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Le nuove regole sui mangimi

Creato il 11 gennaio 2011 da Scienziatodelcibo @scienziatodelci

mangimi I casi di diossina negli alimenti non sono pochi e nella quasi totalità dei casi (tranne in quello forse della mozzarella di bufala campana) dipende da mangimi contaminati; insomma, tutto passa da una corretta e trasparente gestione della filiera e dei controlli attuati. Ma prima di andare a vedere come sono gestite le regole sui mangimi e il loro utilizzo, giusto per rinfrescare la memoria, cito alcuni episodi degli ultimi anni:

Alla fine del 2008, l’Irlanda ha richiamato molte tonnellate di carne di maiale e salumi con tassi di diossine fino a 200 volte oltre il limite di sicurezza. La contaminazione è stata individuata in mangimi contaminati.

Nel luglio 2007 la Commissione europea ha pubblicato un allarme per la salute ai suoi Stati membri dopo alti livelli di diossina sono stati individuati in un additivo alimentare – gomma di guar – utilizzato come addensante in piccole quantità nella carne, latticini, dolci o salumi. La fonte è stata rintracciata guar gum dall’India che è stato contaminato con pentaclorofenolo (PCF), un pesticida non più in uso.

Nel 1999, alti livelli di diossina sono stati trovati nel pollame e uova dal Belgio. Successivamente, contaminati dalla diossina alimenti di origine animale (pollame, uova, carne di maiale), sono stati rilevati in diversi altri paesi. La causa era riconducibile a mangimi contaminati con rifiuti contenenti PCB, olio a base industriale illecitamente smaltito.

Nel marzo 1998, livelli elevati di diossine nel latte venduto in Germania sono stati ricondotti a granulati utilizzati come mangimi per animali esportati dal Brasile. L’inchiesta ha portato ad un divieto su tutte le importazioni di polpa di agrumi per l’UE dal Brasile.

Un altro caso di contaminazione da diossina di prodotti alimentari si è verificato negli Stati Uniti d’America nel 1997. Polli, uova, pesci sono stati contaminati da diossina, per via di un ingrediente contaminato utilizzato nella fabbricazione di alimenti per animali.

Grandi quantità di diossine sono state rilasciate in un grave incidente in una fabbrica chimica a Seveso (una trentina di km a Nord di Milano), in Italia, nel 1976. Una nube di sostanze chimiche tossiche, 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina o TCDD, è stato liberato in aria e, infine, contaminata un’area di 15 chilometri quadrati dove 37 mila persone vivevano. Studi approfonditi nella popolazione colpite continuano a determinare gli effetti a lungo termine sulla salute umana. Queste indagini, però, sono ostacolate dalla mancanza di valutazioni di esposizione appropriata. Un aumento di alcuni tipi di cancro e di effetti sulla riproduzione sono stati rilevati e sono in corso ulteriori indagini. Possibili effetti sui figli delle persone esposte sono attualmente allo studio.

Il nuovo Regolamento CE 767

Il dibattito sui mangimi è in effetti stato sempre molto acceso, tanto che la Commissione Europea, dopo un iter di valutazione che durava dal 2004, ha elaborato le nuove regole di commercializzazione ed etichettatura dei mangimi per animali.

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Dal  Dal primo settembre è entrato in applicazione il Regolamento Ce n. 767/2009 sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi. Vediamo allora quali sono i cambiamenti introdotti e quale impatto possono avere sulla sicurezza alimentare. Partiamo da una valutazione fatta da Lea Pallaroni (segretario generale Assalzoo) in un articolo dell’Informatore Zootecnico n.14/2010 apparso su Agricoltura24.

Le novità introdotte dal Regolamento sono sicuramente molteplici; quelle più immediatamente apprezzabili, anche in campo, sono legate alle nuove disposizioni di commercializzazione con particolare riguardo all’etichettatura e alla definizione di un principio per la distinzione tra premiscele e mangimi complementari, quelle più a lungo termine legate all’istituzione di un Catalogo comunitario delle materie prime e all’introduzione della procedura di co-regolamentazione, che coinvolge direttamente le associazioni di categoria europee nella stesura dei Codici di Buona pratica in materia di etichettatura e nella gestione del Registro delle materie prime.
INDICAZIONI OBBLIGATORIE
Il Regolamento prevede una serie di indicazioni obbligatorie (vedi art. 15), utili soprattutto ai fini della tracciabilità del prodotto, valide per tutte le categorie di mangimi, materie prime comprese. Si tratta di indicazioni già utilizzate generalmente nell’etichettatura dei mangimi composti, ma che rappresentano una novità nell’ambito della commercializzazione delle materie prime, che dovranno, ad esempio, essere identificate con un numero di lotto e riportare l’indicazione degli additivi presenti qualora ne contengano.
Importante evidenziare che il regolamento prevede che le materie prime siano assolutamente esenti da impurità chimiche derivanti dal processo di fabbricazione e dai coadiuvanti tecnologici. Unica possibilità di arginare il problema sarebbe introdurre, entro il 2012, dei limiti specifici per ciascuna materia prima in modo che la presenza di coadiuvanti tecnologici utilizzati nel settore alimentare e che generalmente rimangono nei sottoprodotti destinati alla zootecnia, non determini l’impossibilità di utilizzo delle materie prime stesse.
Composizione: per i mangimi composti (vedi art. 17), sotto la dicitura “Composizione” dovranno essere elencate in ordine decrescente di inclusione poderale le materie prime, utilizzando il nome specifico riportato nel Catalogo delle materie prime. Non sarà pertanto più possibile indicare le materie prime utilizzando le categorie, e non vi saranno più etichette in cui al termine delle materie prime, compaiono gli additivi per i quali, non essendo richiesta la dichiarazione quantitativa, si era soliti riportare in coda alle materie prime.
Rimane la facoltà del responsabile delle indicazioni in etichetta di riportare la percentuale di inclusione di ciascuna materia prima, mentre viene introdotta la regola secondo cui, qualora una materia prima venga evidenziata tramite parole, grafici o immagini ad esempio sulla confezione o nel nome del prodotto, è obbligatorio indicare la percentuale esatta di inclusione, regola che è già esistente nel comparto alimentare.
Additivi: inasprimento, invece, delle regole relative alla dichiarazione degli additivi che compariranno sotto la dicitura “Additivi” (vedi allegato VI). Il numero di additivi per i quali sarà obbligatoria l’indicazione in etichetta è superiore rispetto a quanto attualmente previsto dalla norma. Sarà infatti obbligatorio riportare l’indicazione del gruppo funzionale di appartenenza, del nome dell’additivo, del numero di identificazione e della quantità aggiunta per tutti gli additivi che hanno un limite massimo, per gli additivi appartenenti alla categoria degli additivi zootecnici, dei coccidiostatici e dell’urea e suoi derivati.
Anche nell’ambito degli additivi, qualora un additivo sia messo in evidenza (parole, grafici o immagini) si attiva l’obbligo di dichiarare la quantità aggiunta. Rimangono ampie possibilità in termini di etichettatura facoltativa degli additivi.

Componenti analitici: modifiche minori anche per quanto riguarda la dichiarazione dei “Componenti analitici”, per i quali, oltre ad alcune modifiche “stilistiche” (che non comportano alterazione del dato espresso), come ad esempio il ritorno ad indicare la cellulosa grezza invece della fibra grezza, risulta importante l’obbligo di dichiarare la lisina e la metionina in tutti i mangimi composti sia per suini che per pollame, nonché sodio, calcio e fosforo per tutti i mangimi completi e sodio per tutti i mangimi complementari.
Etichetta appesantita. Che dire? Nel suo complesso l’etichetta rischia di essere appesantita da una serie di informazioni non prettamente fondamentali per gli allevatori, quali ad esempio il gruppo funzionale di appartenenza dell’additivo.
IL CODICE UE DI BUONA PRATICA
Come previsto dal Regolamento (vedi art. 25) la Federazione europea che riunisce le associazioni nazionali dei produttori di mangimi composti, Fefac, di concerto con CopaCogeca (associazioni europee di riferimento per gli allevatori), ha predisposto la bozza di Codice comunitario di buona pratica in materia di etichettatura. In particolare, al fine di evitare una letterale interpretazione della norma che non comporta alcun vantaggio in termini di sicurezza alimentare e di regole di mercato, si è convenuto:
a) che le materie prime devono essere dichiarate sulla base della loro importanza di inclusione facendo riferimento al tenore di umidità solo per le materie prime liquide, per le quali occorrerà effettuare la valutazione sulla sostanza secca. Tale interpretazione è fondamentale al fine di evitare una applicazione che si presta a dare luogo a indicazioni fuorvianti in etichetta giocando sul grado di umidità delle singole materie prime;
b) sulla necessità di indicare in etichetta solo gli additivi che hanno un limite massimo per le specie/categorie a cui è destinato il mangime;
c) sulla necessità di prevedere la possibilità di abbreviare i nomi degli additivi, purché tale abbreviazione consenta di identificare l’additivo in modo univoco tramite il registro degli additivi;
d) per gli oligoelementi, di dichiarare dopo l’elemento, tra parentesi, la forma di inclusione dello stesso, e la quantità indicata deve essere riferita all’elemento stesso (es. quantità di zinco e non di solfato di zinco aggiunto);
e) di richiedere la possibilità di applicare la tolleranza del +/-15% anche in caso di dichiarazione facoltativa della percentuale di inclusione delle materie prime, al fine di agevolare la scelta dei produttori in tal senso.
PREMISCELA VS MANGIME COMPLEMENTARE
Il regolamento colma un vuoto normativo, che si era venuto a determinare con il divieto di utilizzo dei promotori di crescita, additivi sui quali era fondamentalmente basata la differenza merceologica tra premiscele e mangimi complementari, stabilendo in modo inequivocabile la differenza tra le due tipologie di prodotto.
La differenziazione si basa su tutti gli additivi che hanno un limite massimo previsto dal regolamento di autorizzazione. Un prodotto che contiene un additivo a un tenore oltre 100 volte superiore al limite massimo definito dal rispettivo regolamento di autorizzazione è una premiscela, tale fattore è ridotto a 5 volte per i coccidiostatici.
Il principio così definito permette di classificare un prodotto indipendentemente dalle istruzioni per l’uso riportate in etichetta, che talvolta sono talmente complicate da non permettere un calcolo agevole.
La distinzione stabilita è fondamentale se valutata congiuntamente alle disposizioni introdotte dal Regolamento Ce n. 183/2005 sull’igiene dei mangimi che prevede che gli allevatori, registrati come operatori primari (che quindi non adottano un sistema Haccp), non possono utilizzare premiscele e/o additivi, ad eccezione di quelli per l’insilaggio.
Ciò significa che tutti gli allevatori primari potranno utilizzare solo mangimi complementari con un minimo di inclusione pari all’1% nel mangime completo/razione giornaliera. Valutazione non da poco se si conta che l’utilizzo di mangimi complementari contenenti elevati tenori di additivi, o addirittura l’utilizzo diretto da parte degli allevatori di additivi o di premiscele è tutt’ora pratica piuttosto comune. Pratica alquanto a rischio considerato che il mancato rispetto delle disposizioni previste dal regolamento igiene attiva le sanzioni previste dal D. Lgs. 142/2009. Volontariamente esclusi dal legislatore i cosiddetti supplementi nutrizionali, che vengono utilizzati per fornire agli animali, in particolari stati fisiologici, elevati livelli di alcuni additivi. Al momento la legislazione prevede solo i mangimi dietetici, per i quali sarà possibile superare la “regola del 100”, senza tuttavia lasciare aperta alcuna possibilità di superare i limiti massimi di somministrazione giornaliera previsti per legge.

Quindi le regole sono sicuramente più precise e restrittive, ma il problema rimane sempre lo stesso: chi controlla? Soprattutto, quanti controlli vengono effettuati nei mangimifici? Sarebbe il caso forse di applicare un regime di controllo molto accurato visto che negli ultimi anni i mangimifici sono diventati una specie di discarica per il riciclo di rifiuti di tutti i tipi. La verità è che la filiera delle carni e dei latticini è molto complessa, entrano in gioco gli animali allevati, i mangimi forniti, e dopo tutto ciò che segue con la trasformazione e conservazione. Anche in questo caso, l’unico modo per assicurare completa trasparenza al prodotto finale è la gestione volontaria della filiera, attraverso precisi accordi tra industria e allevatori, dei disciplinari e una certificazione di rintracciabilità di filiera.


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