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Le mie recensioni: "tutto molto bello", anzi... tutto molto brutto

Creato il 26 ottobre 2014 da Carloca

Vedere arrivare nelle sale una pellicola come "Tutto molto bello", di e con Paolo Ruffini, mette addosso una tristezza indicibile, quasi un senso di rabbia. Con un'unica consolazione: il cinema italiano contemporaneo non è questo, no davvero. E però, dopo la visione di un simile capolavoro al contrario, una serie di domande non possono non affollarsi nella mente. Eccone alcune: quale capacità di autocritica possiede chi, una volta ultimata la lavorazione di un siffatto prodotto, non si rende conto che c'è qualcosina che non va (eufemismo), e che forse sarebbe meglio ragionarci ancora un attimo prima di metterlo in circolazione? Il riferimento non è solo agli ideatori, ma va esteso anche a chi dovrebbe vigilare sulla qualità delle opere filmiche. Ancora: cosa può aver spinto un'attrice vera, talentuosa e in forte ascesa come la deliziosa Chiara Francini a gettarsi in un'avventura simile, che non fa certo curriculum e che, anzi, lo appesantisce in termini negativi? E infine non un interrogativo, ma una constatazione: il cinema è un'arte di altissima nobiltà, le cui porte dovrebbero essere sbarrate a chi non sa recitare e ai comici che non fanno ridere. Qui non si tratta di discutere di registri alti e di registri bassi: le commediole ultraleggere, se vogliamo con un tocco di trash (che non è un termine necessariamente negativo), esistono fin dalla notte dei tempi. Solo che bisogna saperle costruire, mentre "Tutto molto bello" fallisce miseramente l'obiettivo. Inevitabile, quando ci si affida a un cast di modestissimo spessore: sul fatto che Frank Matano, uno dei falsi miti creati artificiosamente dai media dell'era digitale, sia un attore di buon livello, sono leciti dubbi in quantità; altrettanti, se non di più, sullo spessore comico di Gianluca Fubelli e Angelo Pintus: personaggi simbolo di Colorado, del resto, ossia  di uno show tv che dovrebbe suscitare ilarità ma che nove volte su dieci non riesce nell'intento, simbolo del decadimento del cabaret nostrano. Un trio irritante, nel modo di recitare come in quello di porgere le mediocri battute affidate loro dal copione. La storia, in sé, non sarebbe neppure banale: un impeccabile impiegato (Ruffini) alle prese con la prospettiva, inattesa, di diventare papà, poche ore prima del lieto evento si trova suo malgrado paracadutato, a causa del Matano casualmente incrociato in ospedale, in una serie di disavventure grottesche, ai confini dell'inverosimile.
Il tutto è però concepito e realizzato male. Si ride a denti stretti o non si ride affatto, la mancanza di talento di protagonisti e comparse emerge via via in tutta la sua enormità. C'è un imbarazzante cameo di Pupo che, per l'ennesima volta, fa autocritica in chiave ironica sul suo vizietto del gioco (sai che fantasia), c'è un Paolo Calabresi che attinge al peggior repertorio della coattitudine romanesca, macchietta standard già vista e rivista e che in questo film c'entrava come i cavoli a merenda. Se a salvare la baracca deve provvedere Nina Senicar, showgirl di grana buona ma attrice ancora tutta da verificare, siamo messi davvero male. Ed è allarme rosso sulla carenza di caratteristi all'altezza della situazione: una volta c'era Bombolo, oggi un tal Lallo Circosta, al quale è stato riservato uno spazio inspiegabilmente ampio. Assolutamente fuori luogo, al punto di sfiorare l'insopportabile, il finale melenso, sdolcinato, addirittura con una spolverata di drammaticità: con personaggi come Matano e Fubelli, pensare di virare verso il "serio", o peggio il serioso, è un'idea destinata al naufragio, che dimostra vieppiù l'immaturità cinematografica di Ruffini e del suo staff.
Inutile spendere ulteriori righe su di un'opera che di considerazione ne merita ben poca, e che finirà nell'oblìo in breve tempo. Ce lo auguriamo, e non è un paradosso, soprattutto per il protagonista, perché un film del genere rappresenta uno di quei passi falsi che rischiano di compromettere una carriera. Ruffini ha forse bruciato troppo in fretta le tappe: un minimo di riflessione e, soprattutto, un ritorno agli studi non gli faranno male. Con una preparazione settoriale più corposa, magari, la prossima volta si terrà alla larga dai Matano e dai Fubelli di turno, che stanno al cinema come il sottoscritto sta all'archeologia. 

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