L'incontro avvenuto a maggio 1974, cui erano presenti Gaetano Cinà, Marcello Dell'Utri, Stefano Bontade, Mimmo Teresi e Silvio Berlusconi, ha «siglato il patto di protezione» dell'ex premier.
Lo si legge nella sentenza che ha condannato Dell'Utri a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Dell'Utri è stato condannato in appello lo scorso 24 marzo, dopo l'annullamento della Cassazione con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo. Dopo la condanna il pg Luigi Patronaggio aveva chiesto l'arresto per Dell'Utri per «pericolo di fuga», negato dai giudici. «L'incontro - è scritto ancora nelle motivazioni - ha costituito la genesi del rapporto che ha legato l'imprenditore e la mafia con la mediazione di Dell'Utri».
La condotta illecita del senatore, per la terza sezione della corte d'appello di Palermo, è «andata avanti nell'arco di un ventennio», con una serie di comportamenti «tutt'altro che episodici, oltre che estremamente gravi e profondamente lesivi di interessi di rilevanza costituzionale». L'imputato, dicono i giudici nelle motivazioni della sentenza, «ha ritenuto di agire in sinergia con l'associazione».
«In virtù di tale patto - proseguono i giudici - i contraenti (Cosa nostra da una parte e Silvio Berlusconi dall'altra) e il mediatore contrattuale (Marcello Dell'Utri), hanno conseguito un risultato concreto e tangibile costituito dalla garanzia della protezione personale all'imprenditore tramite l'esborso di somme di denaro che quest'ultimo ha versato a Cosa nostra tramite Dell'Utri, che mediando i termini dell'accordo, ha consentito che l'associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere».
L'incontro dunque «segna l'inizio del patto che legherà Berlusconi, Dell'Utri e Cosa nostra fino al 1992 - aggiungono i giudici nelle 477 pagine della sentenza - È da questo incontro che l'imprenditore milanese, abbandonando qualsiasi proposito (da cui non è parso ma sfiorato) di farsi proteggere da rimedi istituzionali, è rientrato sotto l'ombrello di protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore e non sottraendosi ma all'obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione».
Per la Corte d'appello di Palermo, non ci sarebbe alcun «buco» tra il 1978 e il 1982 nelle frequentazioni con personaggi di Cosa nostra e nei pagamenti di Berlusconi alla mafia per la protezione. In quel periodo, infatti, l'ex senatore, dopo aver lasciato l'incarico di segretario personale di Berlusconi, era andato a lavorare dall'imprenditore Filippo Rapisarda, a capo di uno dei maggiori gruppi immobiliari italiani.
Per la corte, «non sussiste dubbio alcuno sulla prosecuzione dei pagamenti da parte di Berlusconi a Cosa nostra sulla base dell'accordo siglato nel 1974». «Berlusconi - aggiungono i giudici - ha sempre accordato una personale preferenza al pagamento di somme come metodo di risoluzione preventiva dei problemi posti dalla criminalità». Dell'Utri in questo contesto, non avrebbe mai smesso «di controllare che il rapporto sinallagmatico venisse rispettato, pronto a intervenire per tutelare le ragioni di Berlusconi che in un certo periodo si sentiva 'tartassatò o per mediare, in seguito, le pretese di Riina che aveva imposto il raddoppio della somma».
Scrivono ancora i giudici nelle motivazioni della sentenza: «Pur essendoci stato un netto cambiamento nella vita lavorativa di Del'Utri nel 1978, quest'ultimo non aveva in alcun modo deciso di mutare il suo rapporto con gli esponenti mafiosi con cui aveva concluso il patto (per la protezione di Berlusconi, ndr). L'imputato ha tenuto nei confronti degli stessi soggetti la medesima cordialità autentica senza dare alcun segnale concreto e serio di un voluto e deciso distacco».
Per i giudici è una prova che Dell'Utri si presentò da Rapisarda con Gaetano Cinà. «Rapisarda ha riferito -
prosegue la corte - di aver assunto Dell'Utri su richiesta di Cinà, che aveva conosciuto assieme a Bontade e Teresi e che non si era sentito di negargli il favore». Sempre l'imprenditore immobiliare ha riferito, ricordano i giudici, di aver sentito nei primi mesi del 1980, in un incontro a Parigi con i mafiosi Stefano Bontade e Mimmo Teresi, «Dell'Utri chiedere a due boss 20 miliardi di lire per l'acquisto di film per Canale 5».