Impazza nella rete il video in cui Renzo Bossi muta “proseguire” in “proseguére”, nell’era di Internet, di Youtube e di Facebook il pubblico ludibrio è un rito pressochè quotidiano che a tutti gli asini riuniti in fori virtuali è concesso celebrare sopra all’errore di un altro asino. Ciò che sfugge al Trota, a Di Pietro e a tutti gli altri diplomati sgrammaticati è che la lingua non è una convenzione sociale ma uno statuto poetico, se essa fosse una convenzione allora l’errore grammaticale o quello sintattico potrebbero essere tollerati in nome dell’uso comune e del dialetto di riferimento del parlante; essa invece è una norma concepita sul Parnaso e consegnata dalle Pimplee ai mortali mediante profeti ispirati, che sono poi le glorie poetiche di una nazione: così l’italiano è la norma di Dante e di Manzoni, l’inglese quella di Shakespeare, il tedesco quella di Goethe e di Holderlin e così via. Una lingua perciò nasce come codice a cui la poesia ha donato carattere non divino ma sacro (inviolabile!), per questo motivo ha valore normativo, non descrittivo, e la deviazione dalla norma linguistica, come nel codice stradale, è ipso facto infrazione da riparare. Il problema è che per l’uomo moderno la poesia non ha carattere religioso ma è coagulo di sentimento e il sentimento non è sacro, nè tantomeno può render sacro un idioma. In una società dell’istruzione pubblica obbligatoria l’errore di uno è l’errore di tutti, il titolo di studio che dovrebbe render conto della comune conoscenza diviene invece il sigillo più certo della comune ignoranza, i parametri ufficiali (statali) per separare i colti dagli incolti e soprattutto gli intelligenti dai cretini sono annullati e rimangono vigenti solo quelli non scritti della rigida selezione all’interno di ambienti claustrali e intellettualmente aristocratici. Quando la città collassa si ripiega sul monastero e sul castello, che sono i due recinti per la salvezza di una civiltà. Si profila all’orizzonte della storia occidentale un nuovo Medioevo…Deo gratias!
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