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«Le pagine "oscure" della Bibbia»

Creato il 17 maggio 2011 da Andream
Nell'articolo «Persone pie che massacrano in nome di Dio: Bin Laden e Saul», citavo la storia narrata nel capitolo 15.1-9 del Primo libro di Samuele, in cui Yahweh dice a Saul, per mezzo del profeta Samuele («Amalek» sta qui a indicare il popolo degli Amaleciti):
Ho considerato ciò che ha fatto Amalek a Israele, ciò che gli ha fatto per via, quando usciva dall'Egitto. Va' dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini.

Nella successiva discussione è emersa la risposta «standard» dei cattolici, secondo la quale quei testi vanno interpretati, la rivelazione è progressiva, va intesa nel contesto storico, eccetera. Sono andato allora alla fonte di questa interpretazione, e ho trovato il seguente brano nell'«esortazione apostolica post-sinodale» Verbum Domini (l'enfasi è nell'originale):
Le pagine «oscure» della Bibbia
42. Nel contesto della relazione tra Antico e Nuovo Testamento, il Sinodo ha affrontato anche il tema delle pagine della Bibbia, che risultano oscure e difficili per la violenza e le immoralità in esse talvolta contenute. In relazione a ciò si deve tenere presente innanzitutto che la rivelazione biblica è profondamente radicata nella storia. Il disegno di Dio vi si manifesta progressivamente e si attua lentamente attraverso tappe successive, malgrado la resistenza degli uomini. Dio sceglie un popolo e ne opera pazientemente l’educazione. La rivelazione si adatta al livello culturale e morale di epoche lontane e riferisce quindi fatti e usanze, ad esempio manovre fraudolente, interventi violenti, sterminio di popolazioni, senza denunciarne esplicitamente l’immoralità; il che si spiega dal contesto storico, ma può sorprendere il lettore moderno, soprattutto quando si dimenticano i tanti comportamenti «oscuri» che gli uomini hanno avuto sempre lungo i secoli, anche ai nostri giorni. Nell’Antico Testamento, la predicazione dei profeti si erge vigorosamente contro ogni tipo d’ingiustizia e di violenza, collettiva o individuale, ed è così lo strumento dell’educazione data da Dio al suo popolo in preparazione al Vangelo. Pertanto, sarebbe sbagliato non considerare quei brani della Scrittura che ci appaiono problematici. Piuttosto, si deve essere consapevoli che la lettura di queste pagine richiede l’acquisizione di un’adeguata competenza, mediante una formazione che legga i testi nel loro contesto storico-letterario e nella prospettiva cristiana, che ha come chiave ermeneutica ultima «il Vangelo e il comandamento nuovo di Gesù Cristo compiuto nel mistero pasquale». Perciò esorto gli studiosi e i Pastori ad aiutare tutti i fedeli ad accostarsi anche a queste pagine mediante una lettura che faccia scoprire il loro significato alla luce del mistero di Cristo.
A mio parere questa posizione ha tre pecche.
Circolarità
La prima considerazione riguarda l'affermazione secondo la quale i cristiani dovrebbero «accostarsi anche a queste pagine mediante una lettura che faccia scoprire il loro significato alla luce del mistero di Cristo».
Questo atteggiamento, però, presuppone che quelle pagine (e tutte le pagine della Bibbia, più in generale) contengano un significato di tale natura. Dunque l'atteggiamento qui suggerito è riassumibile nell'assunto «uso il messaggio di Dio per leggere la Bibbia».
Ma, d'altro canto, la Bibbia è comunemente considerata dai fedeli il libro col quale Dio comunica il proprio messaggio agli uomini; dunque è corretto anche l'atteggiamento «leggo la Bibbia per conoscere il messaggio di Dio».
La combinazione di questi due atteggiamenti porta ad un ragionamento circolare: «leggo la  Bibbia per conoscere il messaggio di Dio, attraverso il quale leggo la Bibbia». Credo che il problema che si crea sia peggiore di quello che si vuole risolvere.
Progressività
La seconda considerazione è a proposito della «progressività» della rivelazione. Si afferma infatti che «il disegno di Dio vi [nella storia] si manifesta progressivamente e si attua lentamente attraverso tappe successive, malgrado la resistenza degli uomini».
Dunque il «disegno di Dio» si rende manifesto «progressivamente», un po' per volta, secondo i registri in vigore nell'epoca storica («la rivelazione si adatta al livello culturale e morale di epoche lontane»). Questo solleva, a mio vedere, una domanda: perché la scelta di una rivelazione progressiva, invece di una completa e definitiva?
Perché non mandare Gesù all'epoca di Adamo, Noè, Abramo o Mosè? Perché non rivelare tramite i profeti, o prima ancora tramite le apparizioni dirette ai patriarchi, il messaggio completo?
Una risposta frequente a questa domanda è che gli Ebrei dell'epoca, diciamo, di Mosè non avrebbero capito il messaggio di Gesù, che doveva passare del tempo e un'educazione «paziente» da parte di Dio per giungere ad una situazione in cui fosse opportuno rivelare il messaggio completo. Ma è davvero così?
Va osservato, per esempio, che gli Ebrei capirono molto bene norme come quella sulla circoncisione, sulla purità alimentare, sul rispetto del sabato (che però furono annullate da Gesù). Non sarebbe stato meglio puntare su norme e comandamenti che fossero al cuore del messaggio di Dio, invece che queste norme marginali e caduche?
Va anche notato che l'epoca in cui Gesù visse, in cui il messaggio di Dio fu completato, non sembra particolarmente ricettiva: i vangeli spiegano come sia necessario l'intervento divino per far comprendere il messaggio gesuano agli apostoli, e del resto Gesù stesso è messo a morte da persone che non ne hanno capito né gli insegnamenti né l'identità. Dunque in che modo il periodo che va da Adamo a Giovanni Battista sarebbe necessario a preparare la rivelazione finale di Gesù?
Infine, non sembra neppure che dopo la rivelazione completa del messaggio, il mezzo di comunicazione scelto da Dio si sia rivelato efficace: basti considerare l'elevato numero di confessioni cristiane (mi pare si aggirino intorno ai 30.000), con messaggi tra loro incompatibili, e di confessioni non cristiane. Era necessario aspettare millenni (per la tradizione biblica) per avere questo risultato?
Insomma, dove sta la necessità o l'opportunità di avere una rivelazione «progressiva»? Mi sembra sia piuttosto una pezza a colore messa lì per giustificare le differenze teologiche tra Antico e Nuovo Testamento alla luce dell'idea che il Cristianesimo non sia una nuova religione rispetto all'Ebraismo biblico.
Falsità
Mi interessa infine sottolineare il cuore della posizione espressa nell'esortazione:
La rivelazione si adatta al livello culturale e morale di epoche lontane e riferisce quindi fatti e usanze, ad esempio manovre fraudolente, interventi violenti, sterminio di popolazioni, senza denunciarne esplicitamente l’immoralità; il che si spiega dal contesto storico [...] Nell’Antico Testamento, la predicazione dei profeti si erge vigorosamente contro ogni tipo d’ingiustizia e di violenza, collettiva o individuale, ed è così lo strumento dell’educazione data da Dio al suo popolo in preparazione al Vangelo.
A me pare evidente che questo non sia il caso dell'episodio citato, quello dell'ordine di Yahweh di sterminare gli Amaleciti.
Lì, infatti, il profeta Samuele non «predica vigorosamente contro la violenza collettiva» (lo sterminio degli Amaleciti); lì la rivelazione, che giunge attraverso la parola diretta di Yahweh, non si limita a «non denunciare esplicitamente l'immoralità» dell'atto.
No, in quel brano Yahweh ordina a Saul di sterminare degli innocenti e Samuele predica vigorosamente a favore di questo atto di ingiustizia e di violenza.
Il problema di Dio che ordina di commettere il male non è risolto.
Articolo ispirato da: Giovanni Bazzana, «Verbum Domini III: Bibbia ebraica», Ta Biblia, 31 dicembre 2010.

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