato sulla sua giacca, quello stemma che innumerevoli volte aveva visto nella gazzetta sportiva che prendeva giornalmente. A lui piaceva tanto lo sport! Faceva parte anche della squadra del suo paese, poca roba, ma gli consentiva di tenersi in forma senza bighellonare per palestre frequentate dai soliti “palloni gonfiati”, gente molle di testa e di muscoli.
Guardò i suoi compagni. Che diamine! Quanto ci metteva a rispondere? Guardò la sabbia vicino all’impalcatura ancora sporca di sangue, rossa come il nastro che legava il papiro. Avrebbe dimostrato la potenza delle sue gambe, la freschezza giovane del suo cervello, come una belva in gabbia avrebbe spiccato un balzo...
- Grrrrr, ssssiiiiiiiiii. E mostrò la grinta dei suoi fieri occhi verdi.
- Evviva!
Gridarono in coro gli operai intorno. Lo issarono sulle loro mani forti e cominciarono a portare il corpo del giovane in giro per il cantiere, sollevandolo in aria ad ogni evviva.
***
Quando il Comitato terminò era quasi notte inoltrata. La luna illuminava tutto intorno d’argento. I quattro vestiti di blu si fermarono: ormai avevano consegnato le nomine a tutti gli atleti delle 23 discipline olimpiche. Il giorno successivo tutti insieme gli atleti sarebbero stati accolti al Quirinale, per la cerimonia solenne di nomina ufficiale come atleti selezionati per le prossime Olimpiadi. I quattro si abbracciarono e piansero. Le lacrime scendevano silenziose e i sospiri e i singhiozzi facevano sussultare i petti. Sapevano che quello era stato un gran giorno, destinato ad essere ricordato negli annali olimpici. Non avrebbero mai pensato che un giorno simile sarebbe mai arrivato dopo tutto quello che era successo.
***
Tutto era accaduto così due anni prima, all’improvviso, almeno sembrava. In realtà, da un po’ di tempo succedevano cose strane. All’inizio nessuno ci aveva fatto caso. Le morti sembravano naturali: c’era chi moriva nel proprio letto, chi nel divano, chi in cucina. E ognuno ci restava secco in maniera differente. Non c’era niente di anormale. Niente di anomalo. Tutto scorreva tranquillo come l’acqua dai rubinetti. Ma arrivarono le Olimpiadi e la cosa acquistò un significato nuovo quando, proprio durante le gare, gli atleti cominciarono a scoppiare come palloncini in acqua; i muscoli guizzanti si gonfiavano inaspettatamente per poi risucchiarsi e l’atleta sembrava come dovesse implodere e, difatti, all’improvviso, durante la gara di nuoto, l’atleta si fermava, strabuzzava gli occhi e scivolava lentamente sott’acqua, come se qualcuno gli avesse risucchiato la vita. Nella gara di salto in alto, il saltatore prendeva lo slancio, il passo, un due tre, e quando nel piegarsi faceva quel movimento secco e dolce del ruotarsi e piegarsi, tipico della fosbury, ecco che si sentiva un rumore strano come di ossa rotte, e il tipo se ne ricadeva nel materassino piegato in una posizione innaturale, con la schiena come spezzata in due e le gambe e le braccia flosce come quelle di un manichino vecchio. Tutto però sembrò davvero innaturale quando ben cinque giocatori di calcio, di due squadre diverse, nella stessa partita, crollarono a terra quasi improvvisamente. In un primo momento era sembrata una rissa: l’arbitro aveva fischiato un fallo, per simulazione. In effetti, il giocatore era caduto da solo, non era stato nemmeno sfiorato. Ma il giocatore da terra non si voleva rialzare. Tutti gli furono intorno appena in tempo per vedere gli occhi del giocatore roteare in maniera un po’ strana, troppo veloce, e la lingua venire fuori con uno scatto dalla bocca. Al che, tutti indietreggiarono per lasciare spazio al medico che correva in soccorso. Ci fu un gran da fare perché anche altri quattro giocatori caddero contemporaneamente e anche a loro successe la stessa cosa strana, strabuzzamento di occhi, roteazione e scatto in avanti della lingua. Intanto dagli spalti veniva giù di tutto, bottigliette, scarpe, qualche motorino e la polizia ebbe un bel da fare per contenere lo stadio e far defluire il pubblico fuori dagli spalti senza che ci fossero incidenti. Naturalmente, il pubblico dello stadio, seppur si trattava di calcio olimpico, non è lo stesso che va a vedere le gare di nuoto. Il dispiegamento delle forze di polizia durante le partite di calcio, anche a livello nazionale, era una spesa continua e ormai incessante, che nessun paese riusciva più a sostenere, né per il numero delle vittime né per le risorse economiche, denaro pubblico, speso iniquamente. Il pubblico anche in quell’occasione si arrabbiò tantissimo, chi andava alla partita di calcio in effetti andava incazzato ancor prima che iniziasse. Da un po’ di tempo ormai si parlava della guerra come una partita di calcio e non viceversa.
Il Comitato Olimpico si riunì quella sera stessa.
Dov’era andato a finire il benedetto spirito olimpico? Gli atleti avevano abusato delle sostanze che alteravano le loro prestazioni facendosi ingannare nel nome degli sponsor, della pubblicità, dei soldi. Avevano venduto come prostituti i loro corpi e le loro anime. Non c’era nessun eroismo nei loro gesti atletici ma solo l’ingordigia della presunzione di voler tutto e subito, con violenza contro se stessi e contro gli altri, ingannando meschinamente solo i bambini ormai, gli unici che credevano ancora alle prodezze da supereroi. I tre membri del CIO, del Comitato Olimpico Internazionale, avevano convocato la riunione per quella sera. Era arrivato il momento giusto per presentare il loro progetto al Comitato Nazionale, quel progetto che sarebbe partito a livello internazionale per rilanciare una nuova mondiale idea sportiva.
Cominciò la donna:
- Colleghi, siamo qui riuniti in un momento di grande tristezza per noi che amiamo lo sport, per noi che lo percepiamo come lo spirito che c’innalza verso le vette proibite della conoscenza e dell’amicizia tra tutti gli uomini, la cui trasparenza e bellezza si rivela nella potenza del gesto sportivo, unica sintesi tra pensiero e atto, volontà e passione, generosità e individualità, solidarietà e vitalità.
Fece una pausa, come cercando di raccogliere le energie. Si guardarono negli occhi e poi lei continuò.
- Oggi abbiamo visto come lo stesso gesto sportivo sia invece degenerato in razzismo e violenzae ladimensione economica dello sport abbia alienato la dimensione popolare, sociale, educativa e culturale, dimenticando come questo sia parte integrante dei nostri principi. Dobbiamo farci forza e pensare al futuro, considerando questi fatti come monito affinché non accada mai più, pena la scomparsa nostra, come comitato e come uomini innanzitutto.
Nella sala, attorno al grande tavolo, cadde il silenzio più assoluto e nessuno osava prendere la parola, perché tutto quello che lei diceva era assolutamente vero.
Così mestamente continuò.
- Lo sapete anche voi che uno dei nostri compiti è quello di prevenire affinché gli atleti non facciano uso di sostanze che alterano la loro prestazione. Nonostante il Ministero della Salute abbia disciplinato la tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping e abbia avuto la brillante idea che nel foglio illustrativo dei medicinali venga riportata, tra le “Avvertenze speciali”, la frase: “Per chi svolge attività sportiva: l’uso del farmaco senza necessità terapeutica costituisce doping: può determinare effetti dopanti e causare anche per dosi terapeutiche positività ai test anti-doping”, gli atleti, in maniera sconsiderevole e irresponsabile ne hanno lo stesso approfittato.
- Che abbiano bisogno di un paio d’occhiali? Forse dobbiamo intensificare le visite oculistiche...
Provò a spezzare il ghiaccio con questa battuta, uno dei presenti. Ma l’occhiataccia che ricevette da tutti gli altri non gli fece terminare la frase e abbassò con vergogna gli occhi.
La donna riprese a parlare.
- Parlo a nome del CIO. Abbiamo elaborato un progetto che ora vi presenterò nei punti salienti. Ci sarà la votazione finale sul progetto. Se il progetto verrà accettato a maggioranza, da questa sera stessa, la squadra nazionale olimpica verrà sciolta e dalle prossime olimpiadi tutto si svolgerà secondo il programma prestabilito. Se il progetto non viene accettato, e spero che ciò non accada, l’Italia non potrà partecipare con nessun atleta alle prossime Olimpiadi. Naturalmente in questo stesso momento a diverse latitudini, dalla Francia all’Argentina, dall’Africa alla Russia, dall’Inghilterra all’America, in tutti i paesi del mondo, i membri del CIO stanno presentando lo stesso progetto ai vari comitati olimpici nazionali.
Ci fu la votazione.
L’Italia entrò a far parte del nuovo programma olimpico.
***
Quattro anni dopo, la sera della finale di salto in alto fu la più entusiasmante.
Barbara era rimasta in gara con altre sette concorrenti. Lo stadio olimpico era illuminato a giorno, ricoperto da cristalli che nascondevano il cielo, riflettendo la luce delle stelle della notte. Era stracolmo di bambini, di gente di tutti i paesi del mondo. Ogni concorrente non era un atleta professionista. Si trattava di gente comune che veniva scelta casualmente mediante una selezione effettuata da un elaboratore elettronico all’interno della popolazione di ogni paese, naturalmente rispettando la fascia d’età compresa tra i 18 e i 31 anni. Ora, in tutti i paesi del mondo, nelle scuole si faceva sport, non come materia ma come momento di vita insieme, per scoprire qualcosa che in ogni uomo e donna si esprime come desiderio di superare se stesso, in una lotta con la divinità. Ognuno sapeva che poteva succedere di essere scelto e tutti non volevano deludere i propri compagni e il proprio paese. E poi, per due anni, chi accettava la nomina casuale, si allenava. Si intrecciavano così storie diverse, il gruppo degli atleti si riuniva spesso per gli allenamenti, e nascevano amicizie, incontri, anche amori, ma soprattutto nasceva uno spirito di fratellanza. Non si parlava di record, ma della capacità che ognuno aveva di esprimere qualcosa di sé che senza questa esperienza non avrebbe mai conosciuto.
Anche Barbara, la donna dalle gambe di gatta, scoprì la sua forza e quel colpo di reni che la mattina l’aiutava ad alzarsi, ora lo sfruttava per andare oltre il limite dell’asticella. L’ultimo salto il suo, quello che sarebbe stato per la vittoria, per la medaglia d’oro.
Quando saltò, i cristalli appesi tintinnarono al boato del pubblico che in piedi la salutò e la melodia si disperse nel vento, lasciando le sue tracce trasparenti nel cuore del mondo.
P.S. le foto sono tratte dal web e non hanno alcuna attinenza con il racconto, opera di mia fantasia.