Il post di oggi è inconsapevole, nel senso che chi lo ha scritto non ha scritto un post vero e proprio, ma tanti piccoli frammenti da appiccicare sulla nostra pagina Facebook. A un certo punto, però, sono balzati tutti agli occhi, improvvisamente e in una volta sola. Ilaria Cilli La Boba stava e sta creando per SdL un dizionario fantastico e inquietante, dove non compaiono morte e lutto, ma tanti altri termini come gramaglia, tirapiedi, becchino, sulla cui origine e sul cui significato vi invitiamo a interrogarvi. Di qui in avanti, la parola alla Boba…
Transitivo: “uccidere togliendo il respiro”, soprattutto mediante l’immersione in un liquido.
Figurato: affogare i dispiaceri nel vino, cercare di dimenticarli bevendo. “Essere oppresso”, sopraffatto da qualcosa. Ad esempio affogare nei debiti, perdersi in cose da nulla: affogare in un bicchiere d’acqua.
Riflessivo: “uccidersi buttandosi in mare” (o immergendosi in altro liquido).
Intransitivo (aus. essere): “morire annegato”.
Part. pass. affogato, in senso figurato: gelato affogato, presentato in coppa cosparso di liquore, caffè o altro, uova affogate, sgusciate e cotte nell’acqua bollente o nella salsa. Nel gioco degli scacchi, si dice matto o scaccomatto affogato quello dato da un cavallo al re che si trovi circondato e chiuso nell’angolo da propri pezzi. Avere uno scheletro nell’armadio.
Tenere accuratamente nascosti un fatto, un avvenimento, un’azione del passato, considerati riprovevoli o, comunque, dannosi per la propria reputazione.
Questa locuzione non gode, in italiano, di attestazioni letterarie. Si tratta, molto probabilmente, di un calco di altre analoghe espressioni inglesi (to have a skeleton in the closet o cupboard), per le quali l’Oxford English Dictionary offre numerose citazioni d’autore, tutte a partire dalla metà dell’Ottocento, pur essendone largamente nota un’anteriore, e ampia, diffusione nell’uso corrente. Successiva di circa un secolo, invece, è la prima attestazione letteraria con la quale il Trésor de la langue française documenta la corrispondente locuzione francese, avoir un squelette dans le placard. Secondo la dettagliata ricostruzione proposta da Bernard Delmay, l’origine della nostra espressione deve essere ricondotta a un episodio della Rivoluzione francese e a Gabriel-Honoré de Riqueti, conte di Mirabeau, che ne fu protagonista. In particolare, nel 1792, dopo la morte di Mirabeau, celebrato come campione dei rivoluzionari, si scoprì, alle Tuileries, in un armadio blindato, un’abbondante documentazione comprovante gli accordi segreti del conte con il re, volti a contrastare e vanificare gli sforzi dei fautori della Rivoluzione. Molto violente furono le reazioni dei giacobini e anche la stampa se ne fece interprete: proprio da un’illustrazione satirica dell’epoca, raffigurante Mirabeau in forma di scheletro posto nell’armadio a custodire le prove del suo tradimento, si deve partire per spiegare la metafora di cui ancora oggi ci serviamo. Becchino s. m. [der. di beccare; cfr. beccamorti] Parola da duplice etimologia.
1) Da beccaio, derivato da becco, il maschio della capra, cioè “colui che macella e vende animali quadrupedi per mangiarli” (cfr. francese boucher, “macellaio”). Come il beccaio maneggia carogne, il becchino maneggia cadaveri.
2) Da beccare, sia nel senso di “pungere”, cioè colui che pizzica i morti per accertarsi se lo sono davvero (cfr. veneziano pizigamòrto), sia nel senso di “cogliere” o “acchiappare”, da cui il composto beccamorto, ossia “sotterratore di cadaveri”.
—-
Bisturi s. m. [dal fr. bistouri, che si ritiene der. di un ant. pistorese per "pistoiese", cioè "di Pistoia", città un tempo famosa per la fabbricazione di lame e armi da taglio]
A Pistoia lavoravano gli abili artigiani capaci di creare questi affilatissimi coltellini di acciaio nobilissimo. Passata in Francia e storpiata in [bistourì], la parola è tornata in Italia nella forma attuale. Viene da Pistorium, nome latino di Pistoia, dove nel medioevo esisteva una famosa fabbrica di coltelli e coltellini a doppio taglio, detti appunto pistorienses, “pistoiesi”; di qui l’antico nome pistorini dato a questi coltelli, corrotto poi in bistorini o bisturini, che i francesi tradussero in bistourì. Ma in italiano si pronuncia sdrucciolo (bìsturi), e non tronco. Camera ardente
Ambiente chiuso in cui si onorano le salme dei defunti prima dell’inumazione. Questo sintagma ha origine alla corte di Francia nel 1547. La riforma luterana trovò in Francia un terreno fertile dove le nuove dottrine si diffusero dapprima fra gli umili, che ne adottarono con entusiasmo le idee generali, e ad essi si aggiunse a poco a poco un certo numero di preti. Questi primi dissidenti non furono perseguitati, e anzi fino al 1534, Francesco I si mostrò assai favorevole ai riformati e impedì molte volte al Parlamento di agire contro gli eretici. Poi, di fronte alle violenze, permise la loro persecuzione e in pochi mesi circa una quarantina furono condannati e bruciati vivi. Gli successe nel 1547 il figlio Enrico II (1519-1559) che fu decisamente intransigente con gli eretici e infatti istituì nel parlamento una sezione speciale, detta “camera ardente”, che ebbe l’unico incarico di sbrigare i processi di eresia. Il tribunale si componeva di giudici delegati dal Papa. Il tribunale dell’inquisizione faceva i requisitorii, informava i processi, e la camera ardente del parlamento giudicava per ultima e infliggeva le pene, che per gli eretici e i riformati consistevano quasi sempre nel fuoco, da ciò il suo appellativo. Coccodrillo s.m. [dal lat. crocodilus, gr. κροκόδειλος]
Nel gergo giornalistico è l’articolo di commemorazione di un personaggio pubblico, scritto mentre il personaggio è ancora vivo ma comincia a invecchiare. Viene aggiornato periodicamente e conservato in redazione per essere pubblicato tempestivamente in caso di sua morte. Il termine deriva dal detto “versare lacrime di coccodrillo”, visto che l’articolo, che appare sentito e sincero nel suo cordoglio, è stato in realtà freddamente preparato in anticipo in attesa della morte del personaggio. Attenzione ai casi di erronea o anticipata pubblicazione. Coventrizzare v. tr. [dal ted. koventrisieren, coniato con riferimento al bombardamento della città inglese di Coventry, totalmente distrutta dall’aviazione tedesca nel 1940].
Questo verbo deriva dal nome della città britannica di Coventry. Questa città nelle Midlands occidentali subì nel 1940 una serie di bombardamenti a tappeto da parte dell’aeronautica tedesca tale da risultarne praticamente distrutta. Le condizioni di devastazione della città rimasero talmente impresse nell’immaginario collettivo tanto dei tedeschi quanto degli inglesi, che in entrambe le lingue sorse il neologismo coventrizzare, con il significato di “radere al suolo”, “distruggere completamente”.
Decrepito agg. [dal lat. decrepĭtus, di etimo incerto]
Che è nell’estrema vecchiezza, nell’ultima età della vita.
Dal latino crepitus, “fessura” e per estensione “rotto”, “vicino alla rovina”. A sua volta dalla radice sanscrita KARP- con particella iniziale de “misero, infelice, debole”. In enologia vino decrepito: espressione negativa che indica un vino che ha superato il punto ottimale di invecchiamento, pur rimanendo sano.
Strage, massacro.
Sacrificio di più vittime (anche non bovine) presso gli antichi Greci: secondo il significato etimologico, sacrificio di 100 buoi, oppure di 25 capi (in tutto 100 zampe). Eseguite durante le celebrazioni di Apollo, che si svolgevano in Attica durante il primo mese del calendario ateniese, per l’appunto detto ecatombeone, tra la metà del mese di luglio e la metà di agosto. Famosa è l’ecatombe di 100 buoi offerta agli dèi da Conone, stratega ateniese, dopo la vittoriosa battaglia di Cnido contro gli Spartani (304 a.C.).
Egregore [dal greco ἐγρήγοροι, "vigilatori"]
Un egregore è una forma di pensiero collettiva creata da tutti gli individui che appartengono a un raggruppamento, a un popolo o una religione. Tutte le religioni, tutti i movimenti spiritualisti hanno il loro egregore. Il concetto di egregore spiega perché, generalmente, le persone appartenenti a un gruppo vedono come valide solo le idee proposte dalla loro associazione. Ogni egregore aiuta la comunità che lo ha formato: esso è uno straordinario serbatoio di energie. Pertanto la potenza del pensiero di più persone unite è sempre molto più grande della somma dei loro pensieri separati, può servire per il bene o per il male e può crescere fino a diventare universale, immensa. Così, fin dai primi giorni di vita, siamo inseriti nella grandissima, mondiale rete di una religione che ci educa di conseguenza, con i suoi catechismi, riti, inni, canti, gesti, simboli, talismani e amuleti (reliquie), e ogni tipo di doveri, così che per uscirne definitivamente occorre un’impresa formidabile. Fino alla fine della vita siamo continuamente assorbiti e vampirizzati. Al contrario, l’uomo che ragiona, che possiede una coscienza sveglia, partecipa a tutto di sua volontà, senza appartenere a nulla, è un uomo libero e appartiene solo a sé stesso e all’umanità. È un libero pensatore, è un iniziato, è un maestro di vita.
Gramàglia s. f. [dallo spagn. gramalla, sorta di veste lunga]
In spagnolo gramalla indica una veste lunga fino ai piedi con maniche a punta. Al singolare il lemma significa abito da lutto. Usato al plurale, per lo più nell’espressione “essere in gramaglie” significa essere in lutto. Meno comune la definizione di gramaglie come drappi funebri coi quali si copre il catafalco, o in generale i drappi da lutto con cui si addobbano le chiese in occasione di riti funebri.
Mitiche fanciulle dall’amabile canto che la leggenda greca pone in un’isola dei mari occidentali a custodire in un giardino i magici frutti dorati di un albero vigilato da un drago. Il nome riporta al greco ἑσπέρα, “sera”, latino Vesper (da cui anche la parola “Ovest”). Pertanto ῾Εσπερίδες significava propriamente “Vespertine”, cioè “Ninfe della sera, del tramonto o dell’Occidente”. La funzione delle Esperidi era quella di sorvegliare, con l’aiuto del serpente Ladone, il giardino degli dèi, dove cresceva un albero con i pomi d’oro, regalo fatto dalla Madre Terra a Hera in occasione delle nozze di costei con Zeus. Atlante sosteneva la volta del cielo poco distante ed Elios, divinità del sole, terminato il suo corso quotidiano, scendeva nel giardino (il sole tramonta infatti ad Occidente) e vi lasciava i cavalli del suo carro a pascolare, e con loro riposava durante la notte. Le Esperidi vengono così collegate al tramonto, quando i colori che assume il cielo ricordano, appunto, quelli di un melo carico di frutti dorati. Gli attributi distintivi delle Esperidi sono le mele d’oro e il serpente, e vengono figurate come graziose fanciulle, il più delle volte in numero di tre, Egle, Aretusa e Esperia. Sono rappresentate generalmente vestite, a differenza delle Grazie, e cantano dolci melodie perché il canto, insieme alla danza, è una delle prerogative loro assegnate. Eutanasia s.f. [dal gr. εὐϑανασία, comp. di εὖ, "bene" e tema di ϑάνατος, "morte": la "buona morte"]
Morte indolore.
In particolare quella procurata a chi è affetto da patologie particolarmente dolorose o invalidanti senza speranza di guarigione. L’uomo è autore della propria vita in ogni momento, fin da quando raggiunge la ragione. Ed è sacrosanto che abbia la concreta possibilità di fare della propria vita quanto di più bello è in grado di fare, anche nell’ultima fase.
Famedio s. m. [comp. del lat. fama, "fama", e aedes, "tempio"; cfr. cavedio]
Tempio funerario, per lo più con caratteristiche di piccola chiesa o cappella, che nei cimiteri e negli ossarî moderni o in altri luoghi dedicati alla memoria dei defunti ha funzione celebrativa ed è destinato a luogo di sepoltura specialmente di personaggi di rilievo. È quell’edificio speciale dei cimiteri grandiosi, destinato a raccogliere i resti degli uomini illustri.
Johann Heinrich Füssli, “Incubo”, 1781. Detroit Institute of Arts, Detroit
Incubo s. m. [dal lat. tardo incŭbus, "essere che giace sul dormiente", der. del tema di incubare, "giacere sopra"].Sogno morboso, la cui principale caratteristica è la percezione dolorosa di un peso immaginario sul petto e l’impossibilità di gridare e allontanarsi dall’oggetto chimerico, da cui si è oppressi. Demone, che calata l’oscurità, si pone sopra l’inconsapevole dormiente, opprimendolo. Secondo gli antichi lo spirito prendeva sempre forma di uomo e giaceva con le donne. L’idea del dormiente schiacciato da un peso che gli provoca visioni negative, attraversa secoli e culture. Una traccia rimane nel tedesco Alp (“incubo”, ma anche “elfo”), Alptraum e Alpdruck (letteralmente “sogno dell’elfo” e “pressione dell’elfo”); un’altra nella lingua spagnola, dove pesadilla, termine che dipende da pesar, indica qualcosa che esercita una pressione su di noi. Effettivamente, mangiare qualcosa di poco digeribile, qualcosa che resta sullo stomaco, provoca facilmente brutti sogni, proprio come fa Incubus ben accomodato sul ventre di chi si è abbandonato al sonno. Marasma s. m. [dal gr. μαρασμός, "consunzione", da cui anche il lat. mod. marasmus; la forma più recente in -a è dovuta all’attrazione di altre voci in -asma, o a un’influenza del fr. marasme]
Stato di deperimento provocato da malattie, vecchiaia o denutrizione; degenerazione dell’organismo; sfacelo. Questo sostantivo di provenienza classica, alla lettera significa “grave indebolimento del corpo dovuto a malattia o vecchiaia” e, in senso figurato, “decadimento morale”. Proviene infatti dal greco marasmòs, derivato di maràinein (“consumare”). Non sarebbe corretto adoperarlo, quindi, nel senso di “confusione”, “caos” e bisognerebbe dire maràsmo perché più vicino all’origine del termine.
Maràntico: che riguarda il marasma. Per estensione, in usi dialettali, soprattutto in veneto, nella forma maràntego o maràntigo. Vecchio marantego: “vecchio decrepito”, “bisbetico”; analogamente, vecchia marantega: “vecchia brutta e brontolona”, “vecchia strega”.
Masochista s. m. e f. e agg. [der. di masochismo]
Chi si compiace nel subire violenze e umiliazioni
Il termine fu coniato dallo psichiatra Von Krafft-Ebing, derivato dal nome di Leopold von Sacher-Masoch. Il masochista ci appare come lo speculare del sadico: tanto questo gode nell’infliggere dolore e umiliazione, tanto quello si compiace di subirne. Così come il sadismo, anche il masochismo è strettamente legato, in un primo momento, alla sfera psicosessuale – avendo come riferimento culturale i romanzi erotici di Leopold von Sacher-Masoch, scrittore austriaco vissuto fra il 1836 e il 1905. In questi romanzi, di cui il primo e più famoso è Venere in pelliccia, Masoch narra di relazioni in cui il protagonista si assoggetta all’amata, che dispone liberamente di lui asservendolo, umiliandolo e usandogli violenza. Oggi generalmente si parla di masochismo in senso più lato e svincolato dall’ambito sessuale, e laicizzato rispetto all’uso tecnico che ne farebbe uno psicologo: al masochista è associato chi si compiace sottilmente delle proprie disgrazie, del proprio dolore, che magari ricerca.
In ambito tipografico ha un uso limitato. Si diffuse con il Cristianesimo, comunemente impiegato nei salteri a indicare una pausa nel canto dei salmi. Con la diffusione della stampa, cominciò a essere utilizzato nella medesima funzione attualmente svolta dall’asterisco, come forma di richiamo a note a piè di pagina. Permane oggi nei testi per designare la data di morte di un personaggio o, ancora, per designare l’estinzione di un fenomeno (ad esempio di una lingua), istituzione, uso, oggetto e simili. In biologia, viene aggiunto ad un’unità tassonomica per indicare l’estinzione della categoria. Negli scacchi indica lo scacco al re (obelisco) o lo scacco matto (doppio obelisco).
Pandemonio s.m. [dal lat. mod. Pandaemonium (comp. del gr. παν-, "pan-" e δαιμόνιον, "demonio"), voce coniata da J. Milton (1608-1674) nel poema Paradise Lost per indicare l’immaginaria capitale dell’inferno dove i demonî tengono concilio, da cui l’uso fig. in ital. e in altre lingue]
Disordine, confusione.
Un pandemonio è un putiferio disordinato, una situazione di confusione rumorosa; con una sola, calzante parola, è un inferno. L’immagine di riferimento è tanto intuitiva quanto efficace: nel poema di Milton, Pandaemonium è la capitale dell’Inferno, nuova terrificante patria degli angeli caduti.
Sulla prora della nave è posta una statua di legno, una scultura a volte dorata. Il suo nome è polena. Il nome deriva dal francese chaussures poulaine che identifica un particolare tipo di scarpe polacche. Queste sono molto allungate e hanno le punte all’insù. Le statue poste sulle navi si trovano in alto all’esterno dello scafo e sono quindi come dei rostri; per questo sono chiamate polene. Le polene salvate hanno la loro nicchia un po’ dovunque; sono sparse nei musei del mare o in altri luoghi, ma hanno anche i loro raduni, i loro cimiteri o paradisi che le raccolgono in massa. La sala del museo di Altona è una grande adunata funebre; entrando si scendono oscuri gradini a destra e si arriva in una cripta sotterranea. Ad Altona ci sono due fra le più belle polene in senso assoluto: la dea Cibele e la ragazza con la rosa, forse immagine di una regina inglese.
Giuseppe Maria Crespi detto Lo Spagnolo (1665-1747).
“Ragazza con gatto e topolino”, Cambridge, Fitzwilliam Museum
In origine aggettivo, riferito a una pietra calcarea, scavata ad Asso nella Troade, che aveva la proprietà di consumare o rodere un cadavere nel breve spazio di 40 giorni, poi sostantivo (masch. in latino, femm. in greco) con il significato più generale di monumento funebre in forma di feretro, in cui gli antichi riponevano il cadavere senza bruciarlo.
Sadico agg. [dal fr. sadique, tratto da sadisme, "sadismo"]
Chi trae piacere dalla sofferenza altrui.
Il termine fu coniato nel 1869 dallo psichiatra tedesco Von Krafft-Ebing per indicare la relativa perversione psicosessuale, traendo il nome da quello del marchese de Sade.Il marchese Donatien-Alphonse-François de Sade, vissuto fra il 1740 e il 1814, fu un tipo sui generis. Drammaturgo, filosofo, politico, campione del lato oscuro dell’Illuminismo, è passato alla storia per le sue opere a tema erotico, vessilli del libertinismo più estremo, caratterizzate da una crudeltà senza pari. Il paradigma filosofico che le informa è un totale nichilismo, che implica la concezione dell’altro unicamente come mezzo per trarre piacere sessuale: insomma, si mettono al mondo figli solo per poterne abusare. Nel momento in cui le scienze psicologiche hanno inteso definire la condizione psichica di chi, per trovare soddisfazione sessuale, necessita di associare il sesso all’inflizione di dolore, il richiamo al Divin Marchese è stato naturale. Ma oggi il sadico non è più soltanto limitato alla sfera sessuale: il piacere provato davanti alle sofferenze altrui può anche intendersi come tutto mentale. Ampliando il discorso e ponendolo in toni ben più tenui, il sadismo può essere una normale tendenza umana: quando la collega che ci sta antipatica scivola per le scale, batte il sedere e fa volare per aria le pratiche che aveva appena sistemato in ordine alfabetico, è normale esclamare fra sé un “Ah!” esultante. Il non arrendersi a quel tipo di piacere sta nell’aiutarla a rialzarsi e a raccogliere i fogli. Anche gli animali possono essere sadici:
sarà sadico il gattino che gioca col topo. E poi nemmeno se lo mangia.
Tirapiedi s. m. [comp. di "tirare" e "piede"]
Servile aiutante di persone di una certa importanza, che cerca di ottenerne i favori.
Direttamente dal nome dell’aiutante del boia, che appunto tirava i piedi agli impiccati perché morissero prima. L’origine agghiacciante di questa parola, per la verità piuttosto diffusa, ci mette davanti a una nuova sfumatura del conosciutissimo concetto di servilismo. Rende infatti palese come, per il tirapiedi, una realizzazione personale piena e autonoma sia impossibile proprio a causa dei lavori che, pur se per sua volontà, è costretto a fare.
—
Ilaria Cilli La BobaMi sono laureata all’Università di Torino in geografia linguistica e ho lavorato all’Istituto dell’atlante linguistico italiano come redattrice dal 1998 al 2010. La mia tesi di laurea è stata lo studio onomasiologico e etnografico proprio sul vestito che indosso nella foto. Attualmente lavoro per la mia ditta di metalmeccanica ricoprendo svariate funzioni, tra cui guidare il furgone. Ho anche un diploma di tecnico superiore per la distribuzione e la promozione di eventi culturali e dello spettacolo conseguito nel 2010. Sono nata a Torino, il 4 luglio 1972… In via Bidone! Vivo a Torino. Mi chiamo Ilaria, ma ho due soprannomi: La Boba, per gli amici, e Cilli, dalla nascita.