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LE NUOVE FORME DI UN’ANTICA DEA – di Giovanna Gentilini

Da Met Sambiase @metsambiase

LE NUOVE FORME DI UN’ANTICA DEA

Omaggio al culto della Dea nelle opere di Maria Lai e Niki se Sainte Phalle

di Giovanna Gentilini

(c) Giovanna Gentilini

(c) Giovanna Gentilini

Il culto della Dea, che Marija Gimbutas ha largamente contribuito a scoprire e a far conoscere attraverso i suoi studi e i ritrovamenti archeologici in Europa ed Asia, ci parla di un principio femminile che ha dato origine all’universo tutto, un divino che non è trascendente ma immanente in tutti gli esseri che ha creato, le piante, gli animali, gli esseri umani, l’acqua, l’aria; la terra stessa, simboleggiata nelle statuette steatopigie dal ventre gravido, è definita la madre di tutti i viventi che ad essa ritornano dopo la morte. Un principio generante di cui il corpo femminile è testimone e custode. Hannah Arendt, una delle più grandi filosofe del nostro tempo, mette chiaramente in connessione la storia del pensiero occidentale, sia nella metafisica che nella politica,con la categoria di morte che definisce gli esseri umani per la loro condizione di finitezza, di contingenza e per l’angoscia della sparizione, e propone, come alternativa, un pensiero della nascita e del dare la vita. Il profondo legame con il principio generante della natura, che dà la vita e se ne prende cura, è presente nelle opere di Maria Lai e di Niki de Sainte Phalle . Come pure la convinzione che, in una società fondata su un ordine maschile che pone al centro il principio di morte, l’arte può scuotere le coscienze e promuovere un radicale cambiamento verso una civiltà pacifica e non violenta, che ponga al centro il principio fondativo della nascita.

Maria Lai, nata a Ulassai in Sardegna nel 1919, è venuta a mancare nella primavera del 2013 ed è una delle più grandi artiste italiane del 900. Il lavoro di cui vi parlo, dal titolo “ Legarsi alla montagna”, è emblematico di tutta la sua attività artistica . Come pure rappresentativo della poetica artistica di  Niki de Sainte Phalle, nata in Francia nel 1930 e morta negli Stati Uniti nel 2002, è l’installazione dal titolo “lei” “ Hon” in svedese. “Bunkers” è il titolo di una mia Land Art che entrò a far parte di un’altra opera, un libro d’artista “ Il luogo della sapienza” che mi aprì le porte della Biennale d’Arte di Venezia del 1995 ; un viaggio simbolico nel corpo della donna alla scoperta del codice della vita che si snoda in dieci soste come dieci sono le lunazioni che occorrono per procreare. Tutte è tre le opere nascono dal rifiuto di una società il cui ordine sia fondato sulla violenza e sulla guerra. Quando Maria Lai realizzò l’opera “Legarsi alla montagna” aveva avuto la richiesta da parte della Giunta del comune di Ulassai di progettare un monumento ai Caduti. Critica verso un monumento che celebrasse coloro che erano morti combattendo, lei che rifuggiva la guerra, fece un’altra proposta: legare con un nastro azzurro le case del paese l’una all’altra, porta a porta, balcone a balcone e poi, da ultimo, fare salire i nastri in cima alla montagna per legarla al paese tutto. Simbolicamente dare materializzazione attraverso i nodi a un nuovo patto di dialogo, rispetto, solidarietà tra tutti gli abitanti e tra gli abitanti e la montagna.

Lo scopo era di rifondare la comunità di Ulassai ch aveva dimenticato il passato comune, ed era diventata muta e sorda, divisa da rancori, affinché gli abitanti ricominciassero a parlarsi e riacquistassero la fiducia reciproca perduta. Il progetto prendeva spunto da un antica leggenda nata dalla fantasia di un poeta sconosciuto o da un pastore che narra di una bambina che , rifugiatasi, in una grotta insieme ai pastori e al gregge durante un temporale, vide passare davanti alla grotta un nastro azzurro. Per la bambina è uno stupore che la trascina fuori dal rifugio, verso la salvezza, mentre frana la grotta con pastori e greggi. La grotta la troviamo in altre opere di Maria Lai, come pure le pietre della montagna e i muri che delimitano la vecchia strada che conduce al Santuario di Santa Barbara.” Il muro mi parla e mi dice che cosa fare” dice Maria Lai che lascia messaggi scritti in forma di libro davanti alle grotte e scrive sulle pietre. Possiamo dire che Maria Lai sentiva che lo spirito vitale che era presente nelle pietre, nella terra della montagna era lo stesso che sentiva dentro di lei? Io credo di sì. La realizzazione dell’operazione di strappo dei nastri, di legatura delle case e infine di legatura della montagna con l’aiuto di rocciatori, coinvolse tutto il paese, donne, bambini, uomini e culminò con una processione, balli e canti, una festa per tutti e segnò l’inizio di una nuovo modo di essere insieme comunità, rompendo l’isolamento in cui ciascuno si era cacciato. Ed è per contribuire a rompere l’isolamento di cui era rimasto vittima il popolo d’Albania dalla fine della seconda guerra mondiale nel 1945 fino al 1990 che, un gruppo di volontari e volontarie emiliane, delle città di Bologna, Modena e Reggio Emilia si recarono nell’estate del 1993 a Quèparò piccolo paese situato sulla costa albanese di fronte a Corfù e mettendo a disposizione lavoro, materiali e competenze costruirono un acquedotto che portò l’acqua nelle case delle famiglie del paese. Mentre i più lavoravano sotto il sole cocente scavando e mettendo in posa i tubi, un altro piccolo gruppo dipinse i bunkers di cui era cosparsa la costa, proprio vicino all’acqua, di un color rosa carne, trasformando costruzioni nate per accogliere uomini e armi con cui uccidere chiunque avesse tentato , dal mare, di avvicinarsi alla costa,o chiunque, dalla terra, prendendo una barca avesse tentato di scappare dall’Albania per raggiungere un altro paese o semplicemente per pescare, in accoglienti seni femminili. Erano le mammelle della Dea che davano il benvenuto allo straniero e che recavano testimonianza che una nuovo ordine sociale era possibile, fondato sull’accoglienza,sul rispetto e l’amore per la vita e non sulla separazione e sulla paura della morte.

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(c) Giovanna Gentilini

(c) Giovanna Gentilini

Un mio progetto nato a Modena, in Italia, con l’aiuto di tanti compagne e compagni che ci avevano creduto , prendeva corpo sulla costa di Albania con l’aiuto e la partecipazione degli abitanti. Un’ altra Dea, intanto,ritornava, dopo quasi cinquant’anni di esilio, sul muro di una parete della chiesa ortodossa del piccolo paese: una Madonna con bambino che dipinsi su richiesta del prete della comunità. Di giorno dipingevo i “ Bunkers”, di notte, alla luce improvvisata di una lampada, la maternità cristiana. Molti sono gli elementi che accomunano l’operazione di Maria Lai e la mia : i luoghi in cui avviene, Ulassai e Quèparò, sono paesi di pastori, le capre si ricoverano nelle grotte e nei bunkers, che da luoghi di morte divengono luoghi di protezione;la terra e l’acqua, simboli della Grande Dea sono presenti: la madre terra, la montagna, non è più minacciosa ma si lega amorosamente alla comunità ; l’acqua, elemento indispensabile alla vita, è donato da un popolo ad un altro popolo, e il mare può trasformarsi da elemento di separazione a luogo di incontro. Ulassai e Quèparò , da paesi emblematici per isolamento, diventano simbolo del mondo e in particolare della storia di oggi, e testimoniano l’attualità di un messaggio all’ Italia e all’Europa affinchè si impegnino a governare il grave problema dell’immigrazione dall’Africa verso le coste europee. E che dire di ”Hon”di Niki de Sainte Phalle? Ques’opera rappresentò una svolta nell’arte dell’artista che aveva iniziato non molto tempo prima con una serie di opere ” Fuoco a volontà” che realizzava sparando a dei sacchetti di colore su una tela bianca. Sparava per distruggere e distruggendo creava un’opera d’arte. Adolescente negli anni della seconda guerra mondiale, era figlia di un pensiero maschile che faceva della guerra uno strumento di potere e di ordine mondiale. Più avanti Niki dice”Sparavo a me stessa, alla società con le sue ingiustizie. Stavo sparando alla mia stessa violenza e alla violenza dei tempi. Sparando alla mia violenza, non dovevo portarmela dentro.” Ma la svolta nel suo pensiero avviene con “ Lei “ “ Hon “ in svedese, un’enorme bambola multicolore progettata per il museo di Stoccolma. Il pubblico era invitato ad entrare nel gigantesco corpo di plastica da un apertura collocata in corrispondenza della vagina. Dentro trovava un bar, un planetario, un auditorium, un cinema e una galleria d’arte; tutto quello di cui un essere umano ha bisogno per vivere , lo trova nel corpo della donna. Ella aveva modernizzato l’archetipo della dea-madre. Niki de Sainte Phalle, così ce ne parla Martina Corgnati in “ Artiste”, edito da Mondadori, contrappone all’idea maschile del potere un’idea femminile della grandezza come condizione fisica, fertile e nutriente, assimilabile alla Venere di Malta o alla Mater Matuta di Capua. Io direi che c’è un chiaro riferimento ai templi di Malta a forma del corpo femminile da cui si entra dalla vagina .”Hon” non è sola: intorno a lei e prima di lei sono cresciute le “Nanas”, bambole realizzate con materiali diversi, il cui corpo, strabordante e obeso, rifugge dai canoni estetici e richiama il corpo dai grossi glutei , dalle generose mammelle e dal vente gravido delle rappresentazioni in terra cotta o pietra della Grande Dea Madre. L’opera di Niki de Sainte Phalle scaturisce da una profonda riflessione sul femminile. Ella ebbe rapporti con gruppi femministi a lei contemporanei quali La spirale, Femmes en lutte, Collectif femmes/art, Art et regard des femmes ,con i quali condivise tante battaglie contro il maschilismo e il razzismo.

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Maria Lai e Niki de Sainte Phalle hanno dato voce a un sogno che è di tante artiste e poete, quello, attraverso l’arte e la parola, di scuotere le coscienze, mobilitare l’intelligenze ed operare un cambiamento per costruire un nuovo modo di stare al mondo, uno spazio comune di relazioni in cui le differenze generino ricchezza culturale condivisa e non emarginazione, paura ed isolamento. Anch’io attraverso le mie opere ho cercato di realizzarlo. Un civiltà sì fatta è esistita in Europa per migliaia di anni, auspico che l’Europa ritrovi le sue vere radici e non sia soltanto una società finanziaria.


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