Un viaggio che ti porta lontano ti aiuta a riordinare le priorità della tua vita, di tutta la tua vita.
Il libro di Tito Barbini a mio parere sarebbe dovuto cominciare in questo modo; invece questa citazione è presa da pagina 113, quindi ben oltre la metà dell’opera e viene preceduta da tutta una serie di altre riflessioni che aiutano a comprendere meglio la personalità e gli avvenimenti della vita dell’autore.
Questo libro di Barbini è un libro che può essere classificato nella cosiddetta letteratura di viaggio, ma non solo, infatti alterna molto spesso le varie scoperte del viaggiatore a sue riflessioni non legate al viaggio in sé.
Ne risulta un libro che offre una enormità di spunti quasi appena accennati, ma non per questo superficiali.
Ogni singolo capitolo potrebbe essere approfondito e sviluppato in varie maniere come l’archivio di idee di un narratore o di un regista.
Anche il semplice lettore curioso può cercare approfondimenti su internet che riguardino i personaggi o i luoghi incontrati in questo libro.
La bellezza de Le nuvole non chiedono permesso sta proprio nella quantità di segnalazioni particolari e la breve descrizione riportata non è un problema, anzi contribuisce ad accendere la curiosità e a diventare parte attiva invogliando il lettore a cercare notizie più aggiornate e complete.
Per citare qualche esempio ecco una piccola selezione di quello che si può incontrare accompagnando Tito Barbini lungo il suo viaggio dal profondo sud al profondo nord delle Americhe:
Salvador Allende, Evita Peron, Pablo Neruda, il baleniere Bernardo, il popolo mapuche e le promesse non mantenute di Luciano Benetton, i desaparecidos gettati dagli aerei nell’oceano, Natalio lo zappatore di sale, il canale di Panama e il riparatore di telefonini Guillermo, il muro bianco con i cactus disegnati che al confine Messico-Usa tra Tijuana e San Diego rappresenta i clandestini morti…per non parlare delle Scuole residenziali indiane che negli anni trenta e quaranta nel moderno Canada attraverso la conversione forzata al cristianesimo hanno cancellato la cultura delle popolazioni indigene insieme alla vita di cinquantamila bambini…un altro genocidio di cui nessuno parla forse perchè non c’è un vero mostro verso cui puntare il dito.
Insomma, poche descrizioni di luoghi, qualche riferimento a stati d’animo e soprattutto la segnalazione di storie umane private che nel complesso raccontano aspetti di vita impossibili da trovare nelle classiche guide turistiche sempre concentrate sui posti da cartolina.
Un libro davvero interessante che attraverso le vicende di alcuni personaggi storici e non, riesce a raccontare un continente.
A questo punto, grazie anche a diversi richiami all’interno del libro stesso, i riferimenti a Chatwin potrebbero venire naturali.
In realtà Barbini compie un lavoro diverso e basato più sul grande numero di storie raccontate.
Il Chatwin de Le vie dei canti ad esempio, scrive un intero libro su un argomento ben definito, ossia quegli inspiegabili, misteriosi ed antichi mezzi di comunicazione della civiltà aborigena, che facevano sì che le notizie viaggiassero in modo velocissimo da una parte all’altra del continente.
Invece Barbini in un libro solo indica decine e decine di storie ed idee, senza svilupparle, quasi fosse un catalogatore il cui compito non sia approfondire, ma segnalare.
Ne risulta una mole di spunti che qualcun altro, magari uno scrittore in erba, potrebbe utilizzare come spunto per racconti o romanzi.
Un libro molto bello ed interessante che mi ha aperto la strada per altre letture dello stesso autore.
Tempo di lettura: 2h 43m