Le parole che non ti ho detto – Capitolo Cristina Parodi

Creato il 10 settembre 2012 da Elenatorresani

Torresani, hai le porte chiuse”: non me l’aveva mai detta nessuno una cosa così.
Tre giorni di prove tecniche dell’accidenti, per poi aprire una breccia nel firewall e mettermi in contatto da remoto col Cristina Parodi Live Show in veste di opinionista-on-demand (“all’inizio avremo on-air solo uomini perché tutte le opinioniste donne hanno problemi tecnici”, e qui taccio).
Acrobazie inenarrabili e Till Fly messi a dura prova per finire poi in diretta nazionale 15 secondi, e sentirmi dire che in studio la mia erre moscia non arrivava: e ciao ciao Torresani.
Ma ci sono troppe cose che non ho detto alla Cristina e che mi son rimaste in bocca come il nocciolo della prugna.

Che la ringrazio per aver mandato in onda quel video girato a San Martino di Taurianova, prima di tutto: a beneficio di chi continua a dire che in Italia non esiste una questione femminile, e di tutti quelli che guardano con arrogante disgusto il Medioriente e il Terzomondo tutto.
Nel Belpaese, lo stupro ha cessato di essere un delitto contro la morale diventando un delitto contro la persona – quantomeno sulla carta – solo nel 1997: ma la colpa rimane delle donne, istigatrici e puttane, anche quando hanno i 13 anni di Anna Maria Scarfò, o i quattro, i cinque o i sei di molte altre.
Donne che quando vengono abusate e stuprate per una volta o cento volte, mille in alcuni casi, arrivano a pensare di non meritare altro, e come Anna Maria Scarfò denunciano solo quando c’è in pericolo una sorella o un’amica o qualcun altro che non siamo noi, vagine a perdere.

Che alla mamma di Anna Maria io non ci credo nemmeno un po’, perché non esiste donna – e figuriamoci bambina – che torna a casa dopo uno stupro collettivo quotidiano come se fosse stata a giocare a palla avvelenata in cortile coi vicini di casa. Io questa non la chiamo “rimozione”: lo chiamo delitto connivente.

E che una condanna in tribunale vale poco se non c’è un lavoro sulla cultura sociale e sull’immaginario di una collettività che percepisce ancora la donna come carne a disposizione, proprietà privata ad uso e consumo, oggetto a perdere.

E anche che le donne sono le peggiori aguzzine di se stesse non perché non esista una solidarietà femminile come mancanza tout court, ma perché abbiamo introiettato un certo modello mentale maschile talmente bene che ci ha modificato la genetica emotiva.

Tempi televisivi non permettendo, continuiamo a vivere sui blog.


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